Basta machismo donne manager anti-crisi

SAN FRANCISCO – Che le donne se la stessero cavando meglio degli uomini in questa fase di recessione economica lo rilevavano gia’ i dati del Bureau of Labor Statistics statunitense, secondo il quale le donne rappresentano oltre il 49 per cento della forza lavoro americana e sono responsabili del mantenimento di oltre il 50 per […]

SAN FRANCISCO
Che le donne se la stessero cavando meglio degli uomini in questa fase di recessione economica lo rilevavano gia’ i dati del Bureau of Labor Statistics statunitense, secondo il quale le donne rappresentano oltre il 49 per cento della forza lavoro americana e sono responsabili del mantenimento di oltre il 50 per cento delle famiglie degli Usa. E sembra che stiano attraversando meglio anche la crisi dei licenziamenti, che tra gli uomi registrano un tasso del 32 per cento superiore a quello delle donne.

Ma che le donne possano giocare un ruolo fondamentale nel salvare l’economia internazionale – o per dirla con la parafrasi di un economista americano: “Ci vogliono estrogeni per rimettere in sesto l’economia” – e’ una nozione che pochi riescono ad accettare. Sembra una boutade estiva, eppure il fenomeno e’ confermato da numerose ricerche.

La prima indagine, resa nota dalla Ernst & Young, indica una relazione diretta tra il numero delle donne in posizioni dirigenziali e i profitti delle aziende: quelle che ne hanno di piu’ registrano profitti nettamente piu’ alti della media del loro settore industriale. Presentata ad un incontro delle parlamentari del Congresso Usa, la ricerca ha spinto i media americani a coniare un nuovo slogan: The Death of Macho Economy – la morte dell’economia machista, ovvero dell’economia superpotenziata dalle speculazioni. Tutta Wall Street e poca produzione, per intenderci.

Il dato era stato in qualche maniera gia’ anticipato da osservazioni realizzate da alcuni economisti all’ultimo World Forum di Davos. Sorprendendo i partecipanti al convegno, i ricercatori hanno sostenuto la tesi che proprio grazie alla presenza di un numero maggiore di donne a Wall Street rispetto a quante ce ne fossero durante la Grande Depressione, la Grande Recessione di questi anni non si e’ aggravata al punto da diventare una nuova Grande Depressione. Non solo: la ricetta per per porre fine ai contorcimenti della finanza internazionale sarebbe proprio iniettare una nuova dose di estrogeni nell’economia globale.

E cosi’ tutte quelle qualita’ ritenute tipicamente femminili, che prima della crisi venivano denigrate come touchy-feely, umorali e ipersensibili, adesso vengono rivalutate e messe a confronto, in positivo, con l’eccesso di testosterone ostentato dai trader di Wall Street e dei maghi degli hedge fund e delle private equity.

L’opinione a favore della femminilizzazione dell’economia americana, e di riflesso anche di quella internazionale, non e’ sostenuta solo dalla ricerca della Ernst&Young. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, se ne sono susseguite molte altre dello stesso tenore. Dalla Goldman Sachs, in questo momento la maggiore banca di investimento del mondo, alla Columbia University, alla McKinsey&Co., tutte queste ricerche indicano che la partecipazione delle donne alla gestione dell’economia puo’ determinare il successo di un’azienda. Gli indicatori presi in esame sono l’assunzione di decisoni produttive e non dannose, e l’analisi tra perdite e profitti in ambito aziendale.

La Pepperdine University ha per esempio dimostrato che tra le “Fortune 500”, le prime 500 aziende statunitensi, l’incremento del numero delle donne nelle alte sfere dirigenziali determina un incremento dei profitti sulla media del settore che varia tra il 18 e il 69 per cento.

Anche in Europa, secondo la McKinsey&Co., la presenza femminile sembra avere effetti taumaturgici, se si considera che per le aziende che promuovono il maggior numero di donne manager si registra una prestazione azionistica nettamente superiore a quelle di altre aziende dello stesso comparto.

Il tocco femminile non manca di farsi sentire nemmeno nel settore dei fondi di investimento, che hanno sofferto fortemente del crollo azionario. Il Calpers, il fondo dei lavoratori degli enti pubblici californiani, il piu’ grande della nazione, ha perso per esempio quasi 100 miliardi di dollari. Ora, secondo il National Council for Research on Women, durante il periodo della bolla speculativa le investitrici e le manager dei fondi di investimento, adottando una strategia piu’ misurata di quella dei loro colleghi maschi, hanno prodotto ricavi annui del 9,6 per cento contro il 5,8 dell’indice del settore.

Anche una ricerca della French Fund Association concorda con questa conclusione. Secondo l’istituto francese i fondi di investimento gestiti dalle donne nel corso degli anni hanno prodotto risultati piu’ stabili e costanti rispetto ai fondi gestiti da dirigenti uomini e il dato e’ costante misurando i risultati anno su anno, ogni tre e ogni 5 anni. Le manager molto spesso non si piazzano all’apice della classifica, ma di sicuro mai al fondo. Secondo la Catalyst, un istituto di ricerca sulle donne e il mondo del lavoro, per fare la differenza tra una strategia aziendale di successo e una destinata al fallimento basta la presenza di appena tre donne nei ranghi dirigenti. E infatti le compagnie che registrano la presenza di 3 o piu’ donne nel loro consiglio di amministrazione distanziano la concorrenza del 40 per cento in tutti gli indici della prestazione aziendale.

E se i dati economici non bastano a convincere gli scettici, gli studiosi si avventurano anche in una spiegazione scientifica e ormonale del fenomeno. Una la fornisce per esempio il professor Scott Page dell’Universita’ del Michigan che ha concepito il teorema di “previsione della diversita’”, il Diversity Prediction Theorem, secondo il quale un gruppo diversificato di persone produce sempre decisioni migliori di un gruppo omogeno, specialmente quando lo si considera dal punto di vista della diversita’ sessuale. “Un gruppo di uomini bianchi chiusi in una stanza non raggiunge mai la migliore conclusione”, sostiene Peterson. Sara’ per questo che in Norvegia e’ la legge a decidere che le donne debbano occupare di diritto almeno il 40 per cento dei posti nei consigli di amministrazione aziendali. O che aziende come la Hermes, la Wal Mart, la Capital One, Best Buy, Sun Microsystems, Yahoo, Xerox, Sara Lee e la PepisCo hanno deciso di affidare i destini della loro aziende a dirigenti donne.

“Le cose a livello di dirigenza aziendale stanno certamente cambiando”, afferma Danah Boyd. Tra le principali ricercatrici della Harvard University sul tema del ruolo delle donne nell’era del Web 2.0, Boyd e’ considerata una delle massime autorita’ statunitensi in fatto di media sociali e fenomeni femminili. “Sono finiti i tempi in cui le donne che si interessavano di economia, tecnologia e computer venivano definite secchione”, continua Boyd. “Adesso il fenomeno piu’ interessante, in termini di successo aziendale, non e’ tanto il boom dell’iPhone, ma le donne che, dalle nanotecnologie alla computeristica, stanno cambiando la faccia dell’industria e della nostra societa’”.

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