Coronavirus, adesso sappiamo i farmaci che funzionano. La terapia giusta per ciascuna delle tre fasi del virus

Fase 1: L’importanza della clorochina. Fase 2: antivirali e antinfiammatori. Fase 3: eparina e plasma. Tutti gli effetti collaterali delle terapie

farmaci che funzionano contro il coronavirus

I passi avanti ci sono, e anche molto significativi. Contro il Covid-19 ci sono terapie sempre più efficaci, che consentono di garantire buoni risultati, senza ulteriori sprechi in termini di rischi per effetti collaterali, e finalmente esistono protocolli molto diffusi. Insomma: per la terapia non si naviga più in ordine sparso, senza bussole, le statistiche iniziano ad essere importanti sia per i volumi delle persone coinvolte sia per il fatto che si orientato su prodotti sempre più specifici.

FARMACI CHE FUNZIONANO CONTRO IL CORONAVIRUS

I farmaci della speranza, e della terapia giusta, vanno calibrati sulla base della tempistica dell’infezione, caratterizzata da tre fasi, per ognuna delle quali ormai esistono medicinali efficaci. Vediamo i tre gradini in ordine cronologico.

COVID-19: QUALI FARMACI UTILIZZARE

La prima fase e la clorochina. Durante la prima fase, quando ci sono sintomi aspecifici (a partire dalla febbre che non passa e da una tosse secca), le terapie più indicate sono quelle a base di paracetamolo e innanzitutto idrossiclorochina, i classici antivirali. In particolare la clorochina, della quale abbiamo parlato nei dettagli in questo articolo, è un farmaco molto usato in campo reumatologico, anche per periodi prolungati, con una funzione antivirale e antinfiammatoria.

In Italia, anche su indicazione dell’Agenzia italiana del farmaco, la idrossoclorochina è sempre più utilizzata off label (è il caso di un farmaco prescritto in condizioni diverse rispetto a quelle per le quali è stato autorizzato). I risultati sono buoni, e le regioni si contendono il primato dell’uso: dal Piemonte all’Emilia Romagna, dalle Marche alla Puglia. Tutto ciò ha confermato un’ipotesi sulla quale i medici più esperti di questo medicinale già avevano espresso la loro opinione: la clorochina è un medicinale da fase 1, e nel caso del coronavirus prima si prende è più possibilità ci sono che abbia efficacia. Al contrario, se viene assunta troppo tardi i risultati sono nulli e restano in campo solo i rischi legati agli effetti collaterali. Quali? Due in particolare: aritmie ventricolari ed eventi cardiovascolari. Due buoni motivi per evitare la somministrazione di questi farmaci a pazienti con problemi cardiovascolari.

CORONAVIRUS: LA TERAPIA ANTIVIRALE

La seconda fase e gli antivirali. Il secondo stadio del Covid-19 è quello dell’infiammazione polmonare, con problemi respiratori di vario livello. Qui diventano preziosi gli antivirali (il più diffuso è il Remdevisir), abbinati a farmaci con azione antinfiammatoria e immunomodulante. Le opzioni sono diverse, e vengono impiegati anche cocktail di farmaci di questo genere con l’obiettivo di ridurre la quantità di virus presente nelle secrezioni respiratorie.  I medicinali più usati sono a base di Ritonavir e Lopinavir: bloccano la replicazione del virus nelle cellule e contengono le molecole messe a punto negli ultimi vent’anni contro l’infezione di Hiv, l’Aids. I primi a utilizzare prodotti a base di queste sostanze sono stati proprio i cinesi.

Un altro farmaco che ha risposto bene come antinfiammatorio è il Tocilizumab, generalmente utilizzato per contrastare l’artrite e l’artrite reumatoide. In Italia è partita un’ampia sperimentazione su questo medicinale, guidata dal professore Francesco Perrone, oncologo dell’Istituto Pascale di Napoli. È stato lui il primo a sottolineare le potenzialità di questo farmaco utilizzato in un istituto oncologico per bloccare alcuni effetti collaterali delle terapie.

PER SAPERNE DI PIÙ: Coronavirus, i farmaci efficaci si stanno cercando in Italia

COSA SAPERE SULLA TERAPIA AL PLASMA

La terza fase, la plasmaterapia e l’eparina. In questo stadio molto grave della malattia il virus entra in circolo, vengono danneggiati i vasi sanguigni e possono formarsi, cosa che avviene con frequenza, piccoli trombi. Anche mortali. A quel punto la causa della morte non è la polmonite acuta, che comunque ha bisogno di giorni per svilupparsi, ma una tromboembolia che porta al decesso anche in poche ore.

Partendo da questa differenza, in Italia il professore Salvatore Spagnolo, di origine calabrese (è nato a Simeri Crichi, in provincia di Catanzaro) ha cercato in tutti i modi di convincere la comunità scientifica a utilizzare l’eparina, un farmaco anticoagulante, durante la fase più delicata del Covid-19. Non è stato ascoltato fino a quando i suoi studi sono stati pubblicati in America, e adesso in diverse regioni si raccomanda l’eparina non come medicinale terapeutico, ma come farmaco protettivo, specie nella fase più critica della cura. In pratica: grazie all’eparina, medicinale che non ha bisogno di test e già molto usato tra l’altro a basso prezzo, almeno non si muore.

(Nel video, l’intervista rilasciata dal cardiochirurgo Salvatore Spagnolo a Video Calabria)

Infine, nella fase 3, e qui torniamo nel perimetro di una vera e propria terapia contro l’infezione, si sta facendo strada l’uso del plasma. Le due postazioni più avanzate sono il San Matteo di Pavia e il Carlo Poma a Mantova, ma ormai, sebbene tra mille polemiche, il plasma è utilizzato in diversi ospedali italiani. Funziona così: dal plasma dei guariti vengono estratti anticorpi poi infusi nuovamente nel sangue di altri pazienti ancora in cura. L’uso del plasma per questo tipo di malattie non è una novità. Esiste da almeno mezzo secolo ed è stato utile, per esempio, durante la Sars e l’epidemia di Ebola.

I test in corso sono considerati confortanti, ma gli esperti continuano ad essere prudenti. E per motivi molto chiari. L’utilizzo del plasma su larga scala ha tre precisi limiti. Primo: la carenza dei donatori. Un paziente guarito ne può aiutare al massimo due ancora infetti. Secondo limite: attraverso il plasma si possono trasmettere diverse malattie infettive. Al punto che in Gran Bretagna gli omosessuali sono esclusi dalle categorie dei potenziali donatori. Terzo: servono molte e costose macchine capaci di svolgere un’attività di «separazione cellulare», per estrarre gli anticorpi dal sangue.  E di queste macchine in Italia ne abbiamo davvero poche. La maggioranza dei medici, al momento, suggerisce l’uso del plasma solo come extrema ratio, mentre proseguono le varie sperimentazioni. D’altra parte c’è da dire che negli Stati Uniti si punta molto sul plasma, tanto che l’ente americano per la regolamentazione del farmaco ha avviato una campagna per la donazione di plasma. In funzione anti Covid-19.

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