Lo scorso febbraio, in Tennessee, davanti alle porte della libreria del vecchio Emery a Knoxville si sono riuniti in 800. Pronti a entrare tutti insieme e a spendere, esigendo di pagare libri e gadget in vendita a prezzo pieno. Obiettivo: aiutare la vecchia bottega, aperta da tre generazioni già dal lontano 1927, a sopravvivere e non chiudere per sempre. Il gruppo di 800 persone, ovviamente, non si trovava lì per caso, lo stesso giorno e alla stessa ora. Si era dato appuntamento per partecipare, in massa, a uno dei molti cash mob che impazzano negli ultimi mesi negli Stati Uniti e in Canada. Un’alternativa ai flash mob (eventi improvvisati, organizzati grazie al tam tam tra social network, sms, e-mail, che spaziano dalla danza di gruppo, all’immobilità collettiva, fino a lotte di cuscini e minuti di silenzio) con un obiettivo preciso: l’impegno delle comunità locali per salvare le piccole botteghe di quartiere e i negozi a gestione familiare.
ANTI-GROUPON – Questi eventi si affacciano in un momento storico sempre più difficile per il commercio al dettaglio di piccola taglia, ai tempi degli sconti a tutti i costi, delle offerte di beni «svenduti» attraverso i coupon. Proprio per questo motivo, i cash mob sono già stati soprannominati gli «anti-Groupon» (dal nome della società di coupon più diffusa al mondo con sede anche in Italia). Perché è proprio il loro modello che combattono, tentando di ricordare ai consumatori che, se un bene ha un dato prezzo, spesso abbassarlo significa impoverire l’anello debole della catena produttiva. Dietro all’obiettivo del cash mob vi è anche un desiderio di fidelizzare il cliente locale, creando un rapporto diretto e più personale, utilizzando la Rete (da Twitter a Facebook, gli appuntamenti rimbalzano di tweet in bacheca) per promuoversi, anche nei casi in cui i soldi per il marketing non siano disponibili.
IL MOVIMENTO – I cash mob nascono solo pochi mesi fa. Il primo a organizzarne uno è stato, nell’estate 2011, Chris Smith, ingegnere e blogger di Buffalo, stato di New York. Il suo obiettivo era salvare dalla chiusura un’enoteca della città, la City Wine Merchant. Il negozio è ancora aperto, anche grazie ai clienti che il 5 agosto scorso – in tutto furono un centinaio – decise di comprare una bottiglia di vino . Poco dopo l’estate il movimento prese corpo e iniziò a macinare eventi in tutti gli stati, grazie al lavoro di un avvocato di Cleveland, Andrew Samtoy, anima del blog più seguito per conoscere i cash mob in programma e che ha anche cercato di dare una serie di regole per uniformare gli eventi in tutto il mondo e aiutare i piccoli negozianti. Fu l’avvocato a mettere a segno il secondo cash mob, proprio a Cleveland, in novembre, aiutando gli acquisti di una libreria della sua città. Oggi, dall’Alabama al Wiscounsin, ci sono incontri previsti quasi ogni settimana. E la moda inizia a spopolare anche all’estero, a partire dal Canada, ma anche in Gran Bretagna, Corea del Sud, Australia, Svezia sono stati registrati eventi a favore delle piccole imprese. Per tutti vale la regola: cercare un commerciante locale bisognoso di aiuto, organizzare un incontro in cui tutti i partecipanti siano disponibili a spendere almeno 20 dollari, localizzare vicino al negozio un bar o un’osteria dove poter andare, finito lo shopping, a condividere l’esperienza e fare due chiacchiere. Per non scordare l’anima sociale dell’evento.