Il ritorno al nucleare in Italia è impossibile. Stiamo solo sprecando tempo e soldi nel cullare l’illusione, utile per qualche messaggio propagandistico ma non certo per avere una politica energetica seria e sostenibile, di aprire nuove centrali dopo averle chiuse (almeno sulla carta, in quanto non tutte sono state smantellate e anche in questo caso si continuano a sprecare soldi…) già da qualche decennio. E dopo due referendum, avvenuti quando si facevano sul serio e gli elettori partecipavano, con i quali i cittadini, a stragrande maggioranza, hanno bocciato definitivamente l’opzione nucleare. Mentre adesso, sotto le mentite spoglie di una falsa sostenibilità (il nucleare è considerato una fonte energetica pulita) si vorrebbe far rientrare dalla finestra dopo essere uscita dalla porta.
Il nucleare il Italia non si farà mai non per un banale pregiudizio ideologico e di principio. Ma per fatti molto precisi: è inutile rispetto alle nostre priorità, e non abbiamo i tempi, i siti, chi ci mette i soldi e le competenze professionali per fare e gestire nuove centrali. In una parola, non abbiamo nulla di ciò che serve per riaprire il capitolo delle centrali nucleari.
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Il nucleare non serve per le nostre principali esigenze
Le priorità energetiche per l’Italia sono due: affrontare di petto, ora e subito, il problema del caro bollette, per le famiglie e per le imprese, e proseguire sulla strada (dove siamo già a buon punto) delle energie da fonti rinnovabili che servono sia per contenere la crisi climatica sia per non essere dipendenti dall’estero in campo energetico, come siamo oggi per il petrolio e il gas. Il ritorno al nucleare, ammesso pure che ci sia una tecnologia sicura ed efficiente, cose sulle quali gli esperti sono decisamente divisi, ha tempi incompatibili rispetto all’obiettivo del caro bollette e della riduzione della povertà energetica, mentre se continuiamo a investire bene sulle rinnovabili, senza sprecare soldi, spingendo sulla crescita delle comunità energetiche potremmo riuscire in tempi brevi a fare un passo avanti decisivo per l’ambiente e per non stare con il portafoglio aperto a pagare il conto esorbitante delle nostre forniture da paesi abituati a prenderci per il collo.
I tempi per il nucleare sono troppo lunghi
L’ultima centrale nucleare attiva in Italia è stata quella di Trino Vercellese, in Piemonte, e si è chiusa il 1° luglio 1990. Un quarto di secolo fa. Nel frattempo il mondo, anche in campo energetico, è cambiato a una velocità impressionante, e nazioni con una straordinaria forza da sistema-Paese, come la Germania, hanno deciso e attuato la definitiva uscita dal nucleare. Chi ha continuato a scommettere sul nucleare, come la Francia, è andato a sbattere contro il muro dei tempi e dei costi per fare nuove centrali o ammodernare le vecchie.
La centrale di Flamanville 3, in Normandia, doveva essere il gioiello del nucleare di nuova generazione, sicuro ed efficiente, con il marchio francese. I fatti sono questi: la sua tecnologia ha dato risultati deludenti ed è già superata; i lavori sono stati avviati nel 2007 e dovevano durare cinque anni, sono finiti nel 2004, con 12 anni di ritardo; i costi sono schizzati da 3 a 13 miliardi di euro, che diventano 19 miliardi di euro se si considerano anche gli oneri finanziari. Un disastro e uno spreco enorme per le casse dello Stato francese. Situazioni analoghe si sono verificate ovunque, con le nuove centrali programmate, per esempio, in Finlandia, nel Regno Unito e persino in Cina. Il film è sempre lo stesso: costi esplosi, tempi di realizzazione moltiplicati, grande delusione per i risultati ottenuti o previsti.
I soldi per il nucleare non ci sono
Costruire una centrale nucleare, anche piccola e di nuova generazione, è una spesa da miliardi di euro. Sicuramente nelle casse dello Stato italiano, anche spalmando i costi nel lungo periodo, non ci sono queste risorse e quando si parla dei finanziamenti privati, si rischia di scivolare nella palude delle bugie ipocrite. Qualcuno può onestamente dire che in Italia ci sono investitori privati pronti a mettere sul tavolo decine di miliardi di euro per finanziare il ritorno al nucleare? Se poi ci riferiamo a aziende sistemiche, come possono essere Enel, Eni e Finmeccanica, comunque parliamo di gruppi dove la presenza dello Stato resta rilevante e determinante, e questo significa che eventuali finanziamenti per il nucleare da parte di queste società avrebbero di fatto una garanzia pubblica, e non certo privata.
Il rischio idrogeologico e sismico
Lungo l’intera penisola si concentrano, in tutte le regioni, vaste aree che presentano due pericoli incompatibili con la costruzione di centrali nucleari: il rischio idrogeologico (circa il 20 per cento del territorio nazionale, secondo i calcoli dell’Ispra) e quello sismico (44 per cento del territorio nazionale secondo le analisi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e di Vulcanologia). Basta prendere le due cartine che segnalano tutti i punti dove si presentano questi rischi, sovrapporle e diventa evidente come in Italia sia quasi impossibile scegliere un territorio idoneo alla costruzione di una nuova centrale nucleare.
Se vuoi sapere quali sono le migliori fonti energetiche per il futuro dell’Italia e per abbassare il costo delle bollette leggi qui.
L’uranio che non abbiamo
Il nucleare ha bisogno dell’uranio, che in Italia non abbiamo e non avremo mai: senza questa fondamentale materia prima, le centrali non possono funzionare. Questo significa che installando nuovi reattori si verrebbe a creare un’ennesima dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti energetici, come quella che già abbiamo in materia di gas e petrolio. Per inciso, la prima nazione al mondo per la produzione di uranio è il Kazakhistan, che non è proprio una culla della democrazia.
La manodopera specializzata per il nucleare che non abbiamo
Una centrale nucleare e l’intera filiera collegata a questa fonte energetica richiedono l’utilizzo di manodopera specializzata, dagli ingegneri ai saldatori, che non sono gli stessi che lavorano nell’edilizia o per riparare una persiana in casa. Queste competenze ormai in Italia, dove sono trascorsi decenni dall’uscita dal nucleare, non le abbiamo e non si trovano sul mercato del lavoro con un semplice schioccare delle dita. Uno degli elementi che ha spinto la Germania, paese molto più solido dell’Italia in quanto a formazione di manodopera qualificata, ad abbandonare il nucleare è stato rappresentato proprio dall’eclissi nel Paese del personale specializzato indispensabile per il buon funzionamento di una centrale.
Perché gli Stati Uniti non investono sul nucleare
Gli Stati Uniti hanno raggiunto una totale autonomia energetica e sono diventati persino grandi esportatori di petrolio grazie alla tecnica del fracking, una delle più discutibili dal punto di vista dell’impatto ambientali, per i danni che genera. Gli americani hanno tutto per inserire anche il nucleare tra le loro fonti energetiche: tecnologia, mezzi economici, determinazione politica, siti adeguati per gli eventuali, nuovi impianti, nessuna opposizione di principio da parte delle associazioni ambientaliste (che comunque non sono riuscite a fermare il fracking). Eppure in America non sono in costruzione nuovi reattori, né piccoli né grandi. Per quale motivo? Per valutazioni economiche, che negli Stati Uniti sono sempre quelle che contano di più: il nucleare non ha mai mantenuto la promessa di produrre energia a basso costo, e in campo energetico ci sono diverse opzioni più economiche e più facili da realizzare, senza le controindicazioni che derivano dalla costruzione di un reattore.
La ricerca legata al nucleare
Il fatto che in Italia il nucleare non si farà mai, non significa essere contrari per principio a questa possibilità di rifornimenti energetici. Ma semplicemente essere realisti, seri e sintonizzati con i reali interessi del Paese, e non con gli improbabili umori dei sondaggi. Adesso dicono che le nuove generazioni sarebbero in maggioranza favorevoli alla costruzione di nuove centrali e quindi possiamo stracciare la volontà popolare certificata da due referendum sul nucleare che hanno portato, di fatto, all’uscita dell’Italia da questo settore. Ma quale valore possono avere sondaggi di questo genere? A cosa servono se non ad alimentare propaganda, aspettative e consensi (virtuali)? Piuttosto, l’Italia può e deve essere presente, con gli alleati europei, nella ricerca sulla fusione nucleare e anche sull’ipotetica fissione. Ma non per questo ci dobbiamo mettere ad annunciare impossibili cantieri per centrali nucleari da aprire tra un quarto di secolo!
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