Ambiente: la mappa dei 600 siti contaminati in Lombardia

Oltre 600 siti contaminati, di cui sette, per gravità ed estensione, di rilevanza nazionale. Bombe ecologiche in attesa di bonifica, cui si affiancano 1.535 siti "potenzialmente" inquinati sui quali sono in corso verifiche da parte dei comuni e della regione.   Il capoluogo La parte del leone nella mappa dei veleni in regione la fa […]

Oltre 600 siti contaminati, di cui sette, per gravità ed estensione, di rilevanza nazionale. Bombe ecologiche in attesa di bonifica, cui si affiancano 1.535 siti "potenzialmente" inquinati sui quali sono in corso verifiche da parte dei comuni e della regione.

 

Il capoluogo
La parte del leone nella mappa dei veleni in regione la fa il capoluogo, dove risultano 122 siti contaminati, 363 in fase di verifica. E 209 bonificati, che, comunque, dopo il caso Santa Giulia, Calchi Taeggi e per ultima l’area Bovisa, non fanno dormire sonni tranquilli. Nomi e cognomi dei siti sfilano nel censimento messo a punto dal Pirellone per rispondere a una interrogazione del consiglio regionale e che risale al dicembre del 2009. Non ci sono altri aggiornamenti e le tabelle non riportano il grado di contaminazione, che può essere lieve e circoscritto, causato ad esempio da un semplice sversamento di sostanze tossiche, oppure più importante.

Nella lista (pubblicata in versione integrale sul sito www.ilsole24ore.com), figurano alcune aree industriali come l’ex Ansaldo di viale Sarca o l’area dismessa Sirio di via Candiani, l’ex Osram di via Savona, l’ex Richard Ginori di via Tucidide, ma anche condomini costruiti su terreni da bonificare, case popolari e distributori di benzina ormai in disuso. Sul milanese gravitano anche i cosiddetti "siti di interesse nazionale", quelli più problematici, dichiarati tali nel 1998, ma la cui attività di bonifica – eccetto il caso di Cerro al Lambro dove sono terminati i lavori, ma ancora manca la certificazione – è ancora in corso. Per le attività di recupero sono stati stanziati centinaia di milioni.

In regione
A dettare le priorità di intervento sulle aree di competenza regionale, in base alla gravità della situazione, è il "Piano Stralcio di bonifica" in cui la regione individua i siti da bonificare o mettere in sicurezza. L’ultimo piano risale a tre anni fa. Ma poco è cambiato: su 78 aree per le quali era stata decretata l’urgenza di intervento solo nove possono essere dichiarate concluse. Anche in questo caso, nella parte alta della classifica per pericolosità, la parte del leone spetta ancora alla provincia di Milano.

I finanziamenti
La mappa dei veleni deve fare i conti con le risorse per le bonifiche. La cura dimagrante imposta dalla legge di stabilità non risparmierà il capitolo delle bonifiche per cui è previsto un taglio di 3 miliardi a livello nazionale. L’effetto domino sulla Lombardia è devastante, misurabile attorno a 370 milioni. Un’infinità di quattrini se si pensa che la manovra regionale, sempre per il capitolo bonifiche, stanzierà per il 2011 la risicatissima somma di 10 milioni. Una goccia nell’oceano. Poca roba se si tiene conto che i lavori di bonifica negli anni fanno fuori cifre da capogiro. Negli anni, appunto. Perché gli interventi di rispristino durano anche trent’anni. Durata e costi, dunque. Anche questi ultimi esorbitanti. Solo per l’area Caffaro di Brescia la stima di investimenti necessari va dai 100 ai 200 milioni. Cifre che mai e poi mai la regione riuscirà a reperire, se non coinvolgendo il privato. Non è un mistero per nessuno che il re Mida delle bonifiche, Giuseppe Grossi, avesse proprio sul territorio lombardo la sua corte privilegiata.

Dubbi sulla attuale legge
La legge regionale prevede una serie di incentivi per l’impresa che mette mano alle bonifiche. La ratio è quella di individuare dei vantaggi effettivi, altrimenti senza guadagno nessun privato presterebbe la propria opera. L’affidamento non avviene sempre con gara, perché a volte può essere complicato, spiegano dall’assessorato all’ambiente della regione. Ecco allora che si privilegia una soluzione concordata, il cosiddetto accordo di programma: l’impresa si propone, spesso con progetti di sviluppo legati all’area da bonificare, l’ente interessato dà o meno il via libera. In questo modo se la partita contempla la cessione del terreno pubblico, si abbattono i costi. Dopo il caso Grossi e Calchi Taeggi il sistema ha però subito una serie di contraccolpi. Dubbi, con sfumature diverse, si levano sul sistema delle regole attuali.

Margherita Peroni consigliera del Pdl, fino al maggio scorso, presidente della commissione regionale Ambiente sostiene la necessità di un cambio di passo anche se «la strada che coinvolge il privato si può e si deve praticare». «Non vorrei che si facessero dei passi indietro: dobbiamo perfezionare i controlli e semplificare il quadro normativo, non dobbiamo demonizzare il privato». Per Silvia Ferretto del coordinamento regionale Fli, e che per 15 anni ha lavorato nella commissione ambiente della regione, non è solo un questione di controlli «ma deve passare l’idea che chi inquina paga». E aggiunge: «Benvenga l’intervento della magistratura, anche se è il chiaro segnale del fallimento della politica». Più radicale Giuseppe Civati, consigliere del Pd, che spiega come «nella partita delle bonifiche non ci sono più controlli. Più che il far west ormai c’è solo Grossi e un sistema di convenienze che è difficile da smantellare».

 

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