INQUINAMENTO SHALE OIL E SHALE GAS –
Lo shale oil e lo shale gas sono stati i pilastri della politica energetica di Barack Obama, per rendere indipendente l’America in quanto a forniture di petrolio e per ridurre l’inquinamento. L’estrazione di petrolio e gas attraverso il fracking, ovvero una sorta di bombardamento del suolo con l’acqua in profondità, veniva considerata una tecnica green, perfino dagli ambientalisti. L’unica obiezione riguardava le scosse, e i danni, al sottosuolo.
In pratica: secondo questa teoria un impianto che brucia gas naturale, grazie all’estrazione attraverso il fracking, rilascia la metà di anidride carbonica prodotta da un impianto che brucia carbone. E in questo modo shale oil e shale gas, oltre che ridurre le importazioni e creare nuovi posti di lavoro, sembravano una benedizione per l’ambiente.
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LE EMISSIONI DI METANO –
Adesso invece si scopre che i calcoli sull’inquinamento erano completamente sbagliati. Per il semplice motivo che non tenevano conto delle emissioni di metano. Nello scorso mese di marzo alcuni ricercatori di Harvard, infatti, hanno pubblicato un rapporto in base al quale le emissioni di metano negli Stati Uniti tra il 2002 e il 2014, quando intanto è esploso il fracking, sono aumentate del 30 per cento. E una parte consistente di questa crescita è dovuta proprio alle fughe di gas metano dagli impianti per l’estrazione di shale gas e shale oil.
A questo punto, anche in America si attende, specie se verrà confermata un’amministrazione democratica, una nuova virata nella politica energetica. Non più dal carbone al petrolio, ma direttamente verso le energie rinnovabili, declinate a 360 gradi, dalle biomasse all’idroelettrico, dal fotovoltaico all’eolico.