
Geofrey West non pranza
mai. Secondo il suo medico,
la causa della sonnolenza
e della leggera
nausea che avverte
sempre dopo i pasti è
una lieve allergia ai prodotti alimentari.
Quando lavora, cioè quando studia qualche
equazione che ha scritto su un foglio o guarda
il deserto dalla inestra del suo uicio nel
New Mexico, va avanti solo a tè nero e noccioline.
La barba lunga e i capelli grigi e arrufati
gli danno un’aria trasandata. È chiaro
che considera le banalità della vita quotidiana,
come farsi la barba, fastidiose perdite
di tempo che lo distraggono da problemi
molto più seri. West, che è un isico teorico
sempre in cerca di leggi fondamentali, paragona
il suo lavoro a quello di Keplero, Galilei
e Newton. “Ho sempre desiderato scoprire
le leggi che governano l’universo”,
dice. “È già incredibile che esistano. Ed è
ancora più sorprendente che noi esseri
umani siamo in grado di trovarle”.
Ma oggi West, un signore di settant’anni
cresciuto nel sudovest dell’Inghilterra, non
cerca più di risolvere i misteri dell’universo.
Ha lavorato per anni all’università di Stanford
e al Los Alamos national laboratory,
ma ha deciso di lasciare questo settore della
ricerca nel 1993, quando il congresso degli
Stati Uniti ha annullato il inanziamento a
un superacceleratore di particelle a magneti
superconduttori che avrebbe dovuto sorgere
in Texas. West non era ancora pronto
ad andare in pensione e alla ine ha scelto di
dedicarsi alle città. “Passiamo un sacco di
tempo a pensare ai dettagli delle città come
i ristoranti, i musei e il clima”, dice West.
“Ma io sentivo che c’era qualcosa di più, che
ogni città era governata da una serie di leggi
nascoste”.
La crescita della popolazione urbana è
un grande tema di attualità in tutto il mondo,
dalle città-fabbrica del sud della Cina
alle tentacolari favelas di Rio de Janeiro. Per
la prima volta nella storia la maggior parte
degli esseri umani vive nelle aree urbane. E
il ritmo dell’urbanizzazione sta aumentando,
perché molte persone continuano a lasciare
le campagne. West voleva cominciare
da zero, studiare le città come se non
fossero mai state studiate prima. Era stanco
delle teorie urbanistiche, voleva inventare
una nuova scienza. Questo signiicava cercare
prima di tutto di raccogliere il maggior
numero possibile di informazioni sulle città.
Insieme a un gruppo di ricercatori che
comprendeva anche Luis Bettencourt, un
altro scienziato che aveva abbandonato la
isica convenzionale, West ha cominciato a
setacciare biblioteche e siti web governativi
alla ricerca di dati signiicativi.
Il team ha esaminato un’enorme quantità
di variabili, dal numero totale di cavi
elettrici posati a Francoforte sul Meno a
quello di laureati di Boise, nello stato americano
dell’Idaho. I ricercatori hanno raccolto
dati anche sui distributori di benzina e
sui redditi, sulle epidemie d’inluenza e sui
tassi di omicidio, sul numero di bar e sulla
velocità dei pedoni.
Dopo due anni di ricerche, Bettencourt
e West hanno scoperto che tutte queste variabili
potevano essere descritte da un paio
di semplici equazioni. Conoscendo, per
esempio, la popolazione di un’area metropolitana
in un certo paese, è possibile stimare
con un’accuratezza dell’85 per cento il
suo reddito medio e le dimensioni del sistema
fognario. “Abbiamo trovato le costanti
che descrivono le città”, spiega West. “Posso
fare previsioni precise sul numero di reati
e sulla supericie occupata dalle strade in
una città giapponese di duecentomila abitanti
senza sapere niente di questa città,
neanche dove si trova né qual è la sua storia.
Ogni città è uguale alle altre”.
È strano pensare alle metropoli in termini
così astratti. Di solito descriviamo le
città come luoghi con caratteristiche uniche
dal punto di vista storico e geograico.
Eppure, West ripete che questi fatti sono
dettagli, aneddoti interessanti che non
spiegano molto. Secondo lui, il solo modo
per capire le città è conoscere la loro struttura
profonda, trovare un modello che ne
spieghi il funzionamento, in modo da prevedere
se sono destinate a svilupparsi o a
morire.
West sostiene di aver capito come funzionano
le città. Nel 1997 ha pubblicato uno
degli studi più discussi e allo stesso tempo
più inluenti della biologia moderna. L’ultima
riga dell’articolo, apparso sulla rivista
Science, riassume il senso dell’intera ricerca:
West e i suoi colleghi sostenevano di
avere risolto “il problema di fondo della diversità
biologica”, dimostrando che le caratteristiche
vitali di tutti gli animali – la
frequenza cardiaca, le dimensioni, il fabbisogno
calorico – sono collegate tra loro. Le
equazioni matematiche scritte da West e
dai suoi colleghi sono inluenzate dalle scoperte
del biologo Max Kleiber. All’inizio
degli anni trenta, quando lavorava al dipartimento
di zootecnia dell’università della
California a Davis, Kleiber notò che le diferenze
tra le varie specie del regno animale
potevano essere descritte da un semplice
rapporto matematico, secondo il quale il
tasso metabolico di una creatura vivente è
uguale alla sua massa elevata alla potenza
di tre quarti. Questo principio aveva implicazioni
importanti, perché dimostrava che
le specie più grandi hanno bisogno di meno
energia per ogni chilo di peso rispetto a
quelle più piccole. Per esempio, pur essendo
diecimila volte più grande di un porcellino
d’India, un elefante ha bisogno di una
quantità di energia solo mille volte più grande.
In seguito altri scienziati hanno scoperto
più di settanta leggi di questo tipo, deinite
dalle cosiddette equazioni “sublineari”.
Non importa che aspetto abbia l’animale,
dove viva o come si sia evoluto, queste leggi
sono quasi sempre valide.
Struttura interna
Traducendo questi schemi biologici in matematica,
West e i suoi colleghi sono stati in
grado di confermare le leggi di Kleiber. E
nel 2002, quando lo scienziato ha cominciato
a pensare seriamente alle città, la possibilità
di applicarle ai centri urbani gli è
sembrata ovvia: una metropoli è come un
grande organismo deinito dalla sua struttura
interna. Dopo aver analizzato la prima
serie di dati, West e i suoi collaboratori si
sono convinti che le città somigliano agli
elefanti. Tutti gli indicatori del “metabolismo”
urbano, come il numero di stazioni di
servizio o la supericie complessiva delle
strade, dimostrano che quando le dimensioni
di una città raddoppiano, l’aumento di
risorse necessario è solo dell’85 per cento.
Alcune implicazioni di questa semplice
osservazione possono essere sorprendenti.
Sembra, per esempio, che le città moderne
siano i veri centri della sostenibilità. Secondo
i dati raccolti dai ricercatori, le persone
che vivono in luoghi densamente popolati
hanno bisogno di meno riscaldamento nei
mesi invernali e in generale di meno chilometri
di asfalto a testa. Ma la città non è fru
56 Internazionale 897 | 13 maggio 2011
Scienza
gale come un elefante. Le equazioni biologiche,
quindi, non spiegano del tutto la
crescita delle aree urbane. Come dice West,
“nessuno si trasferisce a New York per risparmiare
sulla bolletta del gas”.
Perché allora sopportiamo tutti i disagi
della città? Le scuole che non funzionano,
gli appartamenti troppo cari e gli ingorghi
del traico? Secondo i ricercatori, preferiamo
le città perché facilitano i rapporti umani,
perché le persone concentrate in pochi
chilometri quadrati si scambiano più facilmente
idee e collaborano tra di loro. “Se
chiedete a qualcuno perché si è trasferito in
città, vi darà quasi sempre le stesse motivazioni”,
dice West. “Lo ha fatto per trovare
lavoro, per seguire gli amici o per essere al
centro della scena sociale. È per questo che
paghiamo un aitto più caro. In città si va
per le persone, non per le infrastrutture”.
West cita le ricerche di Jane Jacobs,
un’attivista morta nel 2006, che ha scritto
Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle
metropoli americane (Einaudi 2009). Jacobs
sosteneva la necessità di difendere i piccoli
quartieri, come il Greenwich Village di New
York e il North End di Boston. Il valore di
queste aree urbane, diceva, è che facilitano
la libera circolazione di informazioni tra i
cittadini. Nel suo saggio Jacobs faceva
l’esempio della strada del Village dove abitava
e paragonava i suoi afollati marciapiedi
a un “balletto” spontaneo, eseguito da
persone di origine ed estrazione diversa.
Gli urbanisti avevano sempre considerato
ineiciente questo tipo di quartieri, mentre
Jacobs era convinta che certi scambi casuali
erano essenziali.
Parametri economici
La sida di Bettencourt e West era trovare
un modo per quantiicare le interazioni urbane.
Come al solito, i due ricercatori sono
partiti dalle statistiche. Secondo i dati, ogni
volta che le dimensioni di una città raddoppiano,
tutti i parametri economici – dalle
spese per costruire le case alla quantità di
depositi bancari – aumentano di circa il 15
per cento a persona. Non ha importanza
quant’è grande la città, la legge è sempre la
stessa.
Mentre Jacobs aveva solo ipotizzato
l’importanza delle interazioni urbane, West
sostiene di aver trovato una “conferma
scientiica” alle sue congetture. “I dati dimostrano
chiaramente quello che Jacobs
era stata così intelligente da prevedere”,
spiega. “Quando si trovano tutte insieme,
le persone diventano molto più produttive”.
Negli ultimi anni, tuttavia, molte città statunitensi
ad alto tasso di crescita, come
Phoenix, hanno seguito un modello completamente
diverso. Questi centri urbani
hanno sacriicato gli spazi pubblici alle villette
monofamiliari destinate ai lavoratori.
West e Bettencourt hanno osservato che le
opere a basso costo nelle periferie danno
risultati deludenti in diversi indicatori urbani.
Negli ultimi quarant’anni, per esempio,
Phoenix ha registrato livelli di reddito e
innovazione sotto la media. “Queste centri
urbani”, dice West, “hanno avuto livelli di
crescita notevoli ma allo stesso tempo insostenibili”.
Secondo i ricercatori, è inevitabile. West
e Bettencourt hanno analizzato le variabili
negative della vita nelle città, come la criminalità
e le malattie, scoprendo che anche
in questo caso si può applicare la stessa
equazione matematica. Se le dimensioni di
una città raddoppiano, i reati violenti, il
traico e i casi di aids pro capite aumentano
solo del 15 per cento. “Questo signiica”, dice
Bettencourt, “che la crescita economica
non è possibile senza un aumento contemporaneo
delle cose che non ci piacciono.
Quando la popolazione raddoppia, tutto
quello che è legato alle reti sociali aumenta
nella stessa percentuale”. West e Bettencourt
deiniscono questo fenomeno “incremento
superlineare”, un modo elaborato
per descrivere l’aumento di produttività
delle persone che vivono nelle grandi città.
“Quando noi esseri umani abbiamo cominciato
a vivere nei centri urbani, abbiamo
fatto qualcosa di assolutamente nuovo
nella storia”, aggiunge West. “Ci
siamo allontanati dalle equazioni
della biologia, che sono sublineari.
Tutti gli altri esseri viventi diventano
più lenti quando le loro
dimensioni aumentano. Con le
città succede il contrario: man mano che
crescono, tutto accelera. Non c’è un modello
equivalente in natura. Sarebbe come scoprire
che un elefante è in proporzione più
veloce di un topo”.
Naturalmente, c’è un buon motivo per
cui gli animali rallentano quando le loro dimensioni
aumentano: per spostare tutta
quella massa ci vuole energia. E dato che
l’elefante deve mangiare di più per procurarsela,
non si può permettere di correre
come un roditore. Ma la crescita superlineare
delle città non comporta queste restrizioni.
Anzi, le equazioni urbane fanno prevedere
un mondo che consuma sempre più
risorse man mano che l’espansione delle
città favorisce la crescita dell’economia.
West illustra questo punto traducendo
la vita degli esseri umani in watt. “Un essere
umano a riposo ha una potenza
di 90 watt”, dice. “È la potenza
che serve per starsene sdraiati.
Un cacciatoreraccoglitore
dell’Amazzonia, invece, ha bisogno
di 250 watt, perché deve andare
continuamente in cerca di cibo. Quanta
potenza richiede uno stile di vita medio?
Se sommiamo tutte le calorie di cui abbiamo
bisogno e l’energia necessaria per far
funzionare il nostro computer e l’aria condizionata,
arriviamo a una potenza di undicimila
watt. Ora proviamo a chiederci: ‘Che
tipo di animale ha bisogno di undicimila
watt per vivere?’. Scopriremo che abbiamo
creato uno stile di vita che consuma più
energia di una balena azzurra, il più grande
animale che sia mai esistito. È per questo
che il nostro stile di vita è insostenibile. Il
pianeta non può sostenere sette miliardi di
balene azzurre. Non sappiamo neanche se
può permettersene trecento milioni”.
Limitatezza delle risorse
West vede la storia umana come un continuo
conlitto tra la tendenza all’espansione
e la penuria di risorse, tra la crescita resa
possibile dalle città e la limitatezza delle
materie prime che la frena. “L’unico momento
in cui le equazioni superlineari si
fermano è quando esauriamo qualcosa di
cui abbiamo bisogno”, dice West. “A quel
punto la crescita rallenta. E se non si verifica
nessun altro cambiamento, prima o poi il
sistema crolla”.
Come possiamo evitare che succeda?
Con le innovazioni. Quando una risorsa si
esaurisce, siamo costretti a sfruttarne una
nuova, se non altro per mantenere la nostra
crescita superlineare. Ma la soluzione è solo
temporanea, perché ogni innovazione
prima o poi provoca l’esaurimento di altre
risorse. Dopo aver esaurito le foreste, siamo
passati al petrolio. Quando avremo inito le
nostre riserve di combustibili fossili, cominceremo
a costruire macchine elettriche,
almeno fino a quando non avremo
esaurito il litio.
E dal momento che il nostro stile di vita
è ormai insostenibilmente costoso, ogni
nuova risorsa si esaurisce più in fretta. Questo
signiica che il ciclo dell’innovazione
deve accelerare continuamente e che ogni
nuova scoperta ci aiuta per un periodo più
breve. Il risultato è che le città intensiicano
non solo il ritmo della vita, ma anche la velocità
con cui cambia. “È come essere su un
tapis roulant che va sempre più veloce”, dice
West. “Un tempo le grandi rivoluzioni si
veriicavano a distanza di migliaia di anni.
Ma è bastato un secolo per passare dalla
macchina a vapore al motore a combustione
interna. Ora c’è una grande innovazione
ogni quindici anni. Per la prima volta nella
storia una persona può vivere più di una rivoluzione.
E tutto questo lo dobbiamo alle
città. Quando abbiamo cominciato a inurbarci,
siamo saliti su quel tapis roulant. Abbiamo
rinunciato alla stabilità per avere la
crescita. E la crescita richiede continui
cambiamenti”.
Ascoltando le parole di West sulle città è
facile dimenticare che le sue afermazioni
categoriche nascono da pure e semplici correlazioni
matematiche e che i suoi dati statistici
lasciano solo intravedere una spiegazione.
Bettencourt e West ammettono che
le equazioni sono imperfette, ma sono sicuri
che il loro lavoro sia comunque un primo
passo. “Le leggi sul moto dei pianeti scoperte
da Keplero non erano perfette”, dice
West. “Ma costituirono la base per quelle di
Newton”.
West è convinto che la sua teoria di base,
quella delle equazioni superlineari e sublineari,
resterà comunque valida. Anzi, è così
soddisfatto della sua ricerca sulle città che
di recente lui e Bettencourt hanno cominciato
a prendere in esame un altro soggetto:
le grandi aziende. A prima vista, le città e le
aziende si somigliano molto. Sono entrambe
grandi agglomerati di persone che interagiscono
tra di loro in uno spazio isico ben
deinito. Dispongono di infrastrutture e capitale
umano: il sindaco è una specie di amministratore
delegato della città.
Ma diferiscono almeno per un aspetto
fondamentale: le città non muoiono quasi
mai, mentre le aziende sono estremamente
effimere. Dopo aver consultato i dati di
23mila società quotate in borsa, i due studiosi
hanno scoperto che la produttività
aziendale, diversamente da quella urbana,
è totalmente sublineare. Se il numero dei
dipendenti aumenta, la quota di proitti pro
capite diminuisce.
Secondo West, la precarietà delle aziende
aiuta a capire qual è la vera forza delle
metropoli. A diferenza delle imprese, che
sono governate dall’alto da un gruppo di
persone ben pagate, le città sono luoghi indisciplinati,
che sfuggono ai desideri dei
politici e degli amministratori. “Le città sono
ingestibili ed è proprio questo che le rende
così vive”, dice West. “Sono solo una
massa confusa di persone, che vanno a
sbattere le une contro le altre e al massimo
hanno in comune un paio di idee. È la loro
estrema libertà che le mantiene vive”. u bt
L’AUTORE
Jonah Lehrer è uno scrittore e giornalista
statunitense che si occupa di psicologia e
neuroscienze. In Italia ha pubblicato Come
decidiamo (Codice 2009).
Fonte: Internazionale