FURTO BICICLETTE BIKE SHARING
L’ultima moda del cittadino selvaggio? Prendere una bici a noleggio, attraverso i servizi di sharing, e mollarla nel fiume Tevere a Roma. Oppure nel Po a Torino, nell’Arno a Firenze o nelle acque dei Navigli a Milano. Una minoranza di farabutti, sicuramente, ma molto attiva. Di fronte alla quale milioni di ciclisti e le società che fanno il servizio sono letteralmente impotenti. Specie rispetto all’impunità dei colpevoli: a Roma ne hanno individuati due, un uomo e una donna, ma dopo averli fermati e interrogati sono stati tranquillamente rilasciati.
(Le biciclette oBike riemerse dal fiume Tevere a Roma)
Più cresce la mobilità in bicicletta, più dobbiamo fare i conti con una minoranza, purtroppo diffusa in tutta Italia, di ciclisti incivili. Le notizie che arrivano da Milano, sicuramente tra le grandi città italiane la più avanti sul fronte della nuova Mobilità targata Non sprecare, sono davvero imbarazzanti.
Il popolo della bici è sotto choc e continua a fare girare immagini e dati sul web a proposito dei continui atti di vandalismo dei ciclisti che prendono la bici con il servizio di sharing. La società Ofo, uno dei player più attivi sul fronte del bike sharing a Milano, segnala 1.000 biciclette danneggiate su 4.000 offerte ai cittadini. Uno scempio. Come le immagini di biciclette lasciate dappertutto, o buttate, non sappiamo se per gioco o per qualche ritorsione, perfino nelle acque dei Navigli. Ancora: bici affittate da minorenni (cosa vietata) con la complicità di genitori che poi provano a rubare questi mezzi. Siamo, insomma, alla guerriglia urbana che rischia di mettere ko l’economia che gravita attorno al mondo a due ruote e i nuovi stili di vita della stragrande maggioranza formata da cittadini civili. Per non parlare del conflitto, sempre più aspro e insensato (altro spreco: di tempo, di civiltà e di salute, se non di vite umane) tra i ciclisti, sempre più numerosi, e coloro che utilizzano altri mezzi di trasporto in città o preferiscono andare a piedi.
(Credits: Dday.it)
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La guerra strisciante tra ciclisti, automobilisti, motociclisti e pedoni, non è mai finita, specie sulle nostre strade non sempre frequentate da persone classificabili come «civili». Ma adesso esplode, con il rischio di uno spreco enorme: di salute (la nuova mobilità è benessere, per tutti), di opportunità (guai a fermare la crescita del sistema bici) e perfino di vite umane (gli incidenti mortali con i ciclisti, in genere, vittime, sono una vergogna del Paese).
SOSTA SELVAGGIA BIKE SHARING
In sintesi accade questo: più cresce il bike sharing e più aumenta il conflitto. Lo scontro tra i cittadini che utilizzano mezzi di locomozione diversi o scelgono di camminare, altra soluzione molto suggerita dalla nostra comunità di Non sprecare. Prendiamo il caso di Milano, la città più avanti in Italia nei servizi di sharing, con numeri davvero impressionanti. Ci sono ormai quasi 20mila bici disponibili nel capoluogo lombardo, a fronte però di appena 8.300 posti nelle rastrelliere. Inoltre sono sbarcate a Milano, e anche a Firenze, due società cinesi, Mobike e Ofo, che in concorrenza con le altre già presenti, come BikeMi, stanno davvero rivoluzionando il mercato. Come? Abbassando i prezzi del servizio (30 centesimi ogni mezz’ora, e senza l’obbligo di acquistare una tessera annuale che costa 36 euro), moltiplicando le bici sul territorio (le due società hanno 7 milioni di biciclette in giro per il mondo) e puntando sul meccanismo del free floating. Un’app mi dice dove si trova la prima bici disponibile, e posso così prenderla e lasciarla dove voglio, senza dovere passare per i parcheggi riservati ai mezzi del bike sharing. Per la verità, nel regolamento delle due società è scritto che i ciclisti debbano lasciare le bici in modo da «non intralciare pedoni, moto e auto».
Nella pratica quotidiana, mentre sempre più milanesi e fiorentini, come tanti italiani, scelgono la bici per circolare in città, ci sono anche i ciclisti incivili. Uomini e donne che lasciano la bici ammassata da quale parte, in mezzo alla strada, su un marciapiede. Proprio come gli automobilisti incivili che, per esempio, quando parcheggiano sotto la loro casa o sotto il loro ufficio, non si fanno problemi a salire sui marciapiedi, togliendo spazio ai pedoni e rovinando l’estetica dei luoghi, e perfino a sradicare alberi pur di parcheggiare con la tecnica del cafone arrogante, in versione in-urbana.
(L’immagine è tratta dalla pagina Facebook di Ofo Italia)
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Prima finisce questa guerra e meglio è per tutti, ma siamo realisti: ci vorrà tempo. E bisognerà prendere tutti, i cittadini da un lato (con le relative associazioni) e le amministrazioni pubbliche dall’altro, qualche impegno da condividere. Personalmente continuo a sognare anche in Italia, specie nelle piccole e medie città, quello che ho visto applicato a Zurigo e in alcuni quartieri delle città del Nord Europa: lo shared space, ovvero lo spazio condiviso, dove convivono tutti i vari attori della mobilità, dal ciclista all’automobilista passando per i pedoni. Senza risse e senza rischiare la pelle. Questo è il futuro della nostra civiltà dello Stare insieme, il contrario dell’essere sempre divisi ed egoisti.
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Quanto agli impegni, le pubbliche amministrazioni farebbero bene a finirla di riempirsi la bocca con gli annunci pro-bici. In realtà servono fatti, e quindi, per esempio, più rastrelliere, a Milano come altrove, più piste ciclabili in sicurezza. A Milano, sulla carta, le ciclabili valgono 215 chilometri di percorsi vari e l’amministrazione giura di volere arrivare a 300 chilometri: ma quante possono davvero considerarsi sicure? E non ci vengano a dire che i comuni non hanno i soldi per questi interventi. Non è vero. I soldi ci sono, ma loro spesso li sprecano in altro modo, e poi, considerando la portata del fenomeno e del mutamento degli stili di vita, non sarebbe difficile coinvolgere anche soggetti privati per finanziare il miglioramento dell’offerta della mobilità in bici. Siamo o non siamo, per esempio, i primi produttori di bici in Europa? E allora, diamoci da fare per coinvolgere aziende private e altri soggetti pubblici con fisionomie private, per esempio le Fondazioni bancarie che per statuto si devono occupare anche di territorio e di qualità della vita dei cittadini, per aumentare piste, rastrelliere, percorsi, attività in bici.
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Non mi faccio grandi illusioni sulla capacità del nostro ceto politico di essere adeguato a questa sfida con i nuovi stili di vita, anche se vedo tanti bravissimi sindaci in Italia impegnati per il cambiamento. Ma, all’azione di stimolo e di assedio alle pubbliche amministrazioni, per inchiodarle di fronte alle loro responsabilità, noi cittadini dobbiamo aggiungere una cosa, prima e dopo. Diventare più educati, gentili, sereni, empatici, cortesi. Quando andiamo in bici, in macchina, in moto, o anche quando circoliamo a piedi. Cioè sempre. Credetemi: ci sono cose più difficili da fare insieme, e questa tra l’altro è una delle più semplici e delle più utili.
(Credits immagine di copertina: Dday.it)