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Nasce in Italia il bioetanolo che non ruba cibo all’uomo

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Fare le cose meglio degli altri, puntando su tecnologia e innovazione. Solo così i paesi economicamente maturi come l’Italia potranno continuare a stare sul mercato. Il ritornello sembra stantio, tante le volte che lo abbiamo sentito ripetere. Poi capita di incontrare una di queste realtà e di toccare con mano dove si può trovare il guizzo che fa fare al made in Italy il salto in avanti. Il campo è la produzione di energia rinnovabile, il luogo Alessandria e – presto – Crescentino (in provincia di Vercelli), il marchio quello di Mossi&Ghisolfi, gruppo italiano leader mondiale nella produzione di Pet. Avete una bottiglietta d’acqua sul tavolo? L’hanno inventata (e prodotta loro). Solo che poi non si sono fermati a quel successo mondiale, sapendo che le ricette vincenti richiedono anni di studio per essere messe a punto.

La risorsa dei campi
Cinque anni fa gli ingegneri del gruppo si sono messi a studiare l’energia prodotta con combustibili vegetali. Cercando di escludere dalla lista dei combustibili, per esempio, il mais: «Rende bene da un punto di vista energetico, ma serve per l’alimentazione – racconta Giuseppe Fano, direttore delle relazioni esterne del gruppo -. I prezzi alimentari stanno crescendo, i terreni coltivati sono sempre meno, usare questo tipo di risorsa rischia di diventare troppo caro e di sottrarre risorse preziose all’alimentazione». Non è una storia nuova. Negli ultimi anni molte multinazionali hanno messo gli occhi sui terreni agricoli italiani. Sono disposte a pagare affitti più alti di quelli che pagano gli agricoltori. «Ma noi cercavamo altro. E abbiamo puntato sul bioetanolo di seconda generazione – continua Fano -: la materia prima arriva da colture non alimentari, adatte a terreni marginali o non coltivabili. Così abbiamo trovato la canna dolce nostrana. Cresce ovunque senza bisogno dell’intervento dell’uomo, è disponibile in grande abbondanza, non richiede grandi quantitativi di acqua o di fertilizzanti, così alla fine della vita la CO2 emessa – compreso l’impego come carburante – è minore di quella assorbita dalla pianta.

E dà un ottimo rendimento energetico». Sì, perché negli Stati Uniti è successo anche che ci si rendesse conto che tra fertilizzanti e impiego di macchine (trattori, mietitrici) per la raccolta alla fine il bilancio dei biocarburanti prodotti con il mais sia negativo: le emissioni sono analoghe a quelle ottenute con i carburanti fossili tradizionali. Cinque anni fa, gli ingegneri del gruppo hanno costruito una Minicentrale in un capannone della Chemtex, vicino ad Alessandria: con un investimento di 120 milioni di euro hanno cominciato a studiare la possibilità di trovare una soluzione nuova e l’hanno trovata. Ad Alessandria è in funzione una miniazienda che distilla il carburante in taniconi bianchi («Ci servono soprattutto per le analisi e i test», spiega Fano), a Crescentino è stata posata lo scorso aprile la prima pietra dell’impianto che avvierà la produzione industriale vera e propria.

La domanda cresce
I numeri spiegano cosa c’è dietro un’investimento del genere. Il mercato mondiale dell’energia è ancora dominato – per circa l’80% – da gas, petrolio e carbone. Secondo l’agenzia internazionale per l’energia il fabbisogno crescerà del 40% entro il 2030. «Chiaro che serviva un’alternativa – commenta Fano -. Oggi i biocarburanti coprono appena l’1,5% del mercato dei trasporti, ma la crescita in futuro sarà esponenziale». Cento ricercatori (tra il gruppo e il Politecnico di Torino, i già citati 120 milioni di investimenti (15 li ha messi l’Unione europea attraverso la Regione Piemonte), un laboratorio all’avanguardia nel quale lavorano praticamente solo giovani. «Altra chiave che a mio parere è molto importante: sono aperti al nuovo, non hanno timore di sperimentare, sanno lavorare in gruppo». Negli anni gli ingegenri di M&G hanno sperimentato decine di tipi di combustibili vegetali, le hanno centrifugate, spremute, tagliuzzate, ridotte in cubetti. Alla fine hanno scelto la canna dolce, che per gli scienziati è la Arundo Donax. Niente di esotico: si tratta delle piante che crescono, per esempio, all’interno delle aiuole dei raccordi autostradali senza intervento dell’uomo.

Italia all’avanguardia
Così dalle parti di Alessandria è venuto fuori quello che Fano definisce «il carburante rinnovabile più moderno del mondo. Si può miscelare direttamente con la benzina ed è perfino a chilometro zero». Uno dei capisaldi del progetto, infatti, prevede che la materia prima sia raccoglibile entro un raggio massimo di 40 chilometri dall’impianto che la trasformerà in biocombustibile. «Anche questa è sostenibilità: mica possiamo riempire le strade di mezzi che bruciano gasolio per produrre bioetanolo di seconda generazione». Altrimenti che seconda generazione sarebbe?

Gli scarti nella stufa
Trovato il biocarburante giusto, restava da stabilire cosa fare con gli scarti di lavorazione. Anche sotto questo punto di vista la canna dolce ha dato delle sorprese piacevoli agli ingegneri di M&G. Da un contenitore spunta una mattonella marrone, ciò che resta dopo l’ultimo processo di distillazione. «Questa qui, infilata in una stufa – spiega uno degli ingegneri in laboratorio – funziona come i combustibili solidi oggi in vendita». Soprattutto in campagna la domanda è in crescita, tra le bizze del petrolio e il costo del gas. Lo stabilimento di Crescentino, a regime, produrrà 40 mila tonnellate di etanolo. Siamo in Italia, Piemonte. Non sulla luna.

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