“Debellare la fame si puo'”

Il fatto che gli affamati di questo mondo siano diminuiti – da 1,02 miliardi nel 2009 a 925 milioni – non vuol dire che le cause strutturali di questa tragedia planetaria siano di fatto affrontate e sconfitte. Decenni di investimenti insufficienti nell’agricoltura e la cieca ingordigia del versante ricco del mondo, all’origine di politiche commerciali, […]

Il fatto che gli affamati di questo mondo siano diminuiti – da 1,02 miliardi nel 2009 a 925 milioni – non vuol dire che le cause strutturali di questa tragedia planetaria siano di fatto affrontate e sconfitte. Decenni di investimenti insufficienti nell’agricoltura e la cieca ingordigia del versante ricco del mondo, all’origine di politiche commerciali, tanto ingiuste quanto miopi, hanno indebolito la capacita’ dei piccoli coltivatori di produrre, rendendo i poveri dei paesi “in via di sviluppo” ancor piu’ vulnerabili. Basterebbe solo un’altra crisi dei prezzi dei prodotti alimentari per far riprecipitare la situazione. Dunque, quali sono le cause fondamentali alla base della fame e’ presto detto:

1) Gli incentivi agli agro-carburanti, largamente diffusi nei paesi occidentali, che avvantaggiano in modo sleale i coltivatori dei paesi ricchi, alterando cosi’ le regole degli scambi commerciali nel tanto celebrato “libero mercato” globale;
2) Le ciniche e incontrollate speculazioni finanziarie sui mercati delle materie prime.
3) Una domanda crescente di carne ed energia di colossi emergenti (Cina, India, Brasile).
4) Una produttivita’ agricola stagnante, soprattutto nell’Africa sub-Sahariana.
5) L’impatto dei cambiamenti climatici sui raccolti e sui mezzi di sussistenza di intere popolazioni.

La riunione alla FAO. In occasione del meeting annuale del Comitato sulla Sicurezza Alimentare Mondiale (Committee on World Food Security – CFS), in corso a Roma per decisioni chiare ed ambiziose, Oxfam Italia – parte del network internazionale di Oxfam 1, organizzazione quarta al mondo nella lotta alla poverta’, con progetti in 99 paesi e centinaia di migliaia di volontari e al quale si e’ di recente affiliata l’Ong italiana Ucodep 2 – presenta un rapporto con un titolo incoraggiante: “Insieme per la fame: Come l’Italia e i governi del Nord e del Sud del mondo possono dimezzare la fame entro il 2015”.

Tutti i “Se”. “Mentre il 2015 si avvicina – si legge nel rapporto – la crisi globale sta spingendo inesorabilmente fuori portata gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. L’unica possibilita’ per raggiungerli e’ realizzare un piano d’emergenza che li affronti tutti, con ambiziose misure politiche e finanziarie concrete. Insomma, dimezzare la fame e’ ancora possibile, secondo Oxfam, ma con alcuni “Se”:

1) Se i paesi poveri in via di sviluppo fanno proprio questo impegno, perseguendolo con politiche e investimenti adeguati.
2) Se l’Italia e gli altri paesi donatori aumentano drasticamente gli aiuti destinati all’agricoltura, alla sicurezza alimentare e alla protezione sociale e sostengono i piani elaborati a livello nazionale e regionale dai paesi in via di sviluppo.
3) Se tutti i governi affrontano insieme tutto cio’ che minaccia la sicurezza alimentare.

E’ tempo di decisioni coraggiose. Nel 2009 l’Italia ha dimostrato di voler raccogliere la sfida, promuovendo un’iniziativa sulla sicurezza alimentare al G8 de L’Aquila: oggi, il nostro Paese non puo’ permettere che – a causa del mancato aiuto italiano – piu’ di 21 milioni di persone siano condannate a fame e malnutrizione. Il nostro Paese – membro del G8, del G20 e sede delle agenzie ONU dedite all’agricoltura e alla sicurezza alimentare – deve fare la sua parte nella lotta alla fame anche migliorando la coerenza delle sue politiche. E’ arrivato il tempo di prendere decisioni coraggiose.

Gli esempi del Malawi e del Brasile. Anche perche’ alcuni paesi hanno gia’ dimostrato di saper raggiungere enormi progressi nella riduzione della fame, attraverso una combinazione positive di politiche e investimenti efficaci. Il Malawi, per esempio, non dipende piu’ dagli aiuti alimentari ed e’ addirittura diventato esportatore di cibo, dopo aver migliorato l’accesso dei piccoli produttori a sementi e fertilizzanti sovvenzionandole. Mentre il Brasile ha reso la lotta contro la fame una politica di Stato, unendo programmi di protezione sociale al sostegno all’agricoltura a conduzione familiare.

Finora soltanto annunci. Ma non tutti possono farcela da soli: ci vuole l’impegno dei leader del mondo. Se infatti le promesse dei leader potessero sfamare le persone – sostiene Oxfam – non rimarrebbe un solo individuo affamato sulla faccia della Terra. I leader politici hanno dimostrato, dunque, una spiccata inclinazione ad annunciare impegni, anziche’ realizzarli. L’Italia, in questo, sembra voler battere ogni record. Ne ha dato un esempio durante il G8 dell’Aquila, quando il capo del governo ha annunciato la “buona notizia” di voler contribuire agli aiuti per l’agricoltura e la sicurezza alimentare con una somma che poi si e’ rivelata inferiore del 56% rispetto a quella del 2009.

Credibilita’ minata. In questo modo, l’Italia, invece di contribuire in modo serio a un’iniziativa presa sotto la sua presidenza del G8, la indebolisce minandone la credibilita’ e la trasparenza. Nonostante i bisogni di aiuti alimentari siano sempre elevati, l’Italia ha inoltre diminuito il suo contributo al Programma Alimentare Mondiale (PAM) di piu’ di due terzi tra il 2008 ed il 2009/10. Se l’Italia avesse mantenuto il suo livello di aiuti, seppur magro, piu’ di 820.000 persone (quanto la popolazione di una media citta’ italiana) sarebbero sfuggite alla fame: la decisione di tagliare gli aiuti si carica di una drammatica responsabilita’.

Progetti frammentati. Non solo la quantita’ di aiuti e’ insufficiente, ma lo e’ anche la qualita’: i Principi di Roma per la Sicurezza Alimentare Globale Sostenibile – ideati per assicurare ai governi dei paesi poveri il coordinamento e finanziamenti nazionali prevedibili – sono lontani dall’essere messi in campo. L’aiuto italiano nel settore agricolo e’ ancora basato su piccoli progetti frammentati (nel 2008 piu’ della meta’ sono costituiti da investimenti inferiori a 50mila dollari) e spesso vincolati a criteri inefficaci di finanziamento. Un dato per tutti: nonostante l’inefficacia degli aiuti alimentari in natura acquistati e spediti nei paesi del Nord sia ormai ampiamente riconosciuta, l’Italia, nel 2008, continuava a fornire l’81% dei suoi aiuti alimentari in natura, acquistandoli e spedendoli dall’Italia.

L’impegno dei paesi poveri. I paesi in via di sviluppo, dunque – sostiene Oxfam Italia – “devono prendere l’iniziativa nel rinnovare lo sforzo globale per dimezzare la fame, adottando delle politiche e dei piani adeguati e incrementando gli investimenti pubblici nei settori principali, tra cui l’agricoltura. I governi – si legge ancora nel rapporto – hanno l’obbligo legale di garantire ai loro cittadini il diritto a cibo e a mezzi di sussistenza adeguati e sostenibili”. Un incitamento giusto, che illumina un punto centrale del problema, quello della stabilita’ politica, dell’affidabilita’ democratica e della capacita’ di controllare la corruzione parassitaria annidata nella maggior parte degli apparati pubblici nei paesi dove la fame e’ piu’ diffusa.

L’abbandono di 21 milioni di persone. E’ la conseguenza se l’Italia non fara’ la sua parte per aumentare le risorse per la sicurezza alimentare e l’agricoltura. Ventuno milioni di persone lasciati a lottare contro la fame una battaglia iniqua e impossibile da vincere. Una cifra agghiacciante, un terzo della popolazione italiana. L’Italia, tuttavia, non e’ l’unico paese a dover aumentare gli aiuti. Sulla base dei dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), Oxfam stima che sia necessario, per raggiungere i il traguardo del 2015, un aumento di 75 miliardi di dollari all’anno da investire in sviluppo agricolo e rurale, sicurezza alimentare, protezione sociale, programmi di nutrizione e assistenza alimentare. I donatori dovrebbero fornire meta’ di questo ammontare sotto forma di “aiuto pubblico allo sviluppo” (APS) e il contributo dell’altra meta’ dovrebbe provenire dai budget nazionali dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, in un vero partenariato globale contro la fame.

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