Come possiamo rifare le citta’, in un Paese dove gli italiani vivono in case costruite prima del 1971, obsolete e sprecone

In gergo anglosassone si chiama downsizing, ridurre la taglia. Il futuro delle città passa per questo nuovo paradigma, che significa crescita in verticale degli spazi (come nel caso dei nuovi grattacieli di Londra) ma innanzitutto riduzione delle nuove costruzioni. E riqualificazione di quelle esistenti. Qualche esempio? Di parcheggi nelle aree dei centri storici non parla […]

In gergo anglosassone si chiama downsizing, ridurre la taglia. Il futuro delle città passa per questo nuovo paradigma, che significa crescita in verticale degli spazi (come nel caso dei nuovi grattacieli di Londra) ma innanzitutto riduzione delle nuove costruzioni. E riqualificazione di quelle esistenti. Qualche esempio? Di parcheggi nelle aree dei centri storici non parla più nessuno (in Italia non abbiamo fatti neanche quando erano di moda), mentre si pensa ad aumentare l’offerta di alternative all’uso dell’automobile: mezzi pubblici, bici, car-sharing. E’ caduta l’idea, pure a lungo coltivata anche in Italia, di abbattere le periferie, a partire da quelle indecenti che abbiamo costruito negli anni Settanta, e sta passando una linea di “chirurgia urbanistica”: interventi mirati per recuperare interi quartieri e attrezzarli con spazi di verde. Si scommette a piene mani sul risparmio energetico: a New York, per esempio, il sindaco Bloomberg ha annunciato che intende coprire entro il 2026 il 66 per cento dei tetti degli edifici in città di pannelli solari.

 Ridurre la taglia, però, e puntare sulla riqualificazione più che su una nuova espansione urbanistica non significa rinunciare ai cantieri e bloccare l’industria dell’edilizia, che ha visto perdere nel nostro paese 250mila posti nell’ultimo anno. Anzi. Prendiamo il caso dell’Italia. Una ricerca del Censis dimostra come stia gradualmente aumentando la quota di edifici che hanno più di quarant’anni di vita e per i quali sono indispensabili interventi di manutenzione e anche di sostituzione di materiali e componenti edilizi dei fabbricati. Quasi il 60 per cento degli italiani, in questo momento, vivono in abitazioni ideate e costruite prima del 1971. Sono case obsolete, prive per esempio dei criteri antisismici, anche nelle zone più a rischio, energivore,  in quanto consumano un’enorme dose di energia, e per nulla eco-compatibili. Sono case dell’età della pietra, della preistoria, mentre siamo nell’era del mondo contemporaneo.

Che cosa si può fare per recuperare e valorizzare questo enorme patrimonio edilizio? Bisogna mettere in moto un meccanismo pubblico-privato attraverso il quale i cittadini che ristrutturano case così obsolete possano ricevere benefici fiscali e incentivi e ottenere delle ragionevoli semplificazioni burocratiche. E bisogna puntare su una riqualificazione a 360 gradi che punti anche, per esempio, all’efficienza energetica dei fabbricati. Infine, servono paletti per evitare speculazioni e abusi sui quali gli italiani sono sempre in prima fila. Una volta messo in moto il meccanismo, ci sarebbe uno stimolo molto forte per l’economia (si parla sempre di crescita ma non si risponde mai alla domanda: con quali obiettivi?) e una straordinaria opportunità di avere, a breve scadenza, città più belle, più pulite. E meno sprecone.

 

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