Il presidente avverte che, secondo le intese intercorse, la trattazione dei restanti argomenti iscritti all’ordine del giorno è rinviata ad altra seduta». Due righe del resoconto stenografico di aula del 31 maggio bastano a fotografare l’ultimo regalino in ordine di tempo con cui si è concluso un trimestre esemplare per l’attività parlamentare: a marzo, aprile e maggio a Montecitorio 39 giorni di lavoro e 53 di riposo, mentre ai senatori è andata pure meglio, 32 giorni di lavoro e 60 di fermo, sabati e domeniche compresi, per carità.
Martedì 31 maggio alla Camera il presidente di turno è Rocco Buttiglione, qualcuno, come Giuliano Cazzola e Savino Pezzotta, celebra pure il quindicesimo anniversario della morte di uno strenuo difensore dei lavoratori, Luciano Lama. Sono passate 24 ore dai risultati dei ballottaggi che hanno tenuto il Paese col fiato sospeso e le Camere chiuse: tutti già scommettono sul «ritorno di fiamma» che la sconfitta alle urne del centrodestra provocherà sulla complessa agenda di lavori parlamentari. E invece l’annuncio di Buttiglione, intorno alle 12, fa tirare il fiato ai 485 onorevoli presenti (su 630) che all’ora di pranzo possono squagliarsela e guadagnare un’altra settimana corta di riposo, complice la festa del 2 giugno da celebrare, che, tra parentesi, si svolge 48 ore dopo.
I capigruppo hanno infatti deciso di rinviare per motivi vari tutti i nodi cruciali: non solo la legge sull’omofobia, voluta dalla piddì Paola Concia e stoppata in commissione dal Pdl con grande sdegno della Carfagna; non solo il decreto sviluppo, con la stabilizzazione dei precari, slittato anch’esso al 13 giugno. Ma anche la verifica sul rimpasto di governo, chiesta dal Colle, sarà votata dal 20 al 24 giugno, dopo il giro di boa dei leghisti a Pontida, dopo i referendum e il più lontano possibile dalla scoppola elettorale del centrodestra. Nemmeno al centrosinistra è andata poi male, perché se pure avrebbe voluto la verifica «a caldo» questa settimana, almeno ha portato a casa uno slittamento del biotestamento, gradito alle curie, a data da destinarsi. E quindi martedì 31, dopo una bella votazione bipartisan sulle regole di voto per i residenti all’estero, tutti a casa, ci si rivede lunedì 6 giugno.
Si dirà, ma a maggio ci sono state le amministrative, 12 milioni di italiani al voto, la campagna «ventre a terra» nei «campanili»: e infatti per dare ai 1000 parlamentari libero sfogo, dal6 al 17 i lavori si sono fermati, così come dal 26 al 30 per tornare sui campi di gioco dei ballottaggi; ad aprile c’era la Santa Pasqua da celebrare ed infatti tutti in famiglia dal 21 al 27; ma anche a marzo una settimana corta ci stava bene: quando se la son presa? Dal 17, giorno delle celebrazioni solenni in aula dell’Unità d’Italia al 23, cinque giorni pieni, dopo aver discusso per mesi se era il caso di regalare agli italiani un solo giorno di festa.
A voler essere pignoli cadendo nella pedanteria, lo spulcio di ogni singola votazione dell’ultimo mese di maggio mostra che in realtà di quegli 11 giorni di lavoro, 4 si riducono a sedute di 40 minuti, di un’ora e cinque, di una mattina o di un pomeriggio, dedicate a interpellanze o all’ascolto di informative del governo su fatti vari. E quanti siano gli «onorevoli» secchioni che si prendono la briga di esser al loro posto in aula in queste occasioni è facile immaginarlo. Obiezione: ma non c’è solo l’aula, sopra il piano terra ci sono tre piani di commissioni e giunte. Vero. E Basta prendere le convocazioni delle 14 commissioni permanenti della Camera per scoprire che le sedute cominciano quasi sempre alle 14 per concludersi spesso alle 14,25 o alle 15, in tempo per l’aula, e questo solo dal martedì al giovedì. Bene che vada, perché a maggio, su 14 giorni di lavoro delle commissioni, stando ai resoconti ufficiali, solo in cinque casi, il 31, 25, 18, 4 e 3 maggio, le 14 commissioni al completo e le giunte erano tutte convocate. Gli altri giorni, un andamento a fisarmonica, una volta una, altre volte quattro, o sette commissioni all’appello.
Dunque fa quasi tenerezza leggere una delle tante interrogazioni, in questo caso della giovane Pd Elisabetta Rampi, che chiede al ministro della Difesa di fare qualcosa per i 350 mila uomini e donne mutilati mentre servivano in varia forma, militare o civile, lo Stato e le istituzioni. Sono gli iscritti all’Unione Nazionale Mutilati per servizio, che seguono con ansia l’iter dei 9 disegni di legge bipartisan mirati a garantire loro una maggiore tutela. Nove documenti che giacciono nelle commissioni di merito, «in attesa di essere discussi ed approvati». Quando il calendario lo consentirà, perché l’usanza in voga da anni è convocare le commissioni nelle pause delle votazioni in aula, visto che il regolamento proibisce la sovrapposizione. Ma non proibisce la convocazione il lunedì mattina, il giovedì e il venerdì, quando l’aula è ferma. E dunque, come si vede, la battaglia di Fini, che voleva istituire tre settimane di lavoro continuato dal lunedì al venerdì ed una settimana di pausa ogni mese per il ritorno nei collegi, è rimasta solo un bell’auspicio. Tanto più che con questa legge elettorale gli onorevoli non sono neanche più obbligati a starsene a casa per curarsi il collegio, perché un collegio non ce l’hanno dall’anno domini 2005.
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