Crisi, gli economisti alla sbarra. Ecco l’atto d’accusa

Con la crisi, agli economisti vengono mosse quattro accuse, che ritengo ingiustificate. Eccole. 1) Gli economisti non hanno previsto la crisi. Su questo punto c’e’ molta confusione. importante distinguere fra shock e propagazione degli shock. I primi sono, per definizione, non prevedibili. Dai sismologi non pretendiamo che prevedano i terremoti, ma che ci diano indicazioni […]

Con la crisi, agli economisti vengono mosse quattro accuse, che ritengo ingiustificate. Eccole.
1) Gli economisti non hanno previsto la crisi.
Su questo punto c’e’ molta confusione. importante distinguere fra
shock e propagazione degli shock. I primi sono, per definizione, non
prevedibili. Dai sismologi non pretendiamo che prevedano i terremoti,
ma che ci diano indicazioni di cosa succedera’ in certe zone se dovesse
accadere un terremoto di una certa intensita’. Per questo una critica
piu’ seria e’ che gli economisti non hanno saputo prevedere le
conseguenze degli shock, una volta che questi si sono realizzati.

2) Non hanno saputo prevedere ne’ capire, perche’ la metodologia economica prevalente si basa su modelli troppo astratti e matematici.
Questa
critica e’ frutto dell’ignoranza sugli sviluppi della scienza economica.
Per molti qualsiasi differenza dall’approccio discorsivo e informale
della “General Theory” di Keynes viene interpretato come il frutto di
una forma mentis che costringerebbe la realta’ ad accordarsi con modelli
astratti. Chi fa questa critica ignora o non capisce l’enorme
letteratura prodotta da eccellenti economisti che hanno allo stesso
tempo una preparazione formale e una profonda conoscenza dell’economia
reale. Spesso ignora e non capisce l’enorme letteratura empirica di
economisti seri e assolutamente interessati a comprendere come funziona
il mondo in pratica, dediti a testare le teorie economiche con dati
macro e micro. E spesso i critici degli economisti non riescono a
concepire che uno studioso possa usare un modello per organizzare il
proprio pensiero, ma sia abbastanza intelligente per comprenderne i
limiti.

3) Guardano la realta’ con la lente perversa di ipotesi assurde come le aspettative razionali, l’informazione completa, i mercati efficienti.
Una
tipica variante di questa accusa prende la seguente forma: Loro non lo
sanno, ma noi che viviamo nel mondo e non nelle nuvole o nella turris
eburnea dell’universita’ sappiamo che i mercati non sono efficienti, che
ci sono asimmetrie informative, che i prezzi degli asset possono
deviare per lungo tempo dai fondamentali….
Anche questa critica e’
frutto di una profonda ignoranza degli sviluppi dell’economia degli
ultimi 30 anni, che si e’ dedicata in gran parte proprio allo studio di
miriadi di deviazioni dall’ipotesi d’efficienza e d’informazione
perfetta. Solo per fare un esempio, un’enorme ricerca studia
teoricamente ed empiricamente come e perche’ vi possano essere bolle nei
prezzi degli asset; e una enorme letteratura studia gli incentivi dei
manager in presenza di asimmetrie informative.

4) Molti non economisti hanno previsto la crisi.

Questo e’ falso. Dire per anni la globalizzazione ha effetti
perversi, la nostra economia e’ eccessivamente finanziarizzata,
oppure l’economia finanziaria ha preso il sopravvento sull’economia
reale o ancora il liberismo sfrenato comporta problemi sociali che
solo gli economisti possono ignorare, non significa avere previsto la
crisi. Accuse, tutte queste, a mio avviso infondate o strumentali. Ci
sono pero’ accuse realmente rilevanti. Vediamone alcune.
La
stragrande maggioranza degli economisti non ha previsto ne’ capito la
crisi finanziaria perche’ era totalmente all’oscuro di alcuni
fondamentali sviluppi del mercato del credito. Per mesi e anni siamo
andati avanti a dibattere le spiegazioni e le implicazioni del fenomeno
chiave dei primi anni 2000: il basso tasso d’interesse.
Ma mentre
avveniva questo dibattito, i macroeconomisti hanno perso di vista
completamente uno sviluppo ben piu’ importante, cioe’ l’enorme evoluzione
del mercato del credito. Con tassi d’interesse molto bassi, l’unico
modo di rendere redditizia l’attivita’ d’intermediazione delle banche
era indebitarsi molto per comprare attivita’ finanziarie, cioe’ aumentare
la leva finanziaria.
Ma per fare questo, le banche dovevano
trovare modi per sbarazzarsi del rischio di queste attivita’, sia perche’
in alcuni casi i regolatori non permettevano di eccedere una certa leva
finanziaria per le attivita’ piu’ rischiose, sia perche’ le banche stesse
non volevano detenere troppe attivita’ rischiose.

Cio’ porto’ a due sviluppi:

1) Le banche crearono un sistema bancario ombra, delle entita’
formalmente fuori bilancio in cui piazzarono le attivita’ piu’ rischiose;
dotarono queste entita’ di un minimo di capitale, ma la gran parte dei
fondi la raccolsero sul mercato con scadenza brevissima, anche
giornaliera (commercial papers e repurchase agreements). Queste entita’
fuori bilancio avevano una garanzia esplicita o implicita delle banche,
ma permisero di ridurre il capitale che le banche dovevano detenere,
cioe’ di aumentare la leva finanziaria. Le entita’ spesso
cartolarizzarono le attivita’ trasferite dalle banche e le vendettero,
spesso alle banche stesse.
2) Le banche decisero di detenere
quantita’ sempre crescenti di titoli cartolarizzati, cioe’ di titoli
creati dall’impacchettamento di centinaia o migliaia di mutui
sottostanti, oppure di prestiti ai consumatori o alle imprese.

Per capire lo sviluppo successivo, e’ importante comprendere com’erano
strutturati questi titoli cartolarizzati. Per consentire di ottenere
rendimenti elevati da titoli apparentemente poco rischiosi, questi
titoli erano divisi in tranche. La prima tranche (junior tranche) e’ la
piu’ rischiosa; se qualche mutuo sottostante va in default, la prima a
esserne toccata e’ la junior tranche. L’ultima tranche (senior tranche)
e’ apparentemente molto poco rischiosa: comincia a perdere valore solo
se piu’ del 10% dei muti va in default – una percentuale impensabile
fino a tre anni fa.
Il 99% degli economisti italiani, ancora
nell’estate del 2007, era all’oscuro di questi sviluppi, o al massimo
ne aveva un’idea molto confusa. Ma ancora piu’ vaga era la
consapevolezza degli sviluppi e delle implicazioni successive. La
teoria prevalente era che la cartolarizzazione permettesse di spandere
il rischio dei vari tipi di credito al di fuori del sistema bancario,
cioe’ da soggetti ad alta leva finanziaria a soggetti (come fondi
pensione e fondi del mercato monetario) a bassa leva finanziaria.

Ma mentre i titoli piu’ rischiosi (le junior tranche) vanno a ruba perche’, essendo piu’ rischiosi, danno rendimenti piu’ alti, le senior tranche spesso rimangono nei portafogli delle banche o delle entita’ fuori bilancio.
Con poche eccezioni (JP Morgan), le banche non se ne curano, perche’
sono ritenuti assolutamente sicuri. Nel 2008, banche ed entita’ fuori
bilancio detenevano probabilmente il 50% di queste senior tranche.
Lungi dall’aver diversificato i rischi, banche e shadow banking system
avevano fatto un enorme investimento in economic catastrophe bonds,
cioe’ in titoli di fatto rischiosissimi perche’ davano un rendimento
generalmente elevato ma molto basso proprio nel momento peggiore, cioe’
nel caso di una recessione globale.
Gli acquirenti di questi
titoli spesso cercarono di assicurarsi contro il rischio di default dei
sottostanti. Lo fanno assicurandosi con monolines, compagnie di
assicurazione precedentemente dedite all’assicurazione dei titoli
municipali ma che ora tentano di espandersi. Ma le monolines avevano un
leverage di 150, e fu presto chiaro a molti che non erano in grado di
assicurare niente. Ma non fu chiaro per esempio a Merrill Lynch, i cui
dirigenti pensavano di essersi assicurati con le monolines. Altri si
assicurano con i credit default swaps, il cui mercato raggiunge a un
certo punto quattro volte il Pil statunitense! Ma anche questi titoli
sono esposti al rischio sistemico. Singolarmente, una banca poteva
ritenere di aver fatto hedging; ma da un punto di vista macroeconomico
il mercato non stava fornendo alcun hedge, anzi stava incrementando il
rischio. Questo aspetto era compito dei macroeconomisti, ma essi non se
ne resero conto a causa della loro mancanza d’informazione sui recenti
sviluppi del mercato del credito.

Anche di questi due ultimi sviluppi gli economisti erano sostanzialmente ignari.
Ancora nell’estate del 2008 e’ lecito affermare che la stragrande
maggioranza degli economisti non si resero conto che il sistema
finanziario aveva misspriced il rischio in un modo abissale consentendo
alle banche di investire percentuali gigantesche del proprio attivo in
catastrophe bonds, e l’irrilevanza (anzi la pericolosita’)
macroeconomica delle assicurazioni fornite dal mercato.
Come abbiamo
imparato dal marzo del 2008, le banche centrali erano male equipaggiate
a intervenire in questi mercati a difesa di queste istituzioni. Nel
marzo del 2008 i problemi di Bear Stearns misero a nudo il quasi
collasso dei mercati dei Cds e dei repos. Ma questi sono mercati di cui
gli economisti non si sono mai occupati, perche’ in condizioni normali
funzionano senza alcun problema, e di cui non avevano compreso il ruolo
fondamentale nel nuovo sistema del credito. L’esempio piu’ lampante fu
la decisione della Bce di alzare i tassi nell’estate del 2008, quando
gia’ Bear Stearns era saltata esattamente per i motivi esposti sopra.
Molti economisti accademici appoggiarono la decisione della Bce, perche’
cosi’ suggeriva la Taylor rule. Ma molta acqua era passata sotto i
ponti, e per parlare di politica monetaria non era piu’ sufficiente
essere esperti di Taylor rule. Semplicemente, non avevamo idea di
quanto lontano dal classico modello delle banche commerciali il mercato
del credito era arrivato. Non avevamo idea delle grandezze e delle
implicazioni macroeconomiche di tutto questo.

Eppure continuavamo a parlare di politica monetaria,
quando era impossibile parlare di politica monetaria se non si
conoscevano degli sviluppi recenti del mercato del credito. Come ha
sostenuto con forza John Taylor in Getting Off Track, il problema non
era tanto un classico problema di liquidita’, quanto un problema di
rischio di controparte in mercati a brevissimo termine. Ma il rischio
di controparte non ha mai giocato il minimo ruolo nelle teorie
monetarie piu’ accreditate.
Poiche’ economisti di valore erano alla
guida delle maggiori banche centrali, ci siamo convinti che il mondo
fosse in buone mani. Ma non ci siamo resi conto che anch’essi, come gli
altri, all’inizio sono stati tremendamente impreparati a comprendere i
nuovi sviluppi.

Gli economisti hanno giocato troppo facilmente allo scaricabarile con
politici e regolatori. Invece di studiare i dettagli del mercato del
credito, hanno cercato di cavarsi dall’impiccio con facilita’ usando
facili riferimenti al problema del moral hazard causato dai politici e
a quello della regolamentazione.

Il moral hazard avviene quando le banche e
le altre istituzioni finanziarie sanno che i politici, di fronte a una
crisi, le salveranno. Questo ovviamente le incoraggia a prendere rischi
molto maggiori di quanto sarebbe prudente e ottimale dal punto di vista
del sistema economico nel suo complesso.
Il moral hazard e’ un
vecchio cavallo di battaglia degli economisti, che generalmente si
oppongono ai salvataggi bancari. Salvo poi criticare i policy makers
per non avere salvato Lehman Brothers, causando il caos che e’ seguito
al 14 settembre. Ma molti economisti hanno cambiato idea sul mancato
salvataggio di Lehman Brothers proprio perche’ non si erano resi conto
di cosa comportasse lasciar fallire una banca di investimento in un
mercato del credito completamente cambiato. Proprio perche’ avevano una
vaga idea dell’estensione e del ruolo del mercato dei Cds, pochissimi
economisti si erano resi conto delle conseguenze quasi fatali che vi
sarebbero state nel mercato dei Cds.

Alle prime avvisaglie di difficolta’,
gli economisti hanno anche cercato di salvarsi con frasi del tipo gli
eccessi nel mercato del credito possono essere corretti con
un’appropriata regolamentazione. Ma fino al 2006, finche’ Greenspan e
poi Bernanke erano nettamente contrari a qualsiasi regolamentazione,
dove erano gli economisti? Se i politici avessero tentato d’imporre piu’
regolamentazione, cosa avrebbero detto gli economisti? Ma soprattutto,
pochi economisti hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani dicendo
esattamente quale regolamentazione si sarebbe dovuta imporre. Ne’ poteva
essere altrimenti, perche’ la stragrande maggioranza aveva una
comprensione cosi’ limitata degli aspetti tecnici da non poter offrire
suggerimenti competenti in materia di regolamentazione.
stato
anche facile per gli economisti scaricare le colpe sulla Greenspan put.
Ma tutto questo ex post. Dove erano gli economisti quando il mondo
inneggiava a Greenspan come il salvatore dell’economia mondiale?

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