Brunello Cucinelli è un imprenditore umanista, un profeta di quello che lui stesso definisce “il capitalismo sostenibile”. Spesso parla più da filosofo e da profeta che da uomo d’affari, e c’è grande autocompiacimento nel declinare, di solito con qualche giornalista adorante pronto a raccogliere briciole di saggezza della Lezione su Vita & Dintorni tenuta da Cucinelli, le sue origini contadine, un classico del made in Italy in questa caso made in Umbria, il suo successo dovuto a indiscusse doti creative (il self marketing fa parte di questa “cassetta degli attrezzi del moderno “uomo venuto dal nulla e diventato grande con le sue mani”). Ma innanzitutto la sua visione dell’impresa, incentrata su un’idea a tutto tondo della sostenibilità. Vera? Falsa? A ciascuno che ascolta, l’ardua sentenza.
Invece non ci sono dubbi sul tentativo che Cucinelli sta facendo, in parte probabilmente riuscito, di essere un industriale-artigiano del lusso, quello vero, non quello truccato di tanti suoi colleghi che appiccicano questa parola ai loro capi solo per spennare i clienti ammaliati da una griffe da esporre ben evidenza come se fosse uno scalpo.
Cucinelli firma i pulloverini di cachemire che se hanno le coste a righe, come le classiche magliette da tennis anni Sessanta, costano circa 3mila euro. E adesso ha tirato fuori il suo ultimo gioiello, chissà forse disegnato durante un seminario sulla filosofia del Capitalismo sostenibile: un paio di occhiali che si portano a casa pagando uno scontrino di 5mila euro, definiti, sui giornali dove circola in abbondanza la pubblicità a pagamento del brand Cucinelli, “un sfizio prezioso”. Concetto che, tradotto, significa: comprateli, se volete entrare nel club esclusivo di chi indossa oggetti da vero lusso, ovvero il capriccio pagato a peso d’oro, anzi platino.
Che cosa hanno di speciale questi occhiali per costare nientemeno che 5 mila euro, diciamo, occhio e croce, tre stipendi di quei dipendenti che Cucinelli considera il suo patrimonio umano di imprenditore umanista? Nulla, o tutto, è una questione di punti di vista. In termini di materiali un paio di Goldcraft 1978, questo il nome dell’ultimo “sfizio prezioso” del catalogo Cucinelli, sono fatti in titanio e oro 18 carati. Magari ci sarà anche qualche materia prima da tecnologia green, ovvero sostenibile. E soltanto i signori di Luxottica, quelli dell’azienda che materialmente realizza gli occhiali poi firmati da Cucinelli, altri ricchi imprenditori “venuti dal nulla” (il fondatore, Leonardo Del Vecchio, era un geniale e grande lavoratore, cresciuto in un orfanatrofio di Martinitt), sanno che cosa altro c’è all’interno di questi occhiali per arrivare a un prezzo così stratosferico. O se alla fine, gratta gratta, a parte l’indiscussa qualità ci sia anche una buona dose di avidità, tipica del settore del lusso in versione prezzo gonfiati solo grazie al nome di un brand. E sanno bene quali sono i margini di guadagno, che noi possiamo solo immaginare di un paio di occhiali presentati anche con la presunta qualità di “essere fatti a mano, in Giappone”, e non sappiamo per quale motivo non in Italia.
Chiariamo subito: chi se lo può permettere e ha voglia di sprecare 5 mila euro per l’acquisto di un paio di occhiali, è padronissimo di farlo. I soldi sono suoi e può farne l’uso che vuole, anche quello di cedere alle lusinghe dei titolisti filo-Cucinelli e tornare a casa con il Goldcraft 1978, convinto, beato lui, di avere acquistato “uno sfizio prezioso”. Dal nostro punto di vista restano soldi sprecati e una spesa comunque esagerata, piuttosto priva di senso, alla pari degli acquisti compulsivi, come spesso accade con gli oggetti che arrivano nelle vetrine con un valore enorme, a prescindere da tutto, materiali, funzione, uso, e solo in virtù di sofisticate ma anche piuttosto sfacciate, operazioni di marketing e di self-marketing.
Nell’immagine di copertina gli occhiali Goldcraft 1978 (Fonte: shop.brunellocucinelli.com)
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