Gli sprechi dei figli di Gheddafi

Una conferma sulla sobrietà della dinastia beduina potrebbe darla Dina, una bellissima femmina di razza dobermann. All’hotel «Là di Moret» , individuato da Saadi Gheddafi come il più lussuoso di Udine e dintorni (altrimenti mai si sarebbe abbassato a metterci piede) la bestia aveva una stanza tutta sua. Insieme con il suo personal trainer. Trasferitosi […]

Una conferma sulla sobrietà della dinastia beduina potrebbe darla Dina, una bellissima femmina di razza dobermann. All’hotel «Là di Moret» , individuato da Saadi Gheddafi come il più lussuoso di Udine e dintorni (altrimenti mai si sarebbe abbassato a metterci piede) la bestia aveva una stanza tutta sua. Insieme con il suo personal trainer. Trasferitosi all’Udinese per togliersi lo sfizio di fingersi un calciatore del campionato di serie A italiano, Saadi non ci aveva pensato due volte.
E oltre a una suite imperiale per sé e la moglie aveva affittato un totale di 13 stanze. Lo stretto necessario per le guardie del corpo, il segretario, qualche accompagnatore e appunto la cagna con tanto di istruttore individuale che risiedevano, annotò con divertita malizia Germano Bovolenta sulla Gazzetta, alla «603» . Il minimo, converrete, per un animale regale. Dopo di che, forse per consentire alla cara Dina di potersi sfogare correndo libera in un parco (si sa quanto ami la libertà, la famiglia Gheddafi) aveva affittato una dimora.
Per l’esattezza Villa Miotti, una meravigliosa villa a Tricesimo che costava tredicimila euro al mese. Caruccia, ma ventidue stanze più i bagni erano proprio il minimo per starci un po’ comodi con la moglie Amirah Elhamedi e i figli Mohamed e Sofia. Saadi, del resto, non si è mai trattato male.
Anni fa chi scrive lo incrociò casualmente a Rimini. «Come mai qui?» . Sorrise: «Perché tutti i ricchi vanno in vacanza in Costa Smeralda» . Non ama i ricchi? «Non tanto, preferisco il popolo che viene qui» . Soprattutto le ragazze del popolo. In particolare quelle più vistose che battevano le discoteche della riviera e lanciavano gridolini di entusiasmo vedendo il giovanotto, rampollo del presidente libico e della first lady tripolina Saffiya, arrivare al volante d’una popolarissima Ferrari Testarossa.
Anzi, per assaporare fino in fondo il clima, si era insediato nel cuore di Rimini: una suite al Grand Hotel. Un milione di lire a notte nel lontano 1995. Più le camere per la scorta. Altro milioncino. Niente, in confronto a quanto avrebbe speso anni dopo al Grand Hotel Excelsior di Rapallo davanti al quale aveva parcheggiato un immenso fuoristrada da 409 cavalli di cilindrata: per una quarantina di notti (compresa l’ospitalità a due cani, stavolta, ciascuno col suo accompagnatore) 392 mila euro. Pagati dalla Libia solo dopo una causa giudiziaria perché il «principe» beduino, dopo aver firmato la ricevuta, se ne era dimenticato. Diecimila euro a notte. Ah, l’inflazione, signora mia…
Assoldato da Luciano Gaucci al Perugia, si installò con tutta la sua corte nel bellissimo e costoso Grand Hotel Brufani. Se li ricordano ancora: tra moglie, figli, segretari, assistenti, amici, body guard, scrissero i giornali, erano in 42. Parecchi, per un calciatore mandato in campo rarissimamente e premiato per la sua dispendiosa passionaccia con cinque-minuti-cinque nella partita contro la Juventus. Così da dargli modo di poterlo raccontare ai nipoti: «Io, che giocavo contro la Juventus…» .
In patria, poi, si sentiva praticamente un incrocio fra Rivera e Schiaffino. Era contemporaneamente attaccante, capitano e presidente della squadra dell’Al Ittihad, nonché capitano della nazionale libica e lo trattavano come Svetonio racconta che i sudditi servili trattavano Nerone. Il quale, andato ad Olimpia nel 66 d. C. con una corte di cinquemila persone deciso a vincere tutto, a metà corsa della gara tra quadrighe, per un brusco movimento dei cavalli, fu sbalzato fuori dal cocchio imperiale.
A quel punto tutti gli avversari si fermarono, aspettarono che Nerone risalisse, si fecero sorpassare e lo lasciarono andare al trionfo. Va da sé che quando Franco Scoglio, l’allenatore italiano che era stato preso come allenatore della nazionale libica, lo escluse dalla squadra fu rispedito a casa: grazie, arrivederci. Ci mancherebbe altro! Come osava fare una cosa simile a uno che per imparare qualche trucco nel dribbling era arrivato ad assumere come personal trainer per un mesetto di full immersion Diego Armando Maradona, costato 5 milioni di euro?
 Uno che per impratichirsi sullo scatto bruciante aveva assunto con un assegno esorbitante anche Ben Johnson? «Modesti» sì, i sette fratelli Gheddafi, ma mai tirchi. E se il papà aveva dato loro lezione di umiltà, ad esempio sbarcando una volta al vertice africano in Ghana con un corteo di 300 (trecento) lussuose automobili e un container pieno di agnelli macellati, non ce n’è uno che negli anni non si sia fatto segnalare sui giornali di gossip di tutto il mondo per lo stile di vita espansivo ed expensive, cioè costoso. Molto costoso.
Lo stesso Seif al-Islam che oggi parla di «una famiglia molto modesta» finì sulle prime pagine dei giornali inglesi quando un paio di anni fa, come racconta l’Ansa, «comprò per 10 milioni di sterline una villa con otto camere da letto a Hampstead, nel nord di Londra, piscina e cinematografo incluso» .
Per non dire di quando invitò un po’ di amici e soprattutto amiche all’oasi di Jalu, in pieno deserto, a 1.250 chilometri a sud di Tripoli, per fare loro assistere nelle condizioni migliori alle eclissi di sole del marzo 2006. Riprendiamo, da La Stampa, la cronaca di Maria Corbi: «Capo spedizione di questo bizzarro gruppo vacanze è Marta Marzotto. Quattro tende bianche, un generatore, una cisterna, bagni chimici, una parabola satellitare: l’accampamento berbero ha tutti i comfort, compresa la tv. Lui, Saif, è circondato da ragazze.
 
C’è anche Giovanna Rigato, la vamp bionda di questa edizione del «Grande Fratello» che dall’alto dei suoi tacchi a spillo affonda nella sabbia…» . Neppure il sole, sparendo, quella volta, riuscì ad oscurare la grandeur di Seif al-Islam. Che per il diletto, oltre alla sventolona bionda di Canale 5, aveva rimorchiato laggiù anche un po’ di cavalli e di puledre, in particolare due fotomodelle bulgare e una russa, Roxana, che oltre ad essere portentosa aveva lo stesso nome della gran favorita circassa di Solimano il Magnifico.
L’unico che a suo tempo avrebbe potuto rivaleggiare (se non fosse stato più sobrio) con Seif il Magnifico. Il quale per la festa di Capodanno del 2009, all’isola caraibica di St Barth, decise che come figlio prediletto di Sua maestà Muammar Gheddafi aveva diritto a qualcosa di più che non un complessino da piano bar. E fece arrivare, perché gli cantasse quattro canzoni, la grande Mariah Carey. Costo: 1 milione di dollari. Duecentocinquantamila a canzone.
Poteva dunque l’anno dopo, sulla stessa isola, il fratello Hannibal essere da meno? No. Infatti, lui pure annoiato dalle orchestrine, assunse per la serata Beyoncé «Giselle» Knowles meglio nota come Beyoncé: due milioni di dollari. Unico impegno: «E dai, se ti chiedo una canzone in più la puoi fare…» .
Capricciosetto e piuttosto violento stando alle denunce della fidanzata Aline Skaf e dei domestici costretti a trascinarlo davanti ad un tribunale europeo («Essere al suo servizio vuol dire lavorare 22 ore al giorno quasi senza mangiare, cinghiate e sberle alla minima occasione, insulti e un salario da fame pagato una volta all’anno» ) Hannibal s’è ficcato spesso nei guai. Come la volta che con il fratello Moutassem facevano a gara in costa Smeralda a chi era più spavaldo al volante della Ferrari (una 360 con targa tedesca per il primo, una «Barchetta» blu metallizzata per il secondo) e a chi lanciava più bottiglie di champagne Veuve Clicquot dalla finestra della magnifica villa che avevano affittato a Porto Cervo.
E come dimenticare la notte in cui lo stesso Hannibal era stato beccato a Parigi mentre sfrecciava a 140 all’ora, contromano, sugli Champs-Elysées?
Quanto ad Aisha, la figlia prediletta, Gabriele Romagnoli raccontò qualche anno fa: «Una nota dell’opposizione libica pubblicata sul sito arabo Al Bawaba rivela che il costo della sua suite al Dorchester Hotel di Londra è di 2.000 euro per notte e sostiene che Aisha spende più denaro per questa causa che per quella palestinese, benché il suo motto sia: Sì all’intifada, no alla resa» .
Avvocato coinvolto nel processo in difesa di Saddam Hussein, più che alla carriera forense ha sempre mostrato di tenere di più ad altre cose. Come certi elogi giornalistici. Tipo quello del Foglio del dicembre 2003: «Accanto ai giovani leoni del deserto, c’è lei, Aisha. Chi l’ha chiamata la Claudia Schiffer di Tripoli, non capisce niente di donne. Aisha sarà anche bionda come la Barbie delle passerelle, ma sotto la pelle luminosa ha il vento rovente delle dune e al posto delle gambe due obelischi dritti e splendenti che porta in giro fasciati nei tailleur pantalone…» . Metti che non abbiano messo via qualche soldo per il domani da esuli: come se la caveranno, poveri ragazzi?
 
 
 

 

 

 

Gian Antonio Stella

 

 

«Modesta» . Tra tutti gli aggettivi che aveva a disposizione, Seif al-Islam Gheddafi, l’intellettuale della «real casa» tripolina sull’orlo del baratro, non poteva sceglierne uno peggiore per offendere i libici, insultare i poveri di tutto il mondo, sfondare la barriera del ridicolo. Eppure, commentando la decisione internazionale di sequestrare i beni della famiglia depositati all’estero, proprio così ha detto. Che l’ipotesi di «conti in Europa o in Svizzera» è «una barzelletta» : «Siamo una famiglia molto modesta e lo sanno tutti» .

 

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