Adesso c’é Parlamento channel: i nuovi sprechi di Camera e Senato

Sergio Rizzo ROMA – Che di questi tempi l’immagine del Parlamento italiano sia un poco appannata non è una novità. Del resto lo fanno capire senza reticenze i suoi stessi inquilini. Qualche mese fa il presidente della Camera Gianfranco Fini si è lamentato che ormai l’attività è ridotta all’osso con i deputati che arrivano a […]

Sergio Rizzo

ROMA – Che di questi tempi l’immagine del Parlamento italiano sia un poco appannata non è una novità. Del resto lo fanno capire senza reticenze i suoi stessi inquilini. Qualche mese fa il presidente della Camera Gianfranco Fini si è lamentato che ormai l’attività è ridotta all’osso con i deputati che arrivano a Roma il martedì e ripartono il giovedì, mentre il premier Silvio Berlusconi è arrivato a proporre per evitare sterili lungaggini di far votare i soli capogruppo. «Le assemblee pletoriche – ha chiosato – sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti. Pensate che ci sono 630 parlamentari quando ne basterebbero 100».

Cosa c’è allora di meglio, per risollevare la reputazione della nostra politica nella quale apparire è quasi tutto, di un bel canale televisivo? Anzi, due canali. Uno per la Camera e uno per il Senato. Direte: è uno scherzo. Niente affatto. Quel progetto esiste da tempo e ora, grazie al digitale terrestre, sta entrando nella fase concreta. Da qualche giorno a Montecitorio, dove gli esperti di comunicazione non mancano davvero, si è sentito il bisogno di ingaggiare per la bisogna anche un consulente esterno. Si chiama Pino Caiola: in passato ha lavorato a Telepiù, è stato il responsabile della comunicazione del gruppo parlamentare di Forza Italia e più recentemente portavoce del ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito. Collaborerà con la commissione interna incaricata di seguire le questioni della comunicazione, affidata al vicepresidente Maurizio Lupi, che si occupa anche delle faccende relative all’etere.

Palazzo Madama ha invece una struttura dedicata specificamente all’argomento. È il «Comitato per lo sviluppo della comunicazione radiotelevisiva del Senato» costituito già nel luglio del 2009 dal consiglio di presidenza, del quale fanno parte il questore Benedetto Adragna, la vicepresidente Emma Bonino, e poi i senatori Alessio Butti, Silvana Amati, Paolo Franco e Lucio Malan.

Le trattative con la Rai, che dovrebbe fornire la piattaforma tecnologica, procedono sulla base di varie opzioni, non esclusa quella di un canale comune per le due Camere. Forse la meno insensata (pure ammettendo che tutto ciò possa avere un senso) ma certo la meno praticabile. Il capo ufficio stampa della Camera Giuseppe Leone si dice sicuro che il tema sarà oggetto di consultazioni fra Montecitorio e Palazzo Madama. Resta il fatto che l’ipotesi di un unico «Parlamento channel», con Camera e Senato gelosissimi delle rispettive prerogative, che hanno impiegato anni soltanto per aprire una porta fra le loro due biblioteche, sembra piuttosto remota. A chi toccherebbe il direttore? E i dirigenti, in che modo verrebbero scelti? Senza entrare nel merito del palinsesto: chi ne avrebbe la responsabilità, e come potrebbe conciliare le rispettive esigenze?

Domande certamente cruciali. Anche se ancora prima di queste ce ne sarebbe una fondamentale: il nostro Parlamento non ha niente di più utile da fare che pensare a una rete televisiva? A che cosa servirebbe, o meglio «servirebbero», visto che potrebbero essere addirittura due? E poi, a parte le ovvie considerazioni sull’audience, la Camera e il Senato forse non hanno già le proprie tivù? Da anni trasmettono su Internet e sul satellite la diretta delle sedute, con una spesa non proprio trascurabile. L’affitto dalla Rai della sola frequenza satellitare costa 395 mila euro l’anno alla Camera e 384.000 al Senato. Poi ci sono 30 mila euro circa per la web tivù, le spese per i dipendenti, l’elettricità, le attrezzature…

Somme destinate a moltiplicarsi per svariate volte nel caso in cui andassero in porto i progetti dei nuovi canali digitali terrestri. Stime non ne esistono ancora. Ma che non si sborserebbero bruscolini è intuibile. Si tratterebbe di due reti tv in piena regola, con strutture organizzative, redazioni, programmi… E i costi non sarebbero che uno dei problemi. Si possono solo immaginare le difficoltà di realizzazione nel Paese del manuale Cencelli. Per non parlare del personale necessario.

C’è da dire che già adesso gli apparati di comunicazione non sono propriamente esili. Gli uffici stampa di Camera e Senato hanno strutture imponenti. A Montecitorio ci sono un direttore e cinque capiredattori: e poi documentaristi, segretarie e commessi. Per un totale di 35 persone. A Palazzo Madama lo staff della comunicazione, che comprende un capo ufficio e tre vicedirettori, arriva invece a una trentina di unità. Due piccoli eserciti. Numeri che oggi si giustificherebbero, questa è almeno la vulgata, con la singolare situazione della rassegna stampa. Appaltata all’esterno ma di fatto confezionata all’interno. Camera e Senato hanno in essere uno storico contratto «necessitato» (così si definiscono quelli che hanno un fornitore obbligato) con una società specializzata, l’Eco della Stampa, che fornisce ogni giorno per via telematica centinaia di articoli. Un semilavorato poi scremato dagli uffici che provvedono ad assemblare la rassegna vera e propria. Tutto questo con un costo pari a 204 mila euro l’anno per il Senato e 427.000 per la Camera. Per un totale di oltre 630 mila euro.

 

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