
Un tempo l’agricoltura era “verde” per definizione. Ora, in alcuni casi, si parla di “agricoltura blu”. Se può sembrare qualche cosa di spaziale, in realtà è esattamente il contrario: un ritorno alla semplicità attraverso tecniche innovative che tendono ad eliminare gli sprechi. In sostanza si tratta di una metodologia che – come spiega Marino Berton, presidente del settore agro energetico della Confederazione italiana agricoltori, “riassume le tecniche di lavorazione dei terreni a basso impatto energetico”
Esempio: “per arare il terreno si può scegliere se prendere un grosso trattore – i cui costi oscillano dai 35mila euro ai 350mila euro – che rivolta la terra per cinquanta centimetri; oppure seminare sul sodo, “ovvero – precisa Berton – scavando solchi più piccoli senza dispendio di tempo ed energia”. Praticamente gli sprechi si riducono al minimo, come si riduce la quantità di energia impiegata e i costi di gestione aziendale.
Senza contare l’impatto ambientale che si azzera. “Basti pensare al minore impegno energetico e alla minore quantità di gasolio necessaria. Insomma, si massimizzano i costi cui le imprese devono far fronte”. Tutto sta nella capacità di utilizzare al meglio i fattori tecnici di lavorazione del territorio. E non solo: “le coltivazioni blu sono molto più rapide”, insiste il presidente Aiel-Cia. E non è cosa da poco se è vero che il tempo è denaro. Ma per fare questo “bisogna avere anche un’attrezzatura adeguata”. Come i puntatori che servono a seminare senza dover arare. Attraverso una piccola fenditura del terreno che permette di inserire i semi. Gli stessi da cui – in un modo o nell’altro – dipende il made in Italy agroalimentare da 165 miliardi di euro.
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