Un piano per favorire il ritorno nel nostro Paese: 75 mila euro per tre anni
Adesso ci riprova – a ranghi serrati di destra e di sinistra – un manipolo di irriducibili: Enrico Letta (Pd) e Stefano Saglia (sottosegretario Pdl), Maurizio Lupi e Silvano Moffa (Pdl), Laura Garavini e Alessandra Siragusa (Pd) e via elencano, sedici in tutto, di entrambi gli schieramenti. L’intento e’ quello di fare in modo che i cervelli in fuga non fuggano piu’ e quelli che sono fuggiti trovino interessante tornare. Per questo hanno presentato un progetto di legge – che, per la verita’, e’ vecchio di un anno, ma che solo una settimana fa e’ approdato in commissione Finanze alla Camera – con il titolo di Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia.
Sono due milioni gli italiani, sottolineano i deputati, che si sono iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero negli ultimi dieci anni, di cui il 44% proviene dal centro nord e ha un alto titolo di studio. Non tutti sono ricercatori o scienziati, ma molti (moltissimi) sono comunque dei talenti, tant’e’ che hanno trovato apprezzamento (e spesso benessere) all’estero. Attualmente il 2,3 per cento dei laureati lavora all’estero, e a fronte di un misero 0,3 dei laureati stranieri che sono da noi. I parlamentari che hanno firmato il progetto di legge, sottolineano che nel ?99 – per dire un anno emblematico – il 7% dei laureati del Nord ha lasciato l’Italia, e nel decennio ?90-?99 il numero delle fughe e’ quadruplicato.
Gli anni Novanta sono stati drammatici, su questo fronte. Tant’e’ il ministro Letizia Moratti affronto’ gia’ nel 2001 (e poi nel 2004) questo problema proponendo incentivi a chi fosse tornato e a chi – come azienda o universita’ – avesse agevolato questo rientro. Ma l’effetto non fu quello sperato. Nel 2006 – anno in cui i provvedimenti cominciarono a dare frutti – rientrarono 500 ricercatori, ma concluso il contratto triennale che veniva loro offerto, solo 40 sono rimasti perche’ hanno trovato un posto stabile. Gli altri o sono in attesa di rinnovo o hanno preferito fare marcia indietro.
All’origine di questa delusione c’e’, soprattutto, il fatto che il sistema accademico e di ricerca italiano e’ ancora molto ingessato e baronale, ma anche il fatto che – forse – gli incentivi a chi offriva un contratto ai transfughi non erano cosi’ allettanti. Da qui l’idea, raccolta dal nuovo progetto di legge, di dare incentivi forti (25 mila euro l’anno) e prolungati (per tre anni): un vero scudo fiscale che renda appetibile il rientro.
La norma, nell’intento dei legislatori, si applica a tutti i cittadini comunitari che hanno meno di 40 anni e che hanno risieduto continuativamente per almeno 2 anni in Italia, che studiano, lavorano o che hanno conseguito una specializzazione all’estero, e ora decidano di fare rientro. Un credito di imposta pari a 25 mila euro all’anno per tre anni verra’ elargito in favore di quanti vogliono tornare per essere assunti come dipendenti. Il bonus raddoppia per chi fa rientro al Sud o nelle isole. Un analogo incentivo riguarda anche chi inizia un’attivita’ o un lavoro autonomo e, anche in questo caso, sara’ doppio se l’attivita’ e’ al Sud: 50 mila euro per i tre anni. Per quanto riguarda le imprese, saranno elargiti 500 euro al mese per ogni nuovo assunto e per tre anni, ma limitatamente alle regioni del Mezzogiorno o nelle isole.
I crediti di imposta ai lavoratori, dice il provvedimento, non comportano oneri, mentre per quelli dovuti alle imprese il limite viene fissato in 150 milioni di euro nel 2010. La copertura viene prevista attraverso la creazione di un Fondo di rotazione ad hoc, alimentato dal gettito reale delle imposte dirette dei soggetti coinvolti. Previsto anche un cofinanziamento da parte delle regioni