Sappiamo bene che abbiamo tutti bisogno di silenzio, in un mondo dominato dai rumori di ogni tipo. Vi siete accorti che ormai non esiste più un bar o un locale pubblico che non abbia musica in sottofondo, anche da rompere i timpani o disturbare le orecchie per la vacuità delle note e delle parole, a tutte le ore del giorno e della notte? Il silenzio è necessario, vitale, come abbiamo provato a raccontare in questo articolo. Ma c’è un silenzio distruttivo, doloroso, che in termini medici viene classificato come “tossico”, dal quale è il caso di provare a stare molto alla larga. Per non sprecare la qualità dei rapporti umani, per non diventare, di fatto, delle persone violente, quando lo pratichiamo, o ferite, quando invece lo subiamo.
Il silenzio “tossico” non va confuso con la bocca chiusa delle persone affette dalla depressione: in questo caso più che l’inutile compatimento, serve esercitarsi nell’empatia, nel tentativo di avvicinarsi in tutti i modi alle persone che esprimono la loro sofferenza proprio con il silenzio. E farlo anche stando in silenzio, purché si riesca a stabilire una forma di comunicazione, che talvolta, di fronte al male oscuro per eccellenza, è una banale ma potentissima carezza o anche solo uno sguardo che entra dentro l’altro, e lo abbraccia con convinzione.
La “tossicità” di cui parliamo qui è quella del coniuge, del partner, del genitore, dell’amico, del collega, del parente stretto o largo, che utilizzano il silenzio in chiave punitiva e manipolatoria. Lo fanno in buona fede o per un calcolo da esperti di giochi mentali? La risposta conta poco rispetto alla gravità (e ai danni prodotti) del silenzio tossico. Un marito, una moglie, un partner, un compagno, che utilizzano il silenzio per schiacciare l’altro, o l’altra, e imporre così la propria volontà, sono tutte persone da iscrivere di diritto al club dei violenti. Anche se non alzano un dito. Generano disagio, malessere, ansia, turbamento, e costringono chiunque stia vicino, a una vita sulla difensiva, con la costante preoccupazione di dare fastidio al partner. Una vita di coppia decisamente sprecata.
A cosa punta chi pratica, anche nella ristretta cerchia degli affetti più cari, la violenza del silenzio “tossico”? Semplicemente a manipolare, dominare e persino possedere il partner. Sicuramente vi sarete trovati di fronte, almeno una volta nella vita, a una coppia dove uno (di solito è lui) tace, con l’aria di chi ha capito tutto e sta dominando la situazione, e l’altro (di solito è lei) tace a sua volta, ma solo per non disturbare il boss di casa. In questo caso, ai poveri malcapitati e temporanei spettatori, viene solo voglia di dire: “Signori grazie, ma abbiamo un fortissimo mal di testa e preferiamo tornare a casa…”.
La stessa violenza esercitata attraverso l’uso e l’abuso del silenzio “tossico” si manifesta quando il superiore vuole schiacciare chi viene dopo di lui nella scala gerarchica, magari solo perché non gli è simpatico, oppure prova invidia per la sua vita privata piena e serena, mentre la sua è solo quella vuota di un capo represso. Il silenzio “tossico” è la classica arma nucleare di chi si considera un maestro di stalkeraggio, una delle forme di violenza più diffusa negli ambienti di lavoro, specie all’interno dei complicati universi aziendali.
Nelle diverse fattispecie del silenzio “tossico” rientra anche la bocca tappata dall’indifferenza. Tutto ciò che avviene attorno a noi, sotto i nostri occhi, ci riguarda poco, se non tocca, in qualche modo, la sfera dei nostri, spesso miseri, interessi. E allora meglio tacere, chiudere gli occhi con il silenzio tombale della noncuranza, e arroccarsi a protezione del proprio inguaribile narcisismo. Che dire? Persone, e non sono poche, che appartengono a questa categoria di portatori sani del silenzio “tossico”, potremmo farle rientrare nell’album fotografico degli sventurati. Condannati all’infelicità, e alla solitudine, di chi ha come compagno di vita soltanto il proprio, fragilissimo Io. E spreca il valore del Tu e del Noi.
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Foto copertina di Kampus Production via Pexels
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