Gli ostacoli alla crescita

Almeno per quel che ci riguarda, non e’ vero che la crisi economica sia la conseguenza di una mancanza di regole e della conseguente anarchia del mercato. E’ vero il contrario. La cultura dirigista, che non si chiede mai come stanno le cose, ma preferisce immaginarle come vorrebbe che fossero, ha la stessa lingua di […]

Almeno per quel che ci riguarda, non e’ vero che la crisi economica sia la conseguenza di una mancanza di regole e della conseguente anarchia del mercato. E’ vero il contrario. La cultura dirigista, che non si chiede mai come stanno le cose, ma preferisce immaginarle come vorrebbe che fossero, ha la stessa lingua di legno a tutte le latitudini. Ai tempi della Grande menzogna sovietica ? stravolgendo persino Marx ? chiamava dittatura del proletariato la dittatura del Partito comunista; ora, anche negli Stati Uniti, la stessa cultura giustifica l’interventismo pubblico in economia? che gonfia il disavanzo federale per salvare coloro i quali (too big to fail) sono i finanziatori delle campagne elettorali di ogni presidente di turno ? accampando la salvaguardia dei posti di lavoro di quegli stessi cittadini che, con le loro tasse, pagano, oltre gli errori dello Stato (la Fed), il salvataggio di chi li ha derubati.

Il nostro ministro dell’ Economia ci ha risparmiato un ulteriore saccheggio della finanza pubblica stringendo i cordoni della borsa. Questo perche’ le nostre banche hanno retto meglio alla crisi finanziaria; e lo Stato ? malgrado l’elevata pressione fiscale ? non puo’ permettersi spese ulteriori. Ma restano i problemi, strutturali, che risalgono a prima della crisi, agli inizi degli anni Duemila: bassa crescita della produttivita’, poca internazionalizzazione. I costi che le aziende devono sostenere? di produzione, nelle reciproche transazioni e burocratici?sono elevati e non piu’ compensati dal basso costo del lavoro (per la concorrenza dei Paesi emergenti) e dalle svalutazioni competitive (per i vincoli europei). Adesso le imprese, quando vogliono collocare i loro prodotti sui mercati globali, possono contare solo sulla qualita’ di quello che offrono (Federica Guidi, in Dopo! Come ripartire dopo la crisi, Ibl- Libri, pagg. 196, 22 euro).

Ma le leggi sono troppe e spesso contraddittorie; cambiano in continuazione e producono incertezza del diritto; la risoluzione in via giudiziaria delle controversie e’ lenta. Presidente Berlusconi, lei da imprenditore, prima che da politico, queste cose le sa meglio di noi. Ha persino nominato un ministro affinche’ vi provveda. Sono indilazionabili, e non costano: 1) la semplificazione amministrativa che riduca il numero degli adempimenti burocratici (compreso il pagamento delle tasse, costano alla Piccola e media impresa 16,2 miliardi l’anno); 2) la semplificazione normativa, che riduca il numero di leggi dello Stato e di regolamenti degli Enti locali (facilitano la diffusione della corruzione); 3) l’incremento della produttivita’ del sistema giudiziario civilistico (i tempi lunghi scoraggiano gli investimenti esteri). Ministri Calderoli e Alfano, se ci siete battete un colpo.

Il welfare e’ vecchio, costoso e inadeguato. La proposta Ichino in materia di protezione sociale ? scrive Piercamillo Falasca nello stesso volume dell’Ibl-Libri ? appare una buona traduzione in versione italiana del modello danese: nelle imprese disposte a farsi carico per i propri dipendenti di una sicurezza nel mercato del lavoro a livello danese, si applicherebbe anche una disciplina dei licenziamenti di tipo danese. Tremonti dice inoltre che le pensioni non si toccano. Per una volta, Presidente Berlusconi, lo contraddica. urgente una Maastricht previdenziale (si va in pensione troppo presto rispetto alla media Ue e la spesa assorbe un eccesso di risorse rispetto ad altre prestazioni). Ci sono poi gli sprechi: nella Sanita’, nella Pubblica amministrazione, nella Scuola, nella Giustizia, soprattutto al Sud, non si contano. Presidente Berlusconi, guardi al nostro Meridione non solo come una risorsa, ma anche come un problema.

Siamo, con la Francia, il Paese col piu’ alto livello di pressione fiscale. In Italia, le imprese devono sopportare una tassazione di circa 20 punti superiore a quella del Giappone, un differenziale di 27 punti percentuali rispetto all’Ue e di oltre 30 punti rispetto agli Usa (Andrea Giuricin, Complessita’ e onerosita’ del sistema fiscale, ibidem). La tassazione rappresenta in se’ un restringimento della liberta’ di mercato: piu’ alto e’ il carico fiscale sulle imprese e sui cittadini in generale, piu’ elevate saranno le barriere di ingresso, a discapito di potenziali concorrenti interni ed esteri… Una tassazione elevata disincentiva inoltre gli investimenti, frenando la spinta all’innovazione (ibidem). Presidente Berlusconi, ricorda che ci aveva promesso tre aliquote, zero, 23, 33%? Il Paese ha bisogno di uno scatto.

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