Non esistono formule magiche per affrontare un lutto, un percorso sempre molto sofferto, delicato e personale. Tra l’altro, sono fondamentali le condizioni di partenza: chi ha il dono della fede, per esempio, è sicuramente avvantaggiato in questo triste passaggio che tocca tutti, nel corso della nostra vita.
Però anche il lutto, una volta elaborato, può dare un nuovo slancio alla vita, allontanando il rischio di sprecarla in una interminabile, anche se motivata, sofferenza.
Darsi tempo, agganciare con animo aperto la solidarietà e la vicinanza delle persone alle quali vogliamo bene, non chiudersi in se stessi quasi negando il dolore, non reprimere le emozioni e anzi liberarle: non sono né regole né soluzioni miracolistiche, ma solo consigli che possono aiutare.
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Il lutto non è una malattia, ma un viaggio
Il primo passo per affrontare una perdita è capire che il lutto non è una malattia da “curare”, né un errore da correggere. È la risposta umana, naturale e necessaria a una separazione profonda.
Molti conoscono le famose 5 fasi del lutto, ossia:
- Negazione,
- Rabbia,
- Patteggiamento,
- Depressione,
- Accettazione.
Ma è fondamentale non considerarle una mappa rigida.
Non è un percorso lineare: si può passare dalla rabbia all’accettazione e tornare alla negazione in un solo giorno.
Alcune fasi possono essere saltate, altre vissute contemporaneamente. Non c’è un modo “giusto” o “sbagliato” di soffrire: ogni lutto è unico, perché unica era la relazione che abbiamo perso.
Darsi il permesso di soffrire
Come già accennato, reprimere le emozioni è controproducente. La nostra società spesso teme il dolore e ci spinge a “essere forti”, ma la vera forza sta nel permettersi di essere vulnerabili.
Piangere, ad esempio, non è debolezza, ma una reazione fisiologica di rilascio. È stato scientificamente osservato che il pianto emotivo aiuta a espellere gli ormoni dello stress, come il cortisolo, e stimola la produzione di endorfine, che hanno un effetto calmante.
Oltre alla tristezza, il lutto porta con sé un ecosistema complesso di sentimenti. È normale provare rabbia (contro la situazione, i medici, il destino) e senso di colpa.
Soprattutto, è quasi universale provare rimpianto: “se solo avessi detto…”, “se solo avessimo fatto…”.
Questo sentimento doloroso è un tentativo della mente di riprendere il controllo su un evento incontrollabile. Accettare questi pensieri, senza lasciarsi definire da essi, è parte del processo.
Con il tempo, la malinconia acuta per ciò che è stato perso può trasformarsi in nostalgia: un ricordo agrodolce, dove la gratitudine per il tempo condiviso inizia a trovare spazio accanto al dolore per l’assenza.
Come affrontare il lutto
Se non ci sono formule magiche, ci sono però atteggiamenti concreti che possono aiutare ad attraversare la tempesta.
Il primo è “agganciare la solidarietà”. La vera consolazione non risiede nelle frasi fatte (“devi superarlo”), ma nella presenza.
Accettare l’aiuto pratico di chi ci vuole bene (un pasto caldo, un aiuto con le commissioni) è essenziale.
Oltre alla compassione altrui, è vitale l’auto-compassione: darsi il permesso di avere giorni “no” senza giudicarsi, trattarsi con la stessa gentilezza che useremmo per un amico caro.
Questo include prendersi il giusto tempo: la nostra cultura vuole tutto e subito, ma il lutto non ha una data di scadenza.
Non esiste un “troppo tempo” per soffrire. Il dolore acuto si attenuerà, ma l’amore e il legame restano per sempre. Infine, può essere utile creare nuovi rituali per onorare chi non c’è più: scrivere una lettera, dedicarsi a un’attività che amava, visitare un luogo speciale. Sono modi per trasformare il legame, non per cancellarlo.
Quando il dolore parla al corpo
Un lutto è uno degli eventi più stressanti che un essere umano possa vivere, e il corpo reagisce. Quando la mente è sopraffatta, il dolore trova spesso una via d’uscita fisica: questa è la somatizzazione.
È comune sperimentare disturbi psicosomatici come una stanchezza cronica (astenia) che nessun sonno sembra curare, problemi digestivi, dolori muscolari, o un indebolimento generale del sistema immunitario che ci rende più vulnerabili alle malattie.
Molto diffusa è anche la cosiddetta “nebbia da lutto” (Grief Fog): una sensazione di confusione, difficoltà a concentrarsi e vuoti di memoria. Se questi sintomi fisici sono normali, è cruciale monitorare quelli psicologici.
La tristezza del lutto è diversa dalla depressione clinica: la prima è legata alla perdita, la seconda è uno stato pervasivo di vuoto e apatia. Se il lutto innesca un’ansia paralizzante per il futuro o se la tristezza diventa incapacità totale di provare qualsiasi piacere, è fondamentale non confonderlo con il “normale” processo di lutto e parlarne con un medico.
Quando il lutto diventa complicato: chiedere aiuto
A volte, il processo di elaborazione si blocca. Se dopo un lungo periodo (generalmente si parla di almeno un anno) il dolore è ancora acuto, invalidante e impedisce qualsiasi forma di ritorno alla vita, si potrebbe essere di fronte a un disturbo da lutto persistente (riconosciuto ufficialmente dal DSM-5).
I segnali d’allarme sono:
- Angoscia che non diminuisce mai,
- Incapacità totale di accettare la realtà della perdita,
- Ritiro sociale completo.
In questi casi, chiedere aiuto a uno psicologo o a un gruppo di supporto per l’elaborazione del lutto non è un fallimento. È un atto di coraggio e di amore verso sé stessi, un modo per imparare a convivere con la perdita senza lasciare che essa definisca il resto della propria vita.
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