
Se si potesse attribuirgli capacità di
raziocinio, si potrebbe dire che il
batterio killer si sta prendendo gioco
di tutti: degli scienziati impegnati
a stanarlo, dei politici e delle autorità
sanitarie che minimizzano i rischi senza
poter fornire spiegazioni definitive, degli
agricoltori che sfornano cifre sui danni
all’agricoltura. Sarebbe da ridere se il raro
ceppo di Escherichia coli non avesse già
provocato la morte di più di 20 persone,
oltre a spedirne centinaia in terapia intensiva.
Nei primi campioni di germogli
di soia identificati come possibili colpevoli,
dopo i cetrioli spagnoli, non è stata
trovata traccia del batterio. Ma gli esperti
continuano a ritenere che la pista sia
quella giusta. In uno dei casi di epidemie
analoghe, come quella che ha interessato il
Giappone 15 anni fa, la causa fu attribuita
a germogli di ravanello contaminati, però
gli scienziati non sono mai stati in grado
di provarlo in laboratorio. Non è esclusoche accada lo stesso con l’epidemia tedesca.
Panorama ha interpellato vari esperti
di sicurezza alimentare per fare il punto
sulla situazione e per chiedere se, in Italia,
possiamo stare tranquilli.
Chi controlla in Italia frutta e verdura?
È il ministero della Salute a programmare
e coordinare i controlli, gestiti a livello
locale dalle asl, che affidano le analisi sui
campioni ad Arpa e istituti zooprofilattici.
Nel 2009 sono state condotte oltre 6 mila
analisi su frutta e verdura e riscontrate
irregolarità solo nell’1,7 per cento dei casi,
la metà riguardava contaminazioni microbiologiche.
Al di là dei controlli ufficiali,
tutte le aziende agricole e le industrie di
trasformazione sono tenute a una serie di
controlli definiti dal «pacchetto igiene»,
norme europee varate dopo il caso della
mucca pazza.
Che cosa viene controllato?
Che i residui di pesticidi e fitofarmaci e
la contaminazione da metalli pesanti non
superino le soglie stabilite dalla legge, e che
non ci siano residui fisici, per esempio pezzi
di vetro. I prodotti ortofrutticoli freschi
sono in genere considerati a minore rischio
di problemi di salute da contaminazione
batterica, e di routine non viene fatta la
ricerca di microrganismi. Si cercano invece
alcuni batteri patogeni nelle insalate pronte,
negli ortaggi precotti e nelle conserve
vegetali. Quasi sempre la contaminazione
con E. coli O157, simile al ceppo attuale,
riguarda però carne o latte.
Nei vegetali è più probabile che avvenga
durante le fasi di lavorazione, oppure che
ci sia contaminazione crociata, cioè che
il prodotto venga a contatto con altri alimenti,
come carne o uova, contaminati. Di
fatto, comunque, già nel 2009 il rapporto
annuale sulla sicurezza alimentare del
ministero della Salute metteva in evidenza
«un incremento dei pericoli di natura
microbiologica, dimostrando la necessità
di un maggior numero di controlli, non
solo sui prodotti di origine animale ma
anche sui vegetali e sugli alimenti destinati
agli animali.
E in caso di irregolarità?
Scatta un sistema di allerta europeo (Rasff)
che raccoglie le segnalazioni su prodotti a
rischio in tutta Europa. Le segnalazioni nel
2010 per frutta e vegetali sono state 388, erano
state 326 nel 2009: riguardavano soprattutto
residui di pesticidi oltre la soglia e muffe. Il
paese che ha ricevuto più notifiche è stato
la Thailandia. Una volta partita la segnalazione,
scatta l’obbligo di ritirare il prodotto
dalla vendita. Un esempio: in Italia nel 2010
sono stati ritirati funghi secchi contaminati
dal Bacillus cereus, che causa intossicazioni,
provenienti dalla Repubblica di Macedonia.
Contaminazioni su prodotti italiani?
L’anno scorso non ci sono state segnalazioni
per riscontro di salmonella in verdura,
ma nel 2004 e 2005 e poi di nuovo nel
2008 e 2009 diverse allerta comunitarie
avevano riguardato rucola e mix di insalate
prodotte in Campania o, in altri casi, confezionate
e commercializzate da aziende in
Veneto. Per seguire questi casi il ministero
ha organizzato un piano di monitoraggio
con prelievo di campioni di I e IV gamma
(le insalate confezionate). I vegetali e l’acqua
di irrigazione in 21 aziende ispezionate
sono risultati in regola, ma sono emersi anche
punti critici: l’acqua per l’irrigazione in
alcuni casi analizzati proviene da fonti che
potrebbero essere facilmente contaminate.
E le cassette per il trasporto a volte vengono
riutilizzate, non solo per i vegetali. Lo stesso
per i mezzi di trasporto. Quindi il piano di
sorveglianza continua.
Quali sono gli agenti patogeni più pericolosi
per frutta e verdura?
Tutti gli enterovirus e gli enterobatteri,
cioè quelli che provengono dalla contaminazione
fecale, come nel caso dell’Escherichia
coli in Germania. Gli esperti ritengono
che il batterio si sia selezionato in seguito ad
alcuni tipi di manipolazione, piuttosto che
derivare da una semplice contaminazione.
Sono più sicuri i supermercati o i mercati di zona?
I controlli sono gli stessi sia nelle grandi
catene di distribuzione sia nei mercati
ortofrutticoli o nelle botteghe. Di solito i
supermercati hanno regole di autocontrollo
più stringenti, per il piccolo commerciante
più difficili da osservare. L’unica produzione
che può sfuggire ai controlli è quella
della vendita ambulante abusiva.
Quanto sono sicure le insalate e le verdure
in busta dei supermercati?
Si chiamano prodotti di quarta gamma:
selezionati e tagliati, poi lavati con una
soluzione di acqua e cloro. La percentuale
minima di disinfettante corrisponde a un
valore 20 volte superiore a quello presente
nell’acqua di una piscina (50 mg per litro).
Sono prodotti sicuri dal punto di vista sanitario,
anche se impoveriti nei loro valori
nutrizionali. Nello scorso febbraio è stata
approvata dalla Camera una proposta di
legge per regolamentare la preparazione, il
confezionamento e la vendita al dettaglio di
questi prodotti, le cui vendite negli ultimi
10 anni sono cresciute del 200 per cento
(mentre i consumi di ortaggi freschi sono
calati del 15 per cento).
Ci si può fidare dei germogli e dei semi
venduti in Italia?
Il mercato dei germogli di soia in Italia
è di nicchia, con produzione quasi tutta
concentrata nel Nord Italia, in coltivazioni
vicino al bacino del Po, come Veneto,
Lombardia, Piemonte e Liguria.
L’Escherichia coli è sempre pericoloso?
No. Esistono moltissimi ceppi di E. coli.
Alcuni vivono anche nel nostro intestino
(e in quello degli animali a sangue caldo),
dove fanno parte della flora microbica. L’intestino
dei neonati, per esempio, nel giro
di due giorni viene colonizzato dall’E. coli.
Solo alcuni ceppi però provocano malattie.
Il capostipite di quelli pericolosi è l’E. coli
O157, che produce potenti tossine proprio
come l’O104 (un suo sierotipo), che sta
facendo vittime in Germania ed Europa.
Perché l’E. coli O104 è più temibile?
Perché è frutto di una ricombinazione
genetica. Il ceppo O157 colpisce prevalentemente
i bambini e non possiede un
meccanismo così forte di adesione alla
mucosa intestinale. La mappatura dei geni
di E. coli O104 è stata fatta nei laboratori
di sequenziamento di Pechino, che si sono
fatti mandare campioni da analizzare
dall’ospedale di Amburgo. Le analisi indicano
che questo batterio ha il 93 per cento
di similarità genetica con il ceppo Eaec
55989, noto per causare violente diarree.
Il test per la diagnosi del batterio, invece, è
stato messo a punto in Italia dall’European
union reference dell’Istituto superiore di
sanità, centro di referenza europeo per
l’Escherichia coli.
In quali cibi può nascondersi?
Negli ultimi 20 anni i ceppi pericolosi
sono diventati un problema di sanità in
tutto il mondo industrializzato. In passato,
gli alimenti in cui è stato trovato il batterio
E. coli sono stati carne cruda o poco cotta
(salame, sandwich, hamburger…), latte
non pastorizzato, vegetali (ravanelli, spinaci,
germogli di soia, lattuga), formaggi.
L’insalata, avendo un pH superiore a 5.1,
è più facilmente contaminabile, mentre gli
ortaggi con un valore di pH tra 4.5 e 5.1,
come i pomodori, sono meno attaccabili.
Come può avvenire la contaminazione?
L’intestino dei bovini rappresenta il serbatoio
naturale dei batteri E. coli. Attraverso
le acque di irrigazione o le acque reflue
provenienti da allevamenti, i microrganismi
arrivano ai prodotti ortofrutticoli. I batteri
possono venire a contatto con i vegetali
anche durante le fasi di stoccaggio, processamento,
trasporto e vendita. Ecco perché
non è semplice scoprire la causa della contaminazione.
In questo caso le cose sono
ancora più complicate: secondo un esperto
tedesco, il ceppo O104, dal momento che
si è ricombinato con l’Eaec 55989, si troverebbe
più facilmente nell’intestino degli
umani piuttosto che in quello dei bovini:
a suo parere sarebbe quindi improbabile
una contaminazione con letame animale.
Come stanno procedendo le ricerche
per scoprire la causa dell’epidemia?
Ogni giorno i tecnici dell’istituto di
igiene di Amburgo prelevano un’ottantina
di alimenti sia nei mercati e supermercati
della regione sia nei frigoriferi delle persone
che si sono ammalate. Queste ultime sono
difficili da interrogare (per sapere quali cibi
hanno consumato nei giorni precedenti,
e in quali luoghi) perché molte sono nei
reparti di rianimazione. Finora sono stati
fatti più di 1 miliardo di test sugli alimenti.
Quanto dura il periodo di incubazione,
e quali sono i sintomi?
Dai 3 agli 8 giorni. I sintomi sono crampi
addominali, vomito e diarrea che può
diventare sanguinolenta. Nel caso di colite
emorragica si guarisce, in media, in 8 giorni.
Se però la malattia evolve in sindrome
emolitica uremica (Seu), i malati hanno
complicazioni più serie, come l’insufficienza
renale acuta. Successivamente anche i
globuli rossi possono subire danni, con
grave rischio per la vita del paziente.
In che modo l’E.coli danneggia i reni?
L’E.coli O104, grazie alla sua tossina,
forma un peduncolo che aderisce alle pareti
dei reni. Il rene non è più in grado di filtrare
e va in necrosi.
Gli antibiotici servono?
Il batterio è resistente a molti antibiotici,
comunque controindicati perché rischiano
di complicare la situazione: uccidendo il
batterio viene favorita la liberazione della
tossina che entra in circolo più rapidamente,
peggiorando le condizioni dei malati.
Esistono farmaci efficaci?
Nei pazienti più gravi si sta provando con
un anticorpo monoclonale (eculizumab).
Per i medici tedeschi si tratta di una notevole
sfida a livello clinico: occorre trovare un
sistema per bloccare l’azione della tossina
prima che i danni siano irreversibili.
Il batterio si trova sulla superficie dei
vegetali o al loro interno?
In genere questi batteri sono sulla superficie
degli alimenti. Ma negli ultimi anni si è
visto che alcuni sono in grado di penetrare
all’interno dell’ospite vegetale, quindi di
colonizzarlo. Può succedere nel caso della
salmonella. Al centro Agroinnova dell’Università
di Torino esiste un laboratorio che
studia proprio questi fenomeni.
Basta lavare bene gli alimenti per eliminare
il pericolo?
Nel caso di questo batterio, la dose infettante
è incredibilmente bassa: ossia ne
basta pochissimo (una cellula per grammo
di alimento) per causare la sindrome. Non
esiste un altro batterio alimentare con una
capacità di attacco simile. Gli alimenti (insalata,
verdura, frutta) vanno quindi lavati
accuratamente con acqua e bicarbonato. Se
possibile, è meglio sbucciarli.
Il contagio può avvenire da uomo a
uomo?
Questo batterio non si trasmette per
via aerea. Per fare ammalare deve essere
ingerito. Nel caso dell’epidemia che ha
colpito la Germania, si è avuto solo un caso
documentato di trasmissione umana, per
contagio oro-fecale (mani a contatto con
superfici sporche da feci infette).
Cosa deve fare chi sta per recarsi nel nord
della Germania o vi è stato di recente?
Il consiglio del ministero della Salute, a
chi nei prossimi giorni andrà in Germania,
è di non consumare verdura e frutta crude e
di non bere acqua di rubinetto. Chi ha viaggiato
in quei luoghi deve prestare attenzione
a sintomi gastroenterici e, nel caso di diarrea
emorragica, rivolgersi al medico.
(ha collaborato Linda Grilli)
Esperti interpellati:
Silvio Borrello, responsabile Direzione
generale sicurezza degli alimenti e nutrizione
del ministero della Salute; Rolando Manfredini,
responsabile sicurezza alimentare
Coldiretti; Valeria Fantini, Servizio igiene
alimenti e nutrizione Ulss 20 Verona; Giuseppe
Cornaglia, European society of clinical microbiology
and infectious diseases; Antonello
Paparella, ordinario di microbiologia degli
alimenti all’Università di Teramo; Maria
Lodovica Gullino, direttore di Agroinnova
all’Università di Torino.