C’è una lobby per ogni stagione

“La lobby e’ in crisi, sotto attacco, persino presa di mira da una concorrenza improbabile, come il Washington Post, fatto che ha destato scandalo nella Capitale. Il fenomeno avanza ma e’ in questi ultimi mesi, con la dichiarazione di guerra ai lobbisti di Barack Obama, che la crisi e’ diventata strutturale. Si aggiunga che il […]

La lobby e’ in crisi, sotto attacco, persino presa di mira da una concorrenza improbabile, come il Washington Post, fatto che ha destato scandalo nella Capitale. Il fenomeno avanza ma e’ in questi ultimi mesi, con la dichiarazione di guerra ai lobbisti di Barack Obama, che la crisi e’ diventata strutturale. Si aggiunga che il Congresso, sulla scia della Casa Bianca, almeno a parole, prende le distanze. E i finanziatori dei lobbisti, grande industria e grandi banche preferiscono volare basso. Il fenomeno e’ nuovo. difficile dire quali saranno le conseguenze sul processo legislativo di questa ritirata di uno dei simboli del potere in America. Soprattutto ora che su Obama ha lanciato sfide epocali con la proposta di riforma sanitaria, energetica e finanziaria, i tre capisaldi delle lobby in America. Il settore e’ dinamico, popolato da eminenza grigie con stipendi da sogno, ma in calo. Marc Racicot, ex direttore esecutivo del piu’ importante gruppo di pressione assicurativo, L’America Insurance Association, guadagnava quasi 2 milioni di dollari all’anno, ma si e’ ritirato lo scorso febbraio. La Sifma, Securities Industry and Financial Markets Association, ha invece tagliato il 25% della sua forza lavoro. Compessivamente il settore occupa 22mila persone. In passato ha dirottato la riforma sanitaria di Bill Clinton e ha eliminato, nel 1998, la vecchia legge del 1933 che separava le attivita’ bancarie commerciali da quelle d’affari, principale imputata della crisi.

Complessivamente, i settori finanziario-assicurativo e immobiliare- i tre che hanno generato la crisi, raggruppati nell’agglomerato lobbistico ” Fire”- hanno speso dal 1990 ad oggi 2,2 miliardi di dollari in contributi politici e, dal 1998, 3,6 miliardi di dollari in lobbisti. Il Wall Street Journal, rileborando dati del Center for Responsive Politics, ha stimato che per la crisi, il settore finanziario, ha speso nel 2009 l’8% in meno del 2008, una riduzione che si traduce pur sempre in una spesa trimestrale di 104,7 milioni di dollari. Il settore sanitario ha invece aumentato le spese del 12% a quota 127,1 milioni per il primo trimestre, in previsione della nuova battaglia epocale sulla riforma. In media il totale di spese di lobby per il primo trimestre e’ rimasto piatto. Ma dal 2007 al 2008 aveva aumentato gli introiti del 15 per cento. Questi dati ci confermano che le lobby sono piu’ deboli, ma non scompariranno. Deputati e senatori non potranno fare a meno dei contributi ai loro fondi politici (Pac). Alcuni come Barney Frank, capo della commissione finanza alla Camera, non accettano donazioni di banche che hanno ricevuto aiuti federali, ma accetterano fondi da chi non ha conflitti d’interesse. Semmai, per adeguarsi ai tempi, le lobby cambiano nome. Ad esempio Jane Hartely, presidente dell’Observatory Group, un gruppo di consulenti politici a New York vicini al settore finanziario, preferisce usare il termine “facilitator” invece di lobbista. Durante l’inaugurazione di Obama ha dato con il marito Ralph Schlosstein, grande finanziere ed ex cofondatore di Black Rock, uno dei party piu’ esclusivi della Capitale, con tutti i principali protagonisti del settore: da Christopher Dodd, il presidente della commissione bancaria al Senato, ai banchieri Joe Perella, Vincent May e Roger Altman, ai finanzieri afroamericani della nuova generazione, Raymond McGuire, il nuovo capo di Investment Banking a Citigroup o Ronald Blaylock di GenNx360, amico di Obama da vent’anni.

La Hartley aveva un obiettivo: portare il marito alla carica di numero due al Tesoro. C’e’ andata vicina. Schlosstein era dato per certo per ricoprire l’incarico come vice di Geithner. Poi, all’ultimo istante, la Casa Bianca e’ intervenuta. Il rischio di collusione sarebbe stato fortissimo e non si volevano aggiungere altri imbarazzi, dopo le accuse di aver creato un club di amici alla guida della politica economica e finanziaria americana, da Larry Summers a Tim Geithner. Il Presidente pero’ ha chiuso un occhio su un altro conflitto potenziale, quello fra John Podesta, il capo della transizione, l’uomo che piu’ di ogni altro ha influenzato le nomine dell’amministrazione, e suo fratello Tony che, con la moglie Heather, guida la piu’ potente organizzazione di lobby a Washington, il Podesta Group. Tony serve nei settori nell’occhio del ciclone, l’energetico, il sanitario e il finanziario. Dice che non mischiera’ mai la vita privata e il rapporto con il fratello con gli affari. Ma il fratello era stato cofondatore del suo gruppo molti anni addietro. Possibile che non chiamera’ uno dei funzionari di fresca nomina se ne avra’ bisogno? Impossibile. Perche’ a Washington il gioco delle lobby e’ il gioco delle porte girevoli. Per questo, approfittando dei cambiamenti, Katherine Weymouth, editore del Washington Post, nipote di Kay Graham, la leggendaria proprietaria del gruppo, ha creato il Washington Post Salon: per 25mila dollari un lobbista potra’ invitare a cena il suo cliente a casa di Katherine all’evento che piu’ gli interessa. Ci saranno politici, ma anche i giornalisti che seguono gli argomenti caldi e il direttore del giornale. Opportunita’ di sottoscrizione – recita la brochure pubblicitaria distribuita dal marketing del giornale- una serata con la gente giusta puo’ cambiare il dibattito politico. I lobbisti hanno sentito puzza di concorrenza sleale, d'”intermediazione” oltre che di “facilitazione”. E hanno denunciato l’iniziativa. esploso uno scandalo. La redazione del giornale si e’ ribellata. E l’editrice, imbarazzata, ha dovuto chiedere pubblicamente scusa e cancellare il programma. Con una caduta d’immagine: sua nonna dava cene leggendarie, e forse serviva lo stesso obiettivo di ” intermediazione”. Ma lo faceva gratis”.

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