Biocarburanti e cibo non sono in competizione

Carburanti contro cibo: la diatriba che a partire dal 2008 sta dividendo ambientalisti e produttori di biocarburanti, in Italia non si pone. Produzione agricola e bioenergie da noi non sono in competizione: è l’opinione comune di esponenti delle associazioni agricole italiane e imprenditori delle bioenergie emersa nel corso della Giornata nazionale del bioetanolo, che si […]

Carburanti contro cibo: la diatriba che a partire dal 2008 sta dividendo ambientalisti e produttori di biocarburanti, in Italia non si pone. Produzione agricola e bioenergie da noi non sono in competizione: è l’opinione comune di esponenti delle associazioni agricole italiane e imprenditori delle bioenergie emersa nel corso della Giornata nazionale del bioetanolo, che si è svolta il 10 ottobre a Verona nell’ambito del 19mo Simposio internazionale per i carburanti da alcol (Isaf), che – organizzato dall’Università di Firenze e Verona Fiere – per la seconda volta si è svolto in Italia a vent’anni di distanza dalla precedente edizione.

NON SONO TUTTI UGUALI – «Vogliamo creare un’industria non invasiva inserita nel quadro della produzione agricola», ha detto Guido Ghisolfi, spiegando sinteticamente la strategia del gruppo Mossi & Ghisolfi, colosso della chimica che crede nel futuro dei biocarburanti in Italia, tanto da investire milioni di euro nella ricerca e nell‘impianto di Crescentino (Vc) che il prossimo anno inizierà a produrre 60 milioni di litri annui di bioetanolo. «I biocarburanti non sono tutti uguali», ha proseguito il vice presidente della Mossi & Ghisolfi. «Quelli di seconda generazione, che utilizzano colture da terreni residuali, lo dimostrano. La nostra tecnologia permette di adattarci al territorio, e non viceversa. Se si considera che in Italia ogni anno vengono prodotte 18 milioni di tonnellate di residui agricoli, in buona parte non utilizzati, le possibilità per l’industria dei biocarburanti sono concrete, senza andare assolutamente a incidere sui terreni destinati alla produzione alimentare umana e animale».

AGRICOLTORI: «SÌ SE INTEGRA REDDITI» – Gli agricoltori italiani, colpiti dalla peggiore crisi economica del dopoguerra e con margini sempre più ridotti – se non assenti – non sono certo nemici dei biocarburanti, anzi. A patto però che sia ben chiaro che la funzione principale dell’agricoltore italiano deve restare quella di produttore primario di cibo per la comunità. Fissato questo fondamentale paletto, se i biocarburanti o il biogas offrono una concreta possibilità di integrare il reddito agricolo, con i chiari di luna attuali non è certo il momento di assumere posizioni aprioristicamente contrarie. «Il valore aggiunto dei residui agricoli però è marginale. Vanno perciò fatti accordi a lungo termine tra agricoltori e industria», ha puntualizzato Daniele Toniolo, presidente per il Veneto della Confederazione italiana agricoltori (Cia). «È vero che l’industria dei biocarburanti di seconda generazione intende utilizzare terreni marginali, ma proprio questa loro caratteristica li rende sparsi sul territorio, tanto che non è facile sviluppare una filiera produttiva conveniente per tutti gli attori del mercato», ha aggiunto Marco Aurelio Pasti di Confagricoltura. «Vedere terreni anche di ottima qualità, specie nel Meridione, abbandonati perché fare il contadino in Italia oggi non conviene più, fa davvero male», ammette Franco Verrascina, presidente di Copagri (Confederazione produttori agricoli). «Sì, quindi, ai biocarburanti, a condizione che gli imprenditori agricoli abbiano un ruolo nella discussione delle tariffe e con una filiera che rispetti il principio della pari dignità».

TERRENI MARGINALI – Per essere conveniente, anche dal punto di vista ambientale, un impianto come quello di Crescentino deve contare su biomasse provenienti da 3-4 mila ettari distribuiti a non più di 35-40 km dal centro di trasformazione in bioetanolo. Sono dati sostenibili? «In Italia la superficie utilizzabile per biocarburanti è stimata in 1-2 milioni di ettari», chiarisce Federico Vecchioni, presidente di Agriventure, fondo specifico per l’agricoltura integrata di Intesa-Sanpaolo. «Tra questi ci sono 200 mila ettari pubblici incolti, di cui spesso i sindaci non sanno cosa fare e che invece potrebbero rappresentare una risorsa per i Comuni che hanno visto le risorse finanziarie decurtate».

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EFFETTO CONTROVERSO – Se in Italia i biocarburanti non sembrano essere in contrasto con i terreni destinati all’alimentazione, diversa è la situazione nei Paesi in via di sviluppo. Un gruppo di oltre cento scienziati ed economisti ha inviato una lettera alla Commissione europea richiamando l’attenzione proprio sulla distruzione indiretta di habitat dovuta in ultima analisi ai terreni agricoli convertiti alla produzione destinata ai biocarburanti. Se i terreni vengono destinati ai biocarburanti, le coltivazioni alimentari vengono trasferite in altre zone, in particolare disboscando foreste vergini in Sudamerica e nell’Asia sud-orientale. La perdita della capacità di assorbimento di CO2 alla fine è superiore della riduzione delle emissioni di gas serra dei biocarburanti rispetto ai tradizionali combustibili fossili. «La Commissione europea deve considerare attentamente gli effetti indiretti dei biocarburanti», ha detto a Corriere.it Nuša Urbancic, esperta di carburanti di Transport & Environment, organizzazione con sede a Bruxelles per il trasporto sostenibile, «perché la soluzione potrebbe essere peggiore del problema che vuole risolvere».

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