Cameron avverte: lo stile di vita dovrà cambiare

La Gran Bretagna non e’ la Grecia, ma la lezione di Atene occupa i pensieri di Londra. David Cameron, da un mese primo ministro di una coalizione conservatori-liberaldemocratici, non ha rinunciato alla metafora ellenica per riassumere il rischio che sta correndo la Gran Bretagna, afflitta da un problema molto peggiore di quanto avessimo previsto. Parole […]

La Gran Bretagna non e’ la Grecia, ma la lezione di Atene occupa i pensieri di Londra. David Cameron, da un mese primo ministro di una coalizione conservatori-liberaldemocratici, non ha rinunciato alla metafora ellenica per riassumere il rischio che sta correndo la Gran Bretagna, afflitta da un problema molto peggiore di quanto avessimo previsto. Parole che hanno fatto da prologo all’avvertimento. La Grecia rappresenta un altola’ per tutti. Indica che cosa puo’ accadere a paesi che perdono credibilita’ o che sono governati da chi cerca di evitare misure difficili.
David Cameron ipotizza, quindi, passi dolorosi e promette di muoverli subito per evitare che gli interessi sul debito pubblico arrivino in cinque anni a 70 miliardi di sterline, ovvero il nostro intero budget per la pubblica istruzione in Inghilterra (esclusi quindi Scozia, Galles e Irlanda del Nord, ndr), la lotta al cambiamento climatico e i trasporti di tutto il Regno. Una cifra non troppo diversa da quella che paga oggi l’Italia, ma in un paese zavorrato, come e’ l’Inghilterra, da un debito privato altissimo.

L’analisi di Cameron e’ stata lucida e cruda. Non bastera’ un ritorno alla crescita per frenare lo sviluppo del debito, non possiamo sederci e attendere che le cose vadano meglio. Le riforme dovranno essere strutturali, capaci di incidere sul tessuto economico del paese per tracciare una prospettiva differente. Secondo il premier, infatti, il disavanzo pubblico e la dinamica del debito riflettono lo squilibrio fra il settore pubblico, di dimensioni vastissime, e quello privato. Ovvio che Cameron indichi il Labour party come grande responsabile del gigantismo statale, motore potente dell’occupazione nell’ultimo decennio. Il problema – ha aggiunto – non e’ quindi solo la cifra del debito, ma la sua natura. Quando il boom e’ finito, il gettito fiscale dei servizi finanziari in crisi si e’ contratto ma e’ rimasta una spesa pubblica enorme e il paese e’ rimasto a secco. Il premier conservatore sa che non bastera’ solo affidarsi a un agile rimbalzo fuori dalla recessione per risolvere i problemi. Anche perche’ il rimbalzo, se ci sara’, non sembra destinato ad essere energico come i laburisti avevano previsto. Il 3,5% di crescita del Pil nel 2011 e’ un miraggio, ha lasciato intendere il premier. Parole che hanno innescato di nuovo la polemica con quegli economisti scettici sull’utilita’ di una manovra troppo decisa. La stretta, infatti, rischia di frenare i consumi e bloccare l’uscita da una recessione che non puo’ contare troppo sulla svalutazione della sterlina: da settimane la divisa inglese si sta apprezzando contro l’euro. Quello che dovra’ cambiare e’, quindi, lo stile di vita di tutti in quanto saranno adottate misure difficili sul fronte dei salari, delle pensioni, dei benefit.
Oggi stesso probabilmente il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, annuncera’ la creazione di una commissione, forse presieduta da Lord Browne, ex ceo di Bp, che coodinera’ i tagli prossimi venturi di ogni singolo ministero. Le sforbiciate, Osborne, le rivelera’ il 22 giugno, giorno del Budget d’emergenza quando sembrano destinati a entrare nel mirino dello Scacchiere sia l’Iva, sia la tassa sul capital gain. L’imposta sul valore aggiunto potrebbe arrivare al 20% ed essere estesa anche a beni oggi risparmiati, il balzello sul capital gain potrebbe allinearsi alle aliquote Irpef raggiungendo, per i redditi piu’ alti, anche il 50 per cento. Un’ipotesi, quest’ultima, che tiene in apprensione la City e soprattutto irrita i conservatori. Sul governo e’ scattata una decisa azione di lobbismo da parte dei deputati Tory, pressati dalla base elettorale a non correggere eccessivamente la tassazione sugli utili finanziari, soprattutto a non adeguarla all’Irpef come vorrebbe, invece, l’ala LibDem del governo. La linea di compromesso e’ gia’ delineata: il 25% con un innalzamento di 7 punti del capital gain rispetto ai livelli attuali. I conservatori sarebbero soddisfatti, i liberaldemocratici probabilmente no.

Torna in alto