L’apocalisse ambientale? Puo’ attendere

Pierluigi Battista Sembra che l’ansia, l’urgenza, l’ipersensibilità ecologica si siano dissolte, non solo a Durban, ma nell’opinione pubblica mondiale, e occidentale in particolare. Nell’assemblea di Durban si partorisce solo un trattato che comunque avrà validità dal 2020. Un compromesso tanto per dare un senso all’incontro. Lo «spirito di Kyoto» annebbiato. Allora il pianeta sta meglio? […]

Pierluigi Battista

Sembra che l’ansia, l’urgenza, l’ipersensibilità ecologica si siano dissolte, non solo a Durban, ma nell’opinione pubblica mondiale, e occidentale in particolare. Nell’assemblea di Durban si partorisce solo un trattato che comunque avrà validità dal 2020. Un compromesso tanto per dare un senso all’incontro. Lo «spirito di Kyoto» annebbiato. Allora il pianeta sta meglio? Possiamo stare tranquilli? O nel mondo in crisi l’emergenza ambientale diventa un po’ meno emergenza?
Poi, certo, alla fine un protocollo è sempre disponibile. Una dichiarazione d’intenti non costa niente. Non vincola. Non sfida Cina e India che rinfacciano all’Occidente l’ipocrisia di un’attenzione all’ambiente molto tardiva e molto irritata con chi, oggi, si trova a fare le stesse cose inquinanti che i monopolisti della ricchezza facevano un tempo. Le promesse tacitano le coscienze inquiete. Del resto, mai come in questa settimana inconcludente e verbosa di Durban, l’indifferenza dei media internazionali ha raggiunto vertici così eclatanti.

L’allarme per l’«effetto serra» è apparso un ricordo di ere passate. Il «global warming», forse anche a causa dei dati incautamente imprecisi forniti da una comunità scientifica inaffidabile e manovriera, non è più in cima all’agenda psicologica del mondo, e non solo a quella, politica, dei governi. Dopo Kyoto sono arrivati film ecocatastrofisti di grande successo. Sull’apocalisse ambientale si sono costruite brillanti carriere (Al Gore) anche a costo di eccessi e manipolazioni per richiamare l’attenzione sul disastro incombente. I governi, con comprensibili resistenze, ma comunque con un impegno sconosciuto nel passato, si sono dimostrati disposti anche a pagare un prezzo economico per ridurre nelle economie avanzate l’emissione di sostanze inquinanti. Cina e India sono state indicate come le nuove potenze «cattive», disposte a rischiare catastrofi ambientali pur di non mettere ostacoli e remore al loro impetuoso sviluppo economico. Ora tutto questo appare appannato. Durban viene seguita con distrazione. Gli accordi sembrano compromissori, addirittura inutili. E gli stessi governi occidentali sembrano meno intenzionati a incalzare i riottosi.

Malgrado i disastri avvenuti, l’inferno di petrolio sulle coste americane, lo tsunami che ha devastato una centrale nucleare in Giappone, è come se la crisi dell’Occidente avesse messo la sordina agli allarmismi ambientalisti degli anni passati. L’urgenza appare un’altra: come uscire da un altro «disastro», quello delle monete, dell’economia, dell’industria, dei debiti degli Stati. Pagare un prezzo appare oggi come una condizione troppo onerosa, vista l’entità degli altri prezzi che stanno dissanguando l’economia e lo stesso stile di vita dei Paesi abituati a standard di benessere oramai considerati irrinunciabili. L’ambiente? Ci si penserà in un secondo momento. Prima bisogna ripulire l’economia, poi l’ambiente. Prima bisogna raffreddare i mercati e lo spread, poi il pianeta. Per il momento basta un accordo che promette un accordo, un trattato che anticipa un trattato. La delusione di Durban? Passerà. Come l’emergenza ambientale.

 

 

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