A Lucca – la civilissima Lucca, non una provincia del profondo Sud ancora intrisa di notabilato – il Comune, oltre a occuparsi dei servizi tipici di un ente locale, si e’ riscoperto imprenditore: gestisce, attraverso una holding municipale, una quindicina di attivita’ ed e’ entrato addirittura nel ramo pompe funebri rilevando l’agenzia di onoranze di Giovanni Lombardi. Perche’ un sindaco abbia deciso un simile investimento (non in un remoto passato statalista ma nel 2005, era di privatizzazioni) e’ un mistero. Ma inspiegabile e’ anche la sostanziale acquiescenza dell’opinione pubblica davanti allo spettacolo di una societa’, posseduta al 51% dalla municipalizzata del gas, che riesce nei primi due anni a perdere ben 200 mila euro, pur operando in un business che, per sua natura, non conosce mai crisi. Soldi dei contribuenti che, evidentemente, non hanno nulla da ridire. Quello di Lucca e’ solo uno dei cento episodi raccontati dal nuovo libro di Sergio Rizzo sulle patologie dell’intervento pubblico in economia. Dopo il successo de La Casta e della Deriva, scritti con Gianatonio Stella, ora con Rapaci (pubblicato anche stavolta da Rizzoli) Rizzo si candida al ruolo di uomo-termometro di un sistema pubblico febbricitante e che non da’ segni di reazione.
I risparmi dell’Enav
La carrellata di episodi vecchi e nuovi e’ impressionante: dall’incredibile storia dell’Alitalia a quella di una Rai lottizzata che ci costa il doppio della britannica Bbc (qualcuno ricorda che 15 anni fa abbiamo votato, via referendum, per la sua privatizzazione?), dall’Acqualatina, societa’ di distribuzione idrica presieduta da un senatore in carica, alla vicenda di Massimo Varazzani, manager cacciato dall’Enav, l’Ente per l’assistenza al volo, perche’ voleva far risparmiare allo Stato 350 milioni di euro che non servivano. Una bestemmia per partiti abituati all’uso politico dei fondi. Una buona notizia per il cittadino-contribuente che, pero’, all’epoca non fece sentire la sua voce. Anche nei rari casi in cui la politica tenta di scuotersi e di correggere le anomalie piu’ clamorose, ci sono meccanismi che cominciano a funzionare in modo sotterraneo e, anno dopo anno, riportano alla situazione di partenza.
La previdenza integrativa
il caso di Italia Previdenza, societa’ dell’Inps che era stata creata per gestire sistemi di previdenza integrativa. Un affare mai decollato e dal quale, anzi, il governo ha alla fine escluso l’ente previdenziale. A quel punto l’allora ministro Damiano e il presidente dell’Inps presero la decisione piu’ ovvia: sciogliere la societa’. Che, pero’, per uno di quei miracoli che riescono cosi’ bene ai politici italiani, poco dopo e’ risorta. Una vera farsa con personaggi incredibili: gente capace anche di cumulare 40 incarichi. Una lettura spassosa se non fosse il racconto di come i soldi dei cittadini vengono buttati dalla finestra e di come il sistema Italia continua a essere tirato a fondo dalla sua pubblica amministrazione in un mondo in cui la competizione per sopravvivere e’ gia’ spietata e lo diventera’ ancor di piu’ con una crisi finanziaria globale che rende sempre piu’ accanita la battaglia per la conquista delle poche risorse disponibili.
La mancanza di spinta
L’importanza e il limite dei lavori di Stella – capostipite del genere dei libri di denuncia – e Rizzo sta proprio qui. Hanno conquistato un oceano di lettori, hanno suscitato ondate di indignazione, ma tutto questo non ha prodotto ne’ una vera spinta all’autoriforma della politica ne’ un movimento civile capace di stimolare il cambiamento: senza invettive ma stando sul pezzo giorno dopo giorno, marcando a uomo amministratori disinvolti e vecchi e nuovi boiardi. La libera stampa che controlla e denuncia, i cittadini che chiedono che di ogni euro speso venga dato conto ai contribuenti. Magari mettendo i dati di tutte le spese (salvo quelle che devono restare segrete per esigenze di sicurezza nazionale) su siti Internet del governo consultabili da chiunque, come sta facendo Obama negli Stati Uniti. Ma l’Italia non e’ l’America e la stampa non vive i suoi giorni migliori. Eppure il libro-termometro di Rizzo arriva in un momento-chiave: quando, con le privatizzazioni gia’ da tempo frenate, la crisi creditizia nata dai gravi errori del capitalismo finanziario anglosassone spinge verso una nuova dilatazione dell’intervento pubblico, necessario per ricapitalizzare banche sostanzialmente insolventi e per contrastare la spirale della recessione.
I Comuni nuovi gestori
Per anni abbiamo sperato di superare le anomalie di una pubblica amministrazione giudicata borbonica e irriformabile semplicemente riducendo l’area di intervento dello Stato in economia. Ora rischiamo di trovarci alle prese con una nuova ondata di statalismo, senza nemmeno aver completato l’opera precedente: le vecchie Partecipazioni statali sono state smantellate, il sistema bancario e’ uscito dalla logica del credito amministrato, si e’ aperto al mercato, ma molte incrostazioni sono rimaste (basti pensare a parlamentari e amministratori locali che continuano a sedere nei consigli di grandi holding che operano sui mercati internazionali e che hanno importanti azionisti stranieri), mentre la politica ha trovato nuovo livelli ? soprattutto quello delle amministrazioni municipali ? per reinventarsi un ruolo di gestore di attivita’ imprenditoriali. Ruoli prevalentemente affidati a parlamentari e sindaci non rieletti. quello che Giulio Tremonti ha definito il fenomeno della manomorta pubblica, impegnandosi a tentare di debellarlo. Piu’ facile a dirsi che a farsi nel Paese in cui Luca Cordero di Montezemolo ? ex presidente degli industriali italiani ? dichiara che le migliaia di societa’ pubbliche sono le uniche discariche che funzionano in questo Paese: discariche per politici trombati, senza che questo susciti un’ondata di indignazione, un moto di reazione. Nel Paese in cui vivo, gli Stati Uniti, degenerazioni ce ne sono, ma in scala assai piu’ ridotta, anche perche’ il sistema politico teme molto piu’ la reazione del contribuente. Certo, non e’ questo il momento in cui l’America puo’ dare lezioni al mondo, ma proprio dalla sua crisi finanziaria viene l’insegnamento piu’ utile: la crisi e’ nata da carenze di leggi e di controlli, ma soprattutto da un sistema di incentivazione perverso. Si premiavano con lauti bonus i manager che rischiavano di piu’, non quelli che producevano i risultati migliori nel lungo periodo. Finche’ in Italia politici e manager pubblici che dilapidano i soldi dei contribuenti verranno premiati con seggi parlamentari o incarichi ministeriali anziche’ essere semplicemente messi in condizione di non nuocere, non ci sara’ nessuna svolta.