Caro Direttore, sono contento che il professor Ichino concordi con me nel giudicare il nostro diritto del lavoro sostanzialmente obsoleto e spieghi diffusamente nel suo articolo di lunedi’ le discriminazioni che esso determina nei confronti dei giovani. Ma poiche’ mi invita ad andare oltre quella che lui definisce battuta da talk-show, cioe’ la mia denuncia dello Statuto dei lavoratori che difende i padri ma non i figli, gli voglio ricordare che, in tal modo, si e’ limitato a guardare il dito e non la luna che veniva indicata.
Indicavo, infatti, una dimensione piu’ generale del problema che non riguarda solo l’equita’ intergenerazionale. Il mercato del lavoro non e’ unmercato qualsiasi, non e’ ilmercato del burro. Dietro la difesa dei padri a scapito dei figli, vi e’ la difesa dell’esistente contro il cambiamento, della conservazione contro l’innovazione, della staticita’ contro il dinamismo. Non si tratta solo di assicurare un sistema di protezione sociale equo ed ammortizzatori sociali universali ma di avere un sistema capitalistico competitivo e partecipativo allontanandoci da quell’approccio corporativistico che affligge sia il settore privato sia il settore pubblico. Se vogliamo veramente essere la societa’ e l’economia della conoscenza, ebbene questa conoscenza e’ in gran parte incorporata nelle nuove generazioni, che in media hanno un livello di istruzione superiore a quello delle generazioni passate. Se non vogliamo perdere la sfida che ci lanciano i Paesi emergenti dobbiamo offrire ai nostri giovani, con credibilita’, un rendimento adeguato all’investimento in denaro e fatica che la conoscenza e l’istruzione richiedono. Non si tratta di assicurare solo difese e protezione ma le opportunita’, che spesso vengono loro negate, di far valere le loro competenze, anche nei confronti dei padri.
Attardarci ancora intorno all’articolo 18, significa non aver capito nulla di cio’ che accade nel mondo. Esso era gia’ sbagliato in passato, come ogni norma che crea effetti soglia, perche’ creava per le imprese incentivi a non crescere. Oggi e’ necessario andare ben oltre. I giovani competenti hanno bisogno di imprese in cui possano entrare ed uscire con facilita’ a seconda delle esigenze reciproche, sempre piu’ vicini alle figure professionali e meno a quella del lavoratore dipendente di stampo novecentesco. Si tratta di assicurare un reddito dignitoso e sufficientemente stabile e non un posto fisso. Naturalmente questo non e’ possibile se non si cambia la posizione di tutti, se non si rompe la vecchia divisione tra gli insider e gli outsider, i cui effetti distorsivi sono stati spiegati da decenni di letteratura economica e giuridica. Non e’ un caso che questi problemi si pongano, oggi, anche tra i giovani ad alta qualificazione, in fondo anch’essi danneggiati dall’egoismo dei loro padri.
Questo e’ l’obiettivo da perseguire. Non e’ un obiettivo facile, si tratta di una sfida colossale per coloro che devono ridisegnare il diritto del lavoro, ma non e’ possibile eluderlo.
Renato Brunetta – ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione
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