L’ospitalità è un piacere prima di un dovere

Per i greci era sacra. Per i romani significava accogliere altre culture. E oggi l'abbiamo ridotta a una questione di etichetta

ospitalità

OSPITALITÀ

Quando parliamo di ospitalità il primo pensiero va al cibo. Come se fosse un sinonimo di convivialità: in fondo il cibo, in qualsiasi cultura e in qualsiasi latitudine geografica, ha un altro sapore se lo consumiamo in compagnia, se lo condividiamo con la magia creata dall’ospitalità. Quanto sono tristi le persone sole al ristorante, e quanto sono allegre quelle tavolate dove tra un piatto e l’altro volano batture, sorrisi, risate, e qualche scherzo!

IL VALORE DELL’OSPITALITÀ

In realtà la declinazione dell’ospitalità va ben oltre il cibo. Si associa alla generosità, alla voglia e al piacere di condividere il proprio benessere con gli altri, alla capacità di avere relazioni che prescindono dal diverso grado di ricchezza. L’ospitalità, infatti, anche se solo temporaneamente, taglia qualsiasi distanza tra le persone. E diventa un valore, associato a diritti e doveri. Il diritto, per esempio, di essere accolto quando si è costretti a fuggire dalla propria terra per una guerra, una carestia, un’emergenza climatica. Ma anche il dovere di rispettare regole e stili di vita del paese che ti accoglie, senza rinunciare mai alla contaminazione delle culture ma non dando per scontato che la propria abbia una supremazia legata al fatto che chi ci ospita deve accoglierci al meglio. Attorno a questo binomio diritti-doveri dell’ospitalità si gioca buona parte della complessa partita dell’immigrazione, ma il principio vale anche per la più banale dell’ospitalità: quella del padrone di casa che riceve a casa i suoi ospiti. Il primo ha il dovere di trattarli al meglio, di metterli tutti a loro agio, di farli sentire a casa propria. Senza eccessive formalità. Ma ha  anche il diritto che si rispettino alcune sue consuetudini: se, per esempio, a casa sua si cena alle otto di sera, gli ospiti non potranno arrivare alle nove, anche se questa è la loro abitudine.

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L’OSPITALITÀ NELL’ANTICA GRECIA

Il valore dell’ospitalità è riconosciuto da tempi antichissimi e per i greci la xenia (che traduce in greco antico la parola moderna ospitalità) aveva un significato sacro, incardinato in uno schema reciproco, tra ospitante e ospite, di diritti e doveri. L’ospite veniva coccolato, accudito con un bagno profumato e riposava nella migliore camera della casa. Quando andava via, gli veniva consegnato un regalo per ricordare l’incontro. Ogni ospite, povero o ricco che fosse, veniva trattato con lo stesso rispetto, e considerato una persona protetta dalla divinità: se fosse stato trattato male, o con poco riguardo, gli dei si sarebbero vendicati contro la famiglia poco attenta. L’ospitalità è una chiave di lettura dell’Odissea: Ulisse è accolto con molta cortesia e generosità dai feaci, un popolo protetto dagli dei, mentre con Polifemo tocca con mano che cosa significa vivere fuori dalle regole e dagli stili della civile convivenza.

L’OSPITALITÀ NELL’ANTICA ROMA

Nell’antica Roma l’ospitalità fa un salto di qualità e diventa una contaminazione di culture, oltre che uno stile di vita per mettere in relazione l’establishment con i cittadini. Nasce così l’hospitum publicum, ovvero una sorta di regolazione del diritto all’ospitalità. Specie per i personaggi più influenti, consoli, magistrati, ambasciatori, che venivano accolti e protetti con tutti gli onori dalle famiglie romane. Avevano un solo vero dovere: presentarsi sempre con un documento di identificazione, per evitare il rischio di qualche sorpresa sgradevole. È interessante ricordare che negli antica Roma i cittadini e gli stranieri godevano degli stessi diritti e degli stessi doveri. Ma l’immigrazione clandestina non esisteva. L’ospitato poteva soggiornare in città solo se in possesso di una tessera hospitalis che indicava con il suo nome anche quello dell’ospitante. Con la relativa reciprocità di garanzie.

CHE COS’È IL VINCOLO DELL’OSPITALITÀ?

Il vincolo dell’ospitalità, come abbiamo visto, nasce sommando un contenuto religioso, sacro, con aspetti tipicamente giuridici, legati anche al fenomeno dell’immigrazione che ha sempre condizionato le relazioni tra i popoli. E oggi? L’ospitalità purtroppo ha perso il suo peso, della sua anima più autentica, e si è ridotta in molti casi a un gesto prolungato di semplice buona educazione. Non basta. Si sprecano così le opportunità dell’ospitalità: dovremmo tornare, specie in un momento in cui la nostra civiltà sente l’esigenza di riscoprire le relazioni del Noi, a un’interpretazione più ampia di questo valore e della sua declinazione. L’ospitalità è una terapia naturale contro l’indifferenza, il cinismo, la chiusura verso gli altri. Anche chi riesce solo a fare dei gesti concreti nei confronti di persone meno fortunate sta provando a dare un senso al concetto di ospitalità. Per farlo uscire dalla zona vuota di un atteggiamento da etichetta, da galateo. L’ospitalità significa riconoscere come essenziale il diritto-dovere di stare insieme. In una città, in un borgo, in un condominio. Ma anche in un paese. Tra persone e tra popoli.

ELOGIO DELL’OSPITALITÀ

Diversi libri hanno trattato il tema del valore dell’ospitalità e del suo riconoscimento. Tra i più interessanti vi segnalo Elogio dell’ospitalità (edizioni Il Saggiatore) della scrittrice anglo indiana Priya Basil, che riesce a raccontare con molta efficacia come la condivisione del cibo sia un modo per avere relazioni umane ispirate al principio della comunione di vita. Nel suo libro la Basil racconta anche di celebri banchetti, consumati all’insegna dei record in termini di ospitalità. E forse anche con qualche spreco. Il banchetto imperiale in onore di Manchu Han offerto da Kangxi, il quarto imperatore della dinastia Qing,  fu consumato con 108 portate per 2.500 ospiti. E nel 1817 il futuro Giorgio IV re d’Inghilterra accolse il granduca Nicola di Russia con un banchetto fatto da 127 portate, tutte realizzate da Marie-Antoione Careme, lo chef più famoso in quel momento. Sono racconti estremi, ma possono aiutarci a capire anche il valore simbolico dell’ospitalità e della sua teatralità scenografica.

OSPITALITÀ FRASI CELEBRI

<Ospitalità significa il diritto di uno straniero, che arriva in un territorio altrui, di non essere trattato in modo ostile> Immanuel Kant

Ai tempi di Kant l’immigrazione non aveva le caratteristiche e le proporzioni attuali. Ma un principio resta valido: a prescindere dalle valutazioni umanitarie, l’immigrato ha tutti i diritti, e i doveri, dell’ospite in terra altrui.

<Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della sua felicità durante le ore che passa sotto il vostro tetto>  Anthelme Brillant-Savarin

Quando abbiamo un ospite a tavola, non basta farlo mangiare bene. Bisogna saperlo coccolare, accudire, innanzitutto con una buona conversazione.

<Non c’è ospiti che non inizi a dare fastidio dopo tre giorni> Tito Maccio Plauto

Questa frase è l’antica e colta versione del motto popolare che dice: “L’ospite dopo tre giorni puzza”. In realtà, non serve stare con il calendario in mano, ma l’ospite deve avere una consapevolezza. Non abusare dell’ospitalità che riceve.

<L’ospite va ben trattato se resta; lasciato partire, se vuole> Omero  

Nel concetto di ospitalità rientra anche quello di libertà. L’ospite non deve sentirsi obbligato a restare, e se decide di farlo va semplicemente curato come il giorno del suo arrivo.                                                    

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