Economia verde, mettiamo qui i soldi pubblici. Questa volta non ci sono banche da salvare

C’è un’occasione unica, legata a tutti gli stimoli messi in campo, per andare verso un’economia più sostenibile. E l’opinione pubblica è favorevole, come dimostrano i sondaggi

CAMBIAMENTO GREEN CORONAVIRUS

Ora o mai più. Misure di stimolo, salvataggi, sussidi, finanziamenti a tasso super ridotto ed a fondo perduto: la pandemia ha messo sul tavolo, in tutti i paesi del mondo, una quantità di denaro pubblico che non ha precedenti. Soldi con i quali si possono fare due cose: salvare i più forti e poi rimettere l’economia sugli stessi binari dove era deragliata (come è avvenuto dopo la Grande Crisi del 2008) oppure non sprecare l’occasione, unica e irripetibile, per dare una sterzata green all’economia mondiale, con la bussola dei 17 obiettivi scolpiti nell’Agenda 2030 dell’Onu. I politici dovrebbero mostrare coraggio, sapendo di avere dalla loro parte l’opinione pubblica. In un recente sondaggio di Ipsos, realizzato in 14 paesi di tutto il mondo, il 65 per cento della popolazione vorrebbe che il cambiamento climatico fosse una priorità per i piani di ripresa economica.

CORONAVIRUS ECONOMIA VERDE

Intanto abbiamo visto, per effetto della quarantena, come l’inquinamento possa rapidamente crollare. In un solo mese, quello di marzo, per il crollo del traffico aereo sono scomparse le emissioni di anidride carbonica equivalenti alla circolazione di sei milioni di automobili nelle strade del mondo, per un anno intero.  La più radicale ed efficace contromisura per fermare il surriscaldamento climatico mai vista. E non unica. Il coronavirus ha ovunque abbattuto emissioni di gas serra e fattori di inquinamento, con previsioni confortanti se si spensa che solo negli Stati Uniti si calcola una caduta, per il 2020, del 7,5 per cento. Secondo Marshall Burke, responsabile del Dipartimento Scienze della Terra dell’Università di Stanford, nei 2 mesi critici della pandemia, in Cina, grazie alla diminuzione dell’inquinamento si sono salvate 77mila persone: 73mila adulti sopra i 70 anni e 4mila bambini.

Dunque: la pandemia ci ha fatto capire, se ancora fosse stato necessario, che il surriscaldamento dipende dalle azioni dell’uomo e non dai capricci della natura, e ci siamo resi conto che il cambio di paradigma è possibile, e anzi necessario:  il coronavirus ha confermato che il vecchio modello di sviluppo non regge più, e serve andare velocemente verso un’economia verde.

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GREEN DEAL ECONOMIA CORONAVIRUS

Già, velocemente. Ma come si può fare laddove la stessa pandemia costringe i governi di tutto il mondo a concentrare gli sforzi, innanzitutto le raffiche di soldi pubblici sparati dai bazooka finanziari che ovunque sono stati installati, per la ripresa economica? Come evitare che il coronavirus eclissi tutte le preoccupazioni sull’ambiente che, nel 2019, erano diventate centrali per l’opinione pubblica mondiale, anche attraverso l’icona di Greta Thunberg?

La risposta a queste domande è una sola: non bisogna sprecare l’occasione, e anzi cogliere tutti i provvedimenti degli stimoli economici per provare a rafforzare la loro impronta green. Non bisogna cedere alla tentazione dei due tempi: prima i soldi a tutti, a pioggia, e poi casomai pensiamo a che cosa fare per il surriscaldamento climatico. Al contrario, le scelte vanno fatto ora e subito approfittando proprio del momento eccezionale e delle risorse eccezionali messe in campo.

TRASFORMAZIONE VERDE ECONOMIA

Molti paesi si stanno muovendo già in questa direzione, escludendo dagli aiuti le imprese che più inquinano o quelle che, sotto qualsiasi forma, alimentano insostenibili forme di diseguaglianze. In Gran Bretagna i sussidi alle compagnie aeree sono subordinati a interventi concreti, da parte delle compagnie, per risolvere l’emergenza climatica. La Francia e la Danimarca hanno escluso dagli aiuti, da qualsiasi aiuto posto coronavirus, le imprese che hanno sede in paradisi fiscali. Anche in Europa. E perfino la Polonia ha imboccato questa strada. In Svezia, le aziende che si autoproclamano in crisi, e poi però pagano lauti dividendi agli azionisti devono restituire gli aiuti pubblici.

E veniamo all’Italia. Tutte le misure di stimolo possono essere calibrate in modo da premiare scelte economiche, di imprese e famiglie, più sostenibili. Questo è il nocciolo di una nuova politica industriale. L’Agenzia italiana per lo sviluppo Sostenibile (Asvis), presieduta dal professore Enrico Giovannini, ha fatto una proposta molto concreta per recuperare i 19,3 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anni in incentivi a imprese e famiglie che danneggiano l’ambiente. Parliamo di soldi pubblici spalmati in una giungla di 57 forme diverse di aiuti, tra i quali spiccano quelli per i carburanti degli agricoltori e diesel ed a benzina e per l’autotrasporto a gasolio. Sono soldi che si potrebbero tagliare con un solo colpo di forbice, per destinarli a un pesante taglio del cuneo fiscale (14 miliardi), magari più alto per le imprese orientate al green, e per investimenti pubblici in strutture sanitarie e assistenza a domicilio (5miliardi).

CAMBIAMENTO GREEN CORONAVIRUS

Ancora: l’Italia è avanti nel settore delle energie rinnovabili (ricordiamoci che il 70 per cento degli investimenti nelle rinnovabili provengono dai governi, quindi dalle decisioni pubbliche), ma anche qui, grazie a un uso mirato delle risorse straordinarie per rilanciare l’economia, il cambio di paradigma può essere molto accelerato. Con effetti sicuramente importanti per l’occupazione e in generale per la crescita economica. Secondo un recente Rapporto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), accelerare gli investimenti nell’energia pulita potrebbe portare a un aumento della crescita globale di 98mila miliardi di dollari entro il 2050,  a un aumento di quattro volte dei posti di lavoro (fino a 42 milioni di unità), con un calo delle emissioni del 70 per cento. Tra l’altro, accanto alla crisi della pandemia c’è un altro fattore da non sprecare per cambiare il paradigma energetico: il crollo del prezzo del petrolio. Attenzione, però: le crisi petrolifere si sono viste già negli anni Settanta, ma poi tutto è tornato come prima. Con le conseguenze ambientali che conosciamo e che abbiamo scontato nel corso degli anni successivi.

Perfino nei finanziamenti più piccoli si possono premiare le scelte sostenibili. Abbiamo visto che cosa significa avere città pulite, grazie alla riduzione dei rifiuti. Perché non premiare con i finanziamenti, anche a fondo perduto, previsti per piccole aziende, commercianti, ristoratori e bar, quelli che riescono a garantire una gestione delle loro attività a rifiuti zero? Perché non provare a orientare e selezionare i finanziamenti, privilegiando tutto ciò che rientra nel green deal, declamato come priorità assoluta dalla nuova Commissione europea al momento del suo insediamento?

Ovviamente non bisogna essere ingenui. Tutti gli esempi che abbiamo fatto si riconducono a una solo titolo: scelte politiche. E ogni scelta divide in due l’elettorato: la parte contenta e la parte scontenta. Spostare i soldi dei sussidi dai camion a gasolio a quelli che non inquinano è certamente una scelta che spetta alla politica, consapevole delle sue priorità e dell’orizzonte che vuole dare alla sua azione. Né possiamo pensare che tutto avvenga in un giorno, serve un rapido gradualismo, serve il realismo che definisce la politica come «l’arte del possibile», ma serve anche che sia chiara una direzione di marcia di lungo periodo. Verso una nuova economia sostenibile.

INVESTIMENTI ECONOMIA CORONAVIRUS

Alle possibilità che abbiamo e non dobbiamo sprecare, sulla scia del coronavirus, di rafforzare il sistema dell’economia verde, e con questo dare un impulso verso un nuovo modello di sviluppo,  si aggiungono due fattori di rafforzamento. Il primo è il ruolo dello Stato. Mai come in questo momento lo Stato è tornato al centro del campo, non solo per stampare moneta, ma anche per gestire tutta l’emergenza e mettere le basi per il rilancio dell’economia. E’ lo Stato che paga ( e menomale che sia ancora possibile …) , ed è lo Stato che detta l’agenda con le sue scelte: la supremazia del mercato sembra finalmente perdere colpi, speriamo che non sia solo un episodio transitorio.

Secondo fattore: i cambiamenti individuali. Erano già in atto prima della pandemia del coronavirus, e si traducevano in stili di vita più sobri, consumi più responsabili, attenzione nelle piccole cose quotidiane. Meno sprechi. Tutto ciò si è consolidato nelle settimane della quarantena, e si è rafforzata una convinzione che sarà determinante per affrontare il problema del surriscaldamento climatico: l’azione di ciascuno di noi può avere conseguenze, positive o negative, per tutti. L’importante è scegliere quella giusta.

INVESTIMENTI SOSTENIBILI

Infine, guai a scoraggiarsi. Guai ad ascoltare le Cassandre di turno. Nonostante la fase critica, è fondamentale fare leva sull’ottimismo della volontà. E non perdere alcuna occasione per richiamare tutti alle proprie responsabilità. La legge sul clima, proposta dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, per azzerare le emissioni nette di gas entro il 2050, è bloccata nel Parlamento europeo. Si lavori per sbloccarla, anche con la pressione di un presidente del Parlamento, David Sassoli, italiano. Si facciamo meno interviste e più azioni concrete in questa direzione.

Secondo il Global energy monitor il governo cinese ha autorizzato più centrali a carbone a marzo che in tutto il 2019. Se fosse vero, l’Unione europea e gli Stati Uniti non possono restare impalati a guardare questa scelta che va in controtendenza rispetto agli accordi di Parigi del 2015. Tutti gli appuntamenti del 2020 sull’ambiente, a partire dalla conferenza delle Nazioni Unite a Glasgow dove i governi avrebbero dovuto presentare i nuovi obiettivi per la riduzione delle emissioni, sono stati rinviati. È stato un errore. Qualcosa si poteva comunque fare, e non è detto che le riunioni Onu si debbano svolgere  solo se ci sono alberghi di lusso da occupare e viaggi in top class da fare. Ma prima della fine dell’anno c’è ancora tempo per rimediare a questa incredibile forfait della più importante istituzione sovranazionale del Pianeta.

ECONOMIA VERDE E FINANZIAMENTI EUROPEI

L’errore da non ripetere, come dicevamo all’inizio, è quello di concentrare l’uso di gigantesche risorse pubbliche solo per mantenere lo status quo del modello di sviluppo, in particolare a favore della finanza. Senza invece puntare dritti su investimenti per la sostenibilità, che servano allo stesso tempo a curare il Pianeta, a ridurre le diseguglianze, a spendere in sanità, scuola, università, ricerca. Ad avvicinarsi ai target previsti dall’Agenda Onu 2030 sullo Sviluppo sostenibile.

Dal 2008, l’anno di ninzio della Grande Crisi, la banche centrali europee non hanno fatto altro che stampare moneta. A vantaggio di chi? Delle stesse banche, che rischiavano altrimenti di fallire mandando a rotoli l’intero castello della finanza speculativa. Il bilancio dell’Eurosistena, che comprende la Bce e le Banche centrali nazionali dei singoli stati dell’Unione, è passato da 1.150 mliardi di euro del 2007 ai 4.675 miliardi di fine 2018. Cioè dal 10 al 40 per cento del pil dell’intera eurozona. Adesso arriva un’altra valanga di denaro come risposta al post coronavirus, e questa volta non ci sono banche da salvare. Ma abbiamo l’opportunità di cambiare il nostro futuro

INQUINAMENTO: RISCHI E PERICOLI

 
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