Compie sessant’anni, sbarca
in Cina, ripensa se stesso
collocandosi sempre di più
nella fascia più alta del mercato.
Ma, anche, in testa all’elenco
dei grandi operatori
turistici che pensano alla sostenibilità, all’ambiente,
all’incrocio – ormai inevitabile,
dato il numero e la collocazione delle
bandierine sulla mappa del pianeta – tra
culture e abitudini diverse. Non è difficile
leggere il Club Med come una metafora
del modo di vivere occidentale, di uno
standard fatto di comfort, buona cucina,
vacanze spartane ma non troppo, sport,
grandi spazi, villaggi pensati per le famiglie
e resort di lusso, ma anche destinazioni
per soli adulti alla ricerca di vita
notturna e vacanze no kids.
E forse è proprio per questo
che, mentre ha in cantiere
cinque nuovi villaggi in Cina,
uno dei quali, Yabuli, ha già
aperto i battenti (gli altri lo
faranno nei prossimi tre anni),
il Club spinge l’acceleratore
su iniziative come la Fondation
Club Mediterranée,
2.150 GO (Gentils organisateurs:
lo staff) volontari che ogni anno si
impegnano per bambini e ragazzi nei
luoghi dove sorgono i villaggi, raccolgono
fondi e regalano lezioni, contribuiscono a
costruire ospedali e scuole.
Il 2010 ha fatto registrare al gigante
francese del turismo «da pionieri» le prime
cifre positive dopo i momenti più bui
della crisi: 8 milioni di utili e nuove aperture
dopo anni nei quali questa parola
non si pronunciava neppure, mentre in
Italia si sperimentano formule di alta
gamma e compatibilità ambientale a Cefalù,
in Sicilia, e si cercano nuovi spazi in
Sardegna e sulle Alpi. «La Cina» dice Gino
Andreetta, direttore generale di Club
Med in Italia «diventerà presto un mercato
leader sia in termini di clientela sia
come destinazione. Ne siamo convinti, e
per questo, dopo Yabuli lavoriamo su
nuove destinazioni marine in quel paese.
In questo senso, non so fino a che punto
si possa ancora parlare del nostro come
di un modello “occidentale”. Certo, i nostri
clienti, europei in primo luogo, ma
anche americani, canadesi, e sempre di
più anche orientali, si aspettano di trovare
GO provenienti da tutto il mondo, cucina
internazionale accanto a quella del
paese dove ci si trova, e un’ospitalità conviviale
tutta mediterranea».
Lavorando a due velocità – personale
internazionale da un lato e risorse umane
reclutate sul posto dall’altro – Club
Med riesce a integrarsi con le realtà locali
e sembra permettersi il lusso di passare
sopra ai conflitti culturali, politici e
religiosi che scuotono il pianeta. Così, in
Turchia, sarà difficile vedere una donna
servire ai tavoli dei ristoranti, mentre
nella vicina Grecia accade il contrario. In
compenso proprio la Turchia è ormai
una delle mete più amate dalla clientela
islamica, con un certo numero di giovani
madri libanesi felici di potersi bagnare in
burkini senza che nessuno lo trovi strano.
I turisti israeliani, un tempo molto
più numerosi nei villaggi del Club, sembrano
aver ripiegato sulle destinazioni
invernali, nel cuore dell’Europa, verosi-
milmente percepito come più sicuro e
amichevole, ma sulle spiagge del Sud sono
rimasti i cartelli in ebraico. La cucina
kasher si può gustare soltanto in uno dei
due ristoranti di Coral Beach, unico villaggio
del Club in Israele, mentre pasti
halal – rispettosi della tradizione musulmana
– vengono proposti al personale al
lavoro nei villaggi dei paesi islamici.
Il futuro sembra, sempre di più,
orientato verso un nuovo modello di lusso
eco-chic: costruzioni certificate secondo
le più rigorose regole di risparmio
energetico e impatto ambientale, come
l’hqe (haute qualité environmental), vere e
proprie case personalizzate, come quelle
di Albion, a Mauritius, mentre il brasiliano
Rio Das Pedras è da poco diventato il
secondo Resort Eco Natura del gruppo.
Sul fronte opposto, c’è la dismissione
o la ristrutturazione radicale dei villaggi
che fino a ieri erano rimasti a soli tre tridenti,
il modo del Club di classificare le
proprie strutture. E se è vero che sempre
più spesso i villaggi offrono, accanto
alle classiche «casette», l’alternativa di
un vero e proprio albergo, è vero anche
che il Club difende la propria identità
storica evitando la costruzione di edifici
troppo vistosi, alti e imponenti: «Cerchiamo
di ambientarci nel luogo in cui ci
troviamo, a cominciare dalla mano
d’opera locale», spiegano Andreetta e Jean
Kerboul, responsabile del marketing
per il mercato italiano.
Anche gli aspetti etici stanno assumendo
maggiore importanza. L’opulenza
dei buffet dove ciascuno può servirsi
a volontà non può essere cancellata in
un giorno, e resta per altro tra le prime
motivazioni di chi sceglie villaggi e resort.
Ma i cuochi, quasi sempre personale
locale che ha seguito una formazione
di almeno sei mesi, vengono addestrati
a preparare «a richiesta» i piatti
davanti ai clienti. Risultato: cotture impeccabili,
pasta al dente e, soprattutto,
riduzione degli sprechi. Impianti di depurazione
e riciclo delle acque vengono
installati un po’ ovunque nelle vecchie e
nelle nuove strutture, mentre
i responsabili degli acquisti
cercano di dare la precedenza
alle coltivazioni locali,
meglio se biologiche.
I team di GO, età media
trent’anni, sono composti per
metà da donne, mentre la disabilità
occupa un posto importante
nelle politiche di
ospitalità del Club (nessuna barriera architettonica,
assistenza a chi non può
muoversi da solo) e, negli ultimi anni, si
riflette anche nelle politiche di reclutamento
del personale. Ogni anno, l’ultimo
mercoledì di giugno, i Club di tutto il
mondo aprono le porte ai bambini dei
dintorni: è il Gouter planétaire, la merenda
globale, che, per un giorno, consente a
tutti di entrare in un mondo talora molto
lontano dalle condizioni quotidiane del
paese o della regione. Si pianta un albero,
ma si continua anche dopo, con GO
che utilizzano le vacanze per insegnare
francese e uso del computer nelle scuole
africane, scuole sportive come quella che
in Malesia forma i ragazzi del posto a diventare
gli istruttori del domani o giornate
sulla neve per raccogliere fondi.
Insomma, il Club Med ci somiglia: fa
affari con la Cina, ma si preoccupa di
risparmiare energia, si mette (blandamente)
a dieta e cerca di farsi, o rifarsi, una coscienza.