Cento miliardi per salvare la Terra

Nel solo anno 2020 la comunita’ internazionale dovra’ mobilitare 100 miliardi di risorse e investimenti per salvare il pianeta dall’effetto serra. Il conto crescera’ gradualmente, ma sara’ subito salato. Per mettere in moto l’effetto virtuoso destinato a ridurre di almeno il 20% in dieci anni le emissioni di biossido di carbonio, sara’ necessario mettere insieme […]

Nel solo anno 2020 la comunita’ internazionale dovra’ mobilitare 100 miliardi di risorse e investimenti per salvare il pianeta dall’effetto serra. Il conto crescera’ gradualmente, ma sara’ subito salato. Per mettere in moto l’effetto virtuoso destinato a ridurre di almeno il 20% in dieci anni le emissioni di biossido di carbonio, sara’ necessario mettere insieme a livello globale fra i 4 e i 7 miliardi entro il 2012. Nel 2013 la somma salira’ a 10 miliardi di euro, dei quali l’Europa sara’ responsabile in un misura compresa fra 1,1 e 3,26 miliardi, mentre l’iniziale chip verde dell’Italia oscillera’ fra i 140 e 400 milioni. Numeri straordinari, comunque li si giri.

Straordinari come l’obiettivo a cui essi tendono: salvare la Terra dal cambiamento climatico che la sta lentamente distruggendo. A meno di tre mesi alla Conferenza sul Clima in programma a Copenhagen la partita entra nel vivo. L’Europa vuole la leadership della lotta al surriscaldamento, l’America di Obama manda segnali concilianti inimmaginabili ai tempi di Bush, le economie emergenti continuano ad essere titubanti. Lo scorso sabato, nel corso della riunione dei ministri economici in formato G20, India e Cina hanno guidato le tigri asiatiche nel rifiuto di prendere impegni chiari sull’ambiente. Bruxelles va avanti lo stesso, vuol dare ancora il buon esempio. Lo ha fatto con il calendario che s’e’ data; ci riprova mettendo mano alle prospettive di portafoglio.

L’esercizio e’ contenuto in una comunicazione di 33 pagine ancora riservata che la Commissione Ue intende presentare domani in vista del dibattito in Consiglio. Dopo l’intesa al G8 dell’Aquila volta a inchiodare l’aumento massimo della temperatura globale a due gradi in media entro il fatidico 2020, l’esecutivo ritiene giunto il tempo di rompere l’impasse presentando un piano sulla finanza climatica che massimizzi le possibilita’ di un successo negli incontri di dicembre . Attualmente, si fa notare, i negoziati avanzano a passo di lumaca. Il che non va bene all’Ue, i cui premier e presidenti insistono nel voler essere le lepri ambientaliste del povero vecchio globo.

Gli esperti della Commissione propongono un’azione per gradi destinata ad arrivare al culmine coi 100 miliardi complessivi del 2020. Si tratta di flussi di denaro e non di esborsi diretti presi dai bilanci pubblici, viene precisato. L’idea e’ metterli insieme combinando tre categorie risorse differenti: ricorso al capitale finanziario nazionali, sia pubblici che privati; utilizzo dei proventi derivati dalla vendita delle quote sul mercato delle emissioni (come l’Ets in cui le aziende comprano e vendono i permessi ad inquinare); movimenti di finanza pubblica mondiale.

Proprio gli investimenti privati sono considerati dalla Commissione uno snodo importante della strategia, e questo grazie alla loro capacita’ di essere remunerativi. La sfida del clima richiede un rilevante programma mondiale di infrastrutture, nei paesi ricchi e maggior ragione in quelli emergenti. La possibilita’ concessa agli stati Ue di defalcare dal monte delle proprie emissioni il volume di quelle che si contribuisce ad eliminare nelle zone piu’ bisognose e’ giudicato da Bruxelles come un incentivo interessante. Cruciale anche il mercato delle emissioni. La Commissione ipotizza che almeno una parte dei profitti generati dalla Borsa del CO2 possa essere utilizzato per il piano 2020.

Fissando un obiettivo di riduzione delle emissioni al 30% (cosa che l’Europa si dice pronta a fare se tutti accetteranno il 20%), Bruxelles stima che dallo scambio delle quote potrebbero derivare circa 38 miliardi di euro l’anno. L’incognita piu’ problematica e’ chi paga di tasca sua, particolarmente in questa stagione recessiva. Il Consiglio Ue ha stabilito due criteri possibili, il contributo in base alla quantita’ dell’inquinamento prodotto e quello in base alla capacita’ di pagare. Bisognera’ scegliere quale adottare, e tutto lascia pensare che alla fine si avra’ una media fra i due in vista del primo rapporto di tappa, quello del 2013, anno in cui gli eventuali accordi di Copenaghen entrerebbero in vigore.

Le cifre del biennio 2011-2012 indicano una spesa globale di 4-7 per la riduzione dei gas serra e gli interventi strutturali. L’anno successivo si ragiona su 10 miliardi di euro complessivi. L’Europa ne sarebbe responsabile per 1,1 miliardi in base all’indice di inquinamento e 3,26 secondo la capacita’ di pagare. Valori estremi, spiega una fonte, alla fine si stara’ nel mezzo.

E l’Italia? Per iniziare possiamo immaginare 250 milioni tenta una fonte comunitaria. Presto per dirlo, assicura di seguito, e poi non sono i denari a far la differenza. Bisogna vedere se c’e’ la volonta’ di rinunciare a qualcosa per salvare il domani. Il resto, anche i miliardi, sono alla fine un problemarelativo se tutti quanti decidono di incamminarsi sulla strada.

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