Pesca sostenibile: tecniche da usare e quelle da evitare

Non esagerare con le quantità. Sprechi nella pesca a strascico tra il 45 e il 50 per cento

Anche la pesca può essere sostenibile. Barche piccole, tecniche non invasive, attenzione su specie dei pesci in via di estinzione. E nessuno spreco dell’equilibrio dell’ecosistema marino. La pesca sostenibile consente a tutte le specie di pesci di riprodursi e non esagera nelle quantità, evitando di raccogliere pesci di piccole taglie. L’impatto sull’ecosistema è ridotto al minimo e non è invasivo: da qui la conseguenza che non tutte le tecniche, e come vengono applicate, sono sostenibili. Infine, la pesca sostenibile rispetta le persone che vivono con questa antichissima attività e non possono restare schiacciati dall’industrializzazione del settore della pesca.

PESCA SOSTENIBILE

A (quasi) tutti noi piace pescare. E il pesce, con le sue infinite specie, è ancora al centro del nostro sistema alimentare. Giustamente. In quanto è un cibo che non solo nutre, e bene, ma regala anche una serie di vantaggi per il nostro benessere, come abbiamo raccontato in più occasioni sul sito Non sprecare.

Basterebbe questa premessa per convincerci, senza troppi dibattiti pseudo-scientifici, che la sostenibilità nel settore della pesca (un mercato globale che vale 140 miliardi di dollari, e nel quale lavorano milioni di uomini e donne), è vitale. Semplicemente essenziale, per il nostro presente e futuro.

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PESCI IN VIA DI ESTINZIONE

La pesca sostenibile non ha bisogno di troppe classificazioni. Poggia, infatti, su alcuni, elementari, ma insostituibili, perni. Da considerare ogni volta che vigiliamo, da abitanti della casa comune, su chi pesca per motivi economici; oppure mangiamo pesce a tavola; e infine quando siamo noi a indossare i panni dei pescatori.

Il primo perno è non fare scomparire i pesci. Lasciarne a mare, e quindi affidati alla nostra cura e alle leggi eterne della natura, quanti ne servono e quanti hanno pieno diritto di vita e di tutela. Secondo perno: oltre ai pesci, è da rispettare, senza ossessioni ma solo con buonsenso e responsabilità, l’ambiente naturale (habitat) dei pesci e in generale della fauna e della flora marina. In altri termini, la pesca, qualsiasi pesca, da quella individuale a quella industriale, non deve mai avere un impatto ambientale devastante. Terzo paletto: la pesca sostenibile è efficace, redditizia, preziosa per chi con questa attività ci vive, ma non può mai, per alcun motivo, travalicare il muro delle leggi e di circostanze ambientali che possono anche evolvere. Per capirci meglio: se una specifica specie di pesce è in via di ridimensionamento, o perfino a rischio scomparsa, non solo bisogna proteggerla, ma anche fare in modo che torni a crescere come un tempo. E tutto ciò oggi è più possibile, rispetto a ieri, anche grazie agli aiuti tecnologici, che arrivano a supporto della pesca sostenibile. Purché ci sia la buonafede dell’uomo, a sua volta ispirato alla sostenibilità, intesa a largo spettro, come è scolpita nei 17 punti dell’Agenda Onu, dove si parla anche di pesca sostenibile.

Il 12% della popolazione mondiale vive di pesca; ecco perché l’obiettivo oggi è quello di scongiurare l’estinzione di importanti specie ittiche, pur mantenendo approvvigionamenti adeguati alla nostra dieta (tre miliardi di persone utilizzano pesce e crostacei come principale fonte proteica). La domanda di acquisto dei prodotti finali è in costante crescita, basti pensare che, nel 2017, ogni italiano ha consumato 25 kg di pesce, persino poco rispetto ai 54 kg a persona consumati dai portoghesi.

GESTIONE DELLA PESCA

In tutta l’Unione europea vige oggi una Politica Comune della Pesca (PCP) che prevede norme per la gestione delle flotte pescherecce europee e degli stock ittici. L’Ue si è posta l’obiettivo di raggiungere, entro il 2020, volumi di pescato sostenibili che garantiscano la conservazione degli stock.

OVERFISHING

Ritmi di pesca frenetici, finalizzati a soddisfare e stimolare la domanda, rappresentano una costante minaccia per l’esistenza di alcune specie, come il tonno rosso del Pacifico, al centro di un allarme internazionale per l’eccessivo impiego delle sue carni nel settore della ristorazione. Solo in Giappone si consuma un quarto del tonno pescato in tutto il mondo. Per soddisfare il mercato, i ritmi di pesca superano le possibilità riproduttive delle diverse specie, accelerando vertiginosamente le possibilità di estinzione. Questo fenomeno è comunemente noto come overfishing: un sistematico assalto alla fauna marina che deve essere interrotto. Negli Stati Uniti, una prima risposta è stata data, attraverso una rigida regolamentazione che consente la pesca di tonni solo se questi superino i 185 centimetri.

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SPECIE ITTICHE A RISCHIO ESTINZIONE

Un’altra specie a forte rischio di estinzione è quella dello storione beluga del Mar Caspio, dalle cui uova si ricava circa il 90% del caviale consumato in tutto il mondo. Se non si garantiscono cicli riproduttivi adeguati, questa meravigliosa creatura potrebbe presto scomparire.

Ma l’overfishing non è l’unico problema, c’è inoltre l’annosa questione della pesca illegale che imperversa anche nel nostro Mediterraneo; è illegale l’attività che non rispetti i limiti quantitativi fissati dalle leggi e dagli accordi internazionali e quella che interessa pesci che, per dimensioni o età, non devono essere pescati.

Secondo l’allarme della Fao l’eccessivo sfruttamento del Mar Mediterraneo e del Nero mette a rischio in particolare il nasello europeo, il gambero rosso, le sardine e il pesce spada.

MODALITÀ DI PESCA

Sono due le strade da percorrere per cercare di cambiare le cose: innanzitutto non sprecare sulle nostre tavole; gran parte del pescato non viene consumato in tempi adeguati e diventa inutilizzabile. Bisogna quindi ripartire da migliori abitudini alimentari, valutando quale possa essere il quantitativo di pesce effettivamente necessario ai nostri pasti.

La seconda via riguarda le modalità di pesca vere e proprie. Sono sostenibili le buone pratiche tradizionali: pescare solo in alcuni periodi dell’anno, avendo come riferimento i cicli lunari e la presenza delle diverse popolazioni ittiche. Non pescare nelle aree in cui è vietato per legge e avere cura degli interi ecosistemi (ogni anno moltissimi delfini, ad esempio, cadono preda delle trappole sparse da pescatori senza scrupoli).

TECNICHE DI PESCA SOSTENIBILI

Oggi si va nella direzione della riscoperta e valorizzazione di alcune tecniche che tengono conto della fauna marina: la pesca con la nassa (strumento che viene calato in mare e consente di rilasciare ancora vivi esemplari catturati erroneamente o “sotto taglia”) e la rete a circuizione (che cattura i pesci attirati da una forte sorgente di luce – la lampara – permettendo di selezionare le prede).

PESCA STRASCICO

La pesca a strascico è molto antica e consiste nel trainare una rete sul fondo del mare. Oggi non è considerata molto sostenibile per come viene attuata, tanto da essere vietata in ben 350 aree del Mediterraneo. Le infrazioni sono quotidiane e la pesca a strascico continua indisturbata a fare i suoi danni. I tassi di scarto del pesce sono attorno al 45-50 per cento. Uno spreco puro. Coralli e posidonie vengono soffocati dalle reti, dove finisce di tutto, compresa la plastica puntualmente rigettata in mare. E in questo modo il 73 per cento degli stock ittici del Mediterraneo risulta sovrasfruttato.

PER SAPERNE DI PIÙ: Consumo responsabile, rifiutiamo i pesci di piccola taglia, sono stati pescati in modo illegale (foto)

COME RISPETTARE LA FAUNA MARINA

Un case study di pesca sostenibile, che ha avuto un notevole impatto sociale e mediatico, arriva dal lontano Madagascar, dove la comunità di pescatori del villaggio di Andavadoaka, supportata dall’impresa sociale britannica “Blue Ventures”, ha messo in atto buone pratiche per salvaguardare le popolazioni ittiche locali, alimentando comunque un fiorente mercato del settore.

Grazie a un impegno condiviso, è stato possibile preservare il polpo locale, il vero e proprio “tesoro di Andavadoaka” che rischiava l’estinzione.

Un’ ampia area marina è stata riservata alla crescita del polpo, non pescabile fino all’età di 6 mesi. In tal modo è stata eliminata la pesca abusiva che aveva come obiettivo il cefalopode ancora piccolissimo. Garantendo e monitorando la crescita dei polpi, si è quindi potuto procedere a pescarne un minor numero di unità, senza modificare la quantità totale di prodotto venduto sul mercato. Una best practice che offre al mondo una visione della pesca finalizzata a non sprecare e a rispettare la fauna marina.

PESCARE CON LENTEZZA

La pesca sostenibile è anche lenta. Con piccoli mezzi. Una pesca artigianale, molto diffusa in Italia, dove vale circa il 16 per cento del mercato. Con questa pesca si cattura meno, si privilegiano pesci “poveri”, ma poi venduti molto bene, e si evitano specie rare.

PICCOLA PESCA DIMEZZATA

La piccola pesca, quella che garantisce la migliore qualità dei prodotti, in Italia si è dimezzata rispetto agli anni Novanta. All’epoca i pescherecci erano 20.486: oggi ne sono rimasti circa 12mila. La piccola pesca sconta diversi fattori che spiegano la sua crisi: non attira i giovani (solo il 4 per cento degli imbarcati ha meno di 40 anni), deve fare i conti con la concorrenza insostenibile delle grandi flotte, i costi di gestione delle piccole imbarcazioni, rispetto ai ricavi, son0o proibiti. E anche per questo i consumatori italiani comprano pesce importato, persino dall’Asia.

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