Dagli scarti tecnologici le risorse per un futuro più pulito

Oltre schede madri, condensatori, alimentatori, Ram, dischi rigidi e Cpu, per costruire un normale computer desktop ci vogliono anche 240 kg di combustibile fossile, 23 kg di sostanze chimiche e 1.512 kg di acqua, secondo la stima di Eric D. Williams, dell’Arizona State University. Moltiplicando questi numeri per i 600milioni di computer dismessi negli ultimi […]

Oltre schede madri, condensatori, alimentatori, Ram, dischi rigidi e Cpu, per costruire un normale computer desktop ci vogliono anche 240 kg di combustibile fossile, 23 kg di sostanze chimiche e 1.512 kg di acqua, secondo la stima di Eric D. Williams, dell’Arizona State University. Moltiplicando questi numeri per i 600milioni di computer dismessi negli ultimi cinque anni, la situazione assume proporzioni enormi.

Qualcuno, quindi, ha pensato bene di rimboccarsi le maniche per ridare vita ai computer dismessi, riportarli in funzione e risparmiare all’ambiente, per ogni singolo computer, 13 kg di rifiuti pericolosi, 35 kg di rifiuti solidi, altrettanti di rifiuti di materiali, 80 litri di acqua inquinata, 32 tonnellate di aria inquinata, 605 kg di anidride carbonica in termini di emissioni e 7.719 chilowatt di energia, secondo le stime dell’Environmental Protection Agency.

Sono i gruppi di «trashware», tanti in Italia e dislocati in tutte le regioni, che si dedicano al recupero dei computer da buttare via. Il termine è il frutto dell’unione di due parole, «trash», spazzatura, e «hardware», e indica l’attività mirata al recupero di hardware ritenuti non più produttivi da singoli, aziende e pubbliche amministrazioni, riutilizzandoli in altri contesti, attraverso altri soggetti.

Si inizia con il recupero di materiale informatico dismesso ma funzionante, lo si dota di software liberi e si consegna poi il computer restituito a nuova vita, a titolo gratuito, a progetti solidali, di utilità sociale o culturale. Solo in Italia, c’è l’associazione Oil (Officina Informatica Libera) di Torino e c’è il progetto Radis di Asti, ci sono il Trashware Cesena, il progetto Trashflow della Valdelsa e Binario Etico, tanto per citarne alcuni.

Tutti, portano avanti un’attività importante, se si considera che proprio in questi anni si sta verificando la prima massiccia dismissione di computer, complice l’informatica di largo consumo, iniziata negli anni Novanta, che ha portato almeno un pc in ogni casa e in ogni ufficio. Centinaia di milioni di computer, dichiarati ’mortì, dovranno trovare una collocazione nella discarica. Se riutilizzati, almeno in parte, il compito potrebbe essere meno gravoso. Lo smaltimento dei pc è infatti tra i più pericolosi per il rischio di contaminazione ambientale che comporta.

I principali problemi derivanti da questo tipo di rifiuti sono la presenza di sostanze considerate tossiche per l’ambiente e la non biodegradabilità degli apparecchi. Per questo, i computer vanno trattati correttamente e destinati al recupero differenziato dei materiali di cui sono composti (rame, ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, piombo, mercurio). Questo tipo di rifiuti sono comunemente definiti Raee e sono regolamentati dalla Direttiva Raee (o Direttiva Weee da «Waste of electric and electronic equipment»), recepita in Italia dal Decreto «Raee».

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