Capita, talvolta, di pensare che il nostro è proprio un Belpaese, e che può farcela. Capita all’inaugurazione del Center of Nano Science and technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia (iit), insediato in una delle più prestigiose università italiane, il Politecnico di Milano, per studiare energia e materiali intelligenti. Una collaborazione con gli atenei che l’iit, fondazione istituita dai ministeri dell’Economia, dell’Istruzione e dell’Università e Ricerca, ha avviato in altre dieci città italiane, tra cui Torino, dove si sperimenta robotica per lo Spazio.
Il tentativo, in Lombardia come in Piemonte, è quello di realizzare la tanto invocata sinergia tra eccellenze del settore pubblico e risorse industriali, perché le idee della ricerca non restino lettera morta e perché i privati siano invogliati a collaborare. Una sfida che può già vantare numeri interessanti e significative vittorie.
Per esempio quella di avere fatto tornare in Italia alcuni “cervelli” fuggiti per mancanza di prospettive. Ne è un esempio Annamaria Pedrozza, trentaduenne di Matera che ha diviso la sua carriera universitaria tra il Poli di Milano e Parigi, dove ha conseguito una seconda laurea, per poi prendere un dottorato a Cambridge ed essere assunta a tempo indeterminato nei laboratori della Sharp. Ha lasciato il famoso “posto fisso” per un contratto a progetto: “Mi ha convinto la sfida di far partire questo centro di ricerca, e la prospettiva professionale”. Non leggiamo nei suoi occhi nostalgia per bucatini e tricolore, ma un’autentica passione per un progetto nuovo. La domanda è indiscreta ma d’obbligo: ma la paga compete con quelle europee? La risposta è serena: “Sì, è nella norma, sufficente a lavorare con tranquillità e con garanzie nel caso i progetti non decollino”.
Ma, anche questo si legge negli occhi limpidi della scienziata, nessuno crede che andrà così. Il laboratorio ha già avviato collaborazioni con importanti nomi dell’industria nazionale: Pirelli, Omet, Saes e altri. Annamaria, come i suoi colleghi con competenze diverse, lavora a cellule fotovoltaiche di terza generazione, in pratica alla possibilità di stampare, su materiali flessibili, delle pellicole che abbiano la capacità di trasformare la luce in elettricità. Non serviranno ad alimentare grandi centrali, ma, applicate alle finestre o alle facciate delle case, magari con colori e fantasie che non offendano l’occhio, possono scaldare l’acqua, alimentare le tapparelle elettriche e molto di più.
Si cerca, insomma, di produrre materiali con capacità conduttive che possano essere applicati a plastiche e ad altri supporti senza operazioni di fusione ad alte temperature, abbattendone i costi. “Stiamo lavorando per creare cellule fotovoltaiche che costino 30 centesimi” spiega il coordinatore del centro Guglielmo Lanzani.
Tutta la tecnologia che si vede nei laboratori, per esempio il primo diffratometro a raggi X in Italia, è messa a disposizione dall’iit, che lavora a Milano con 39 scienziati (ma raddoppieranno entro un anno) provenienti da Paesi diversi. “Il Politecnico” spiega il rettore dell’università Giovanni Azzone – mette a disposizione 1.300 docenti e ricercatori a cui se ne aggiungono altri duemila legati a noi in modo meno strutturato, la nostra rete di relazioni industriali e, soprattutto, studenti di qualità”. L’iit e l’ateneo condivideranno il programma scientifico e la valutazione del personale. E’ questa la formula che fa spendere l’aggettivo unico a Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto di Tecnologia.
Qui nessuno ha paura di contaminare la propria ricerca con l’industria. Lo spiega bene Alberto Sangiovanni Vincentelli, Executive Commitee dell’iit, uno dei famosi cervelli in fuga (già da qualche anno a giudicare dai capelli binachi) che insegna all’Università della California. “Mi hanno cacciato – racconta ironicamente -, io in Italia avevo trovato ottime prospettive, ma mi hanno imposto di andare a imparare a Berkeley”. Quello che ha imparato lo sintetizza così: “Non si fa ricerca senza soldi. Il genio e un foglietto di carta non bastano”. Ma nemmeno i soldi bastano, come dimostrano i picchi tecnologici degli Stati Uniti: “Silicon Valley e l’area intorno al Mit: il segreto è riunire grandi università, grande ricerca e grande industria”.
Gli ingredienti, mutatis mutandis, sembrano esserci nel progetto milanese. L’iit, complessivamente, ha già registrato 60 brevetti, fa lavorare 800 persone con età media di 34 anni e ha ottenuto 1.500 pubblicazioni. La più eclatante riguarda una ricerca sulla retina oculare artificiale, sviluppata proprio nel CNST milanese. “La strada è lunga” ci spiega la ricercatrice Maria Rosa Antoniazzo, “ma il centro è riuscito ad abbinare un materiale organico, che ‘vede’ la luce, a neuroni di ratto che non avevano più questa capacità”. E’ solo un passo, ma importante. Lo stesso si può dire dei centri dell’iit, aperti anche a Trento Parma, Pisa, Roma, Napoli, Lecce. Passi, verso un Belpaese.
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