La marea nera che accerchia Obama

Dopo le banche che portano il mondo sull’orlo dell’abisso finanziario, i giganti petroliferi che provocano un’apocalisse ecologica. E il governo della superpotenza mondiale, col suo presidente accusato di statalismo (quando non addirittura di socialismo), nudo nella sua totale impotenza: commander- in-chief di uno Stato senza capacita’ d’intervento che non solo non e’ in grado di […]

Dopo le banche che portano il mondo sull’orlo dell’abisso finanziario, i giganti petroliferi che provocano un’apocalisse ecologica. E il governo della superpotenza mondiale, col suo presidente accusato di statalismo (quando non addirittura di socialismo), nudo nella sua totale impotenza: commander- in-chief di uno Stato senza capacita’ d’intervento che non solo non e’ in grado di tappare il maledetto buco, ma non ha nemmeno gli strumenti per ridurre l’impatto dell’onda nera ne’ per misurare l’entita’ dei danni, sulla superficie del mare e in profondita’. E’ il paradosso incorporato nel dramma di quest’America che ?proprio mentre l’Europa statalista paga la scarsa lungimiranza di governi che hanno creato sistemi di welfare tanto generosi quanto insostenibili?scopre che puo’ essere suicida anche affidarsi ciecamente a giganti industriali che operano senza alcun controllo efficace, con le agenzie federali delegittimate, trattate come parcheggi di burocrati.

L’uomo-simbolo di questo dramma e dei paradossi che ci galleggiano dentro e’ il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, bandiera degli arciconservatori che hanno meditato di farne un anti-Obama. Quando, all’inizio del 2009, il presidente pronuncio’ il discorso di insediamento alla Casa Bianca, tocco’ a Jindal opporre, alla sua, la visione dei repubblicani: No caro Barack, il futuro dell’America non risiede nella forza del suo governo, ma nel cuore e nello spirito imprenditoriale dei suoi cittadini.Parole nobili, ma il disastro provocato dall’esplosione della piattaforma petrolifera della BP trasforma oggi il repubblicano seguace dello Stato minimo in un governatore che ha disperatamente bisogno di un Stato in versione extralarge: protesta per la risposta troppo lenta e troppo limitata del governo federale, non sa che farsene dei 20 mila uomini e delle 1.300 imbarcazioni fin qui schierati. Vuole una barriera di isole artificiali per proteggere le spiagge della Louisiana. Un’opera faraonica da realizzare trasportando quantita’ immani di terra e sabbia davanti a 270 chilometri di coste dello Stato

Obama non prova nemmeno a prendersi un’amara rivincita dialettica: tace e cerca di soddisfare, almeno in parte, la richiesta di Jindal.
L’aspetto piu’ curioso di questa situazione paradossale e’ che l’oil spill rischia di travolgere non il governatore repubblicano, ma il presidente democratico e il suo partito alle prossime elezioni di mid-term: la loro popolarita’ e’, infatti, spinta sempre piu’ in basso dal malessere e dal risentimento di un’America frustrata per l’impatto della massiccia disoccupazione, per il salvataggio di Wall Street fatto a spese del contribuente e, ora, per il disastro del Golfo del Messico. Insomma i repubblicani, che con la deregulation ideologica di Reagan, la fiducia cieca nell’autoregolamentazione del mercato e lo smantellamento dei controlli attuato nell’era Bush, sono i maggiori responsabili delle crisi che oggi scuotono l’America, sono anche il partito che trarra’ maggiori benefici politici da questa situazione.

Wall Street e petrolio che avvelena il mare sono cose molto diverse. Una crisi finanziaria provoca poverta’, ma non uccide animali, non distrugge un intero ecosistema. Eppure nelle due crisi ci sono molti piu’ punti di contatto di quanto sembri. Non solo l’incapacita’ dello Stato di evitare comportamenti incoscienti?nelle trivellazioni come nell’eccessiva esposizione delle banche ?, ma anche la fiducia cieca nella tecnologia: quella degli algoritmi matematici che dovevano tenere gli operatori dei mercati al riparo dai grossi rischi, come quella delle perforazioni in mari sempre piu’ profondi, dello sfruttamento di giacimenti dalle caratteristiche geologiche sempre piu’ problematiche

E, poi, la scoperta che davanti ai problemi immani creati da queste grandi imprese, nemmeno lo Stato e’ in grado di offrire piu’ un’ultima rete di protezione: nel Golfo perche’ non ha tecnologie per operare in acque profonde, in finanza perche’ le dimensioni in gioco sono ormai immani. Il meltdown e’ stato evitato mettendo in gioco tutte le risorse possibili e ipotecando il futuro del Paese: salvataggi a spese dei contribuenti, moltiplicazione del debito pubblico, la Federal Reserve, tempio del dollaro, che diventa una sorta di hedge fund. Di cartucce di riserva ne sono rimaste ben poche. E chissa’ che in futuro non scopriremo un’altra similitudine: dopo le banche che fanno disastri ma non pagano col fallimento perche’ questo creerebbe un effetto domino, magari scopriremo che anche i petrolieri sono too big to fail. Oggi la Bp e’ alla gogna, ma l’America e il mondo non possono fare a meno del greggio che la compagnia anglo-americana (e le sue sorelle che operano in modo del tutto simile) va a cercare in luoghi sempre piu’

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