di Franco Gàbici
Se è vero che una rondine non fa primavera, è anche vero che non bastano due ruote per fare una bicicletta, almeno come la intendiamo oggi. Nel 1790, infatti, un certo Mede De Sivrac aveva costruito una macchina che poteva assomigliare alla bici, ma si trattava di un marchingegno molto semplice costituito da una trave di legno sulla quale erano state fissate due ruote. Chi usava questa macchina, che fu chiamata «celerifero», doveva mettersi in arcione alla trave e se voleva muoversi doveva usare le gambe. Questo nuovo strumento, dunque, non era altro che un modo tutto nuovo di camminare pur restando seduti! Il «celerifero», dunque, non aveva pedali e non aveva nemmeno il manubrio, per cui se si voleva cambiar direzione si doveva scendere, puntare la macchina nella direzione desiderata e rimontare sulla trave, dove era stato sistemato un cuscino per la comodità del pilota.
Sembra che De Sivrac non abbia avuto l’idea di brevettare la sua idea e così per molto tempo artigiani di ogni specie si impossessarono del modello facendogli assumere le forme più svariate e stravaganti. La nuova macchina, infatti, non era ancora considerata un vero e proprio mezzo di trasporto ma uno stravagante passatempo dettato dalla moda del momento.
Una ventina d’anni dopo il tedesco Karl von Drais perfezionò il «celerifero» dotandolo del manubrio girevole ed è proprio il caso di dire che si trattò di una vera "svolta" nella storia della bicicletta perché finalmente con il «celerifero» si poteva sterzare. E Drais, soddisfatto della sua invenzione, chiamò «draisina» il nuovo veicolo che in Francia fu brevettato con il nome di «velocipede».
Ma la bicicletta vera e propria, come noi oggi la intendiamo, secondo alcuni sarebbe nata centocinquant’anni fa, nel 1861, e il condizionale è d’obbligo perché non tutti concordano sulle date e questa imprecisione nel datare le tappe storiche della bicicletta è ribadita dal fatto che nel 1990 si è costituita la International Cycling History Conference (Ichc), un sodalizio internazionale che si raduna ogni anno per fare il punto sugli argomenti intorno alla bicicletta e per mettere un po’ di ordine nella cronologia delle invenzioni dei suoi accessori. Ogni paese, infatti, vorrebbe aver dato i natali alla bicicletta e Curzio Malaparte pianse di umiliazione e di tristezza quando venne a sapere che la bicicletta non era stata inventata da un italiano!
Nel 1861, dunque, un geniale fabbro francese di nome Ernest Michaux si trovò fra le mani una «draisina» da riparare e il giovanissimo fabbro (aveva solamente quattordici anni!) non si limitò a rimetterla in sesto ma apportò alcune modifiche sostanziali. Dopo averla notevolmente ingrandita, applicò alla ruota anteriore due pedivelle per azionarla e sostituì il rudimentale cuscino sul quale sedeva il guidatore con una vera e propria sella dalla caratteristica forma allungata.
Questa nuova macchina, che si diffuse moltissimo specialmente in Francia, venne chiamata «michaudine» ed Ernest, insieme al padre Pierre, fondò una azienda per la produzione. Ma purtroppo padre e figlio non ebbero fortuna. Ernest, infatti, morì in un ospedale parigino in assoluta povertà e la stessa sorte toccò a suo padre.
La fisionomia della bicicletta avrebbe cambiato radicalmente aspetto pochi anni dopo quando Meyer inventò le ruote con i raggi e quando cominciarono ad essere montate ruote dello stesso diametro. Un’altra importante innovazione fu l’introduzione di ingranaggi con trasmissione a catena e la ruota libera, che permetteva al ciclista di sospendere la pedalata, un esercizio che non doveva essere molto agevole. Mancavano, infatti, i cuscinetti a sfera e i pneumatici e soprattutto l’assenza di questi ultimi trasformava l’andare in bicicletta in un vero supplizio. Chi pedalava, infatti, doveva mettere in conto le fastidiose vibrazioni indotte da un mezzo che a ragione si era guadagnato l’epiteto di «boneshaker» (scuoti-ossa). I pneumatici furono inventati da John Dunlop, un geniale veterinario scozzese che nel 1888 aveva applicato il primo esemplare di pneumatico al triciclo di suo figlio.
Un strumento del genere, votato alla velocità, poteva però trasformarsi in un gioco pericoloso e così, a completare la carta d’identità della bicicletta, arrivarono anche i freni, che resero molto più sicuro questo mezzo regalato dalla moderna tecnologia.
In Italia il primo costruttore di biciclette fu il meccanico milanese Edoardo Bianchi. Le biciclette di Bianchi attirarono l’attenzione della regina Margherita che invitò il meccanico nella Villa reale di Monza perché voleva imparare a usarle. E Bianchi, in quell’occasione, costruì per la regina la prima bicicletta da donna, di colore celeste e con lo stemma in oro dei Savoia sul telaio. La bici aveva le manopole d’avorio e fu presentata alla regina dentro a uno speciale astuccio in legno foderato di velluto rosso. La notizia fece il giro del mondo e Bianchi, che nel frattempo era stato nominato «Fornitore ufficiale della real casa», fu costretto a impiantare una vera e propria catena di montaggio per soddisfare le richieste che gli venivano da tutta Europa.