Ci sono persone che hanno un senso dell’umorismo innato. Lo esercitano con leggerezza, senza preoccuparsi troppo di essere divertenti e riuscendo anche ad ascoltare, prima di parlare. Avevo uno zio straordinario, che tutti chiamavano con affetto Sandrino, capace di contaminare chiunque con il suo buonumore. Fece diversi guai amministrando alcune proprietà di famiglia, ma il nonno non gli presentò mai il conto. Anzi. Lo considerò per tutta la vita il suo figlio preferito, e aveva ragione: con il suo senso dell’umorismo Sandrino aveva migliorato il benessere di tutta la famiglia. E quando morì, la moglie e i figli lo ricordarono con un’immaginetta che riprendeva una bella frase di San Tommaso Moro: «Dammi, Signore, un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama Io».
Che cos’è il senso dell’umorismo? Potremmo definirlo un sinonimo di leggerezza calviniana, che non ha nulla a che spartire con la superficialità. Un modo di vivere da rondini: planando dall’alto sulle cose e afferrandole dal verso giusto. Per avere senso dell’umorismo non bisogna essere troppo austeri, non prendersi troppo sul serio, non essere prigionieri delle proprie certezze (è stato dimostrato, per esempio, che le persone meno spiritose sono fondamentaliste in campo religioso, politico o militare). Sommando questi connotati, è facile concludere che il senso dell’umorismo è uno straordinario antidoto contro il narcisismo, aiuta a sgonfiare il proprio Io, come aveva ben capito San Tommaso Moro.
Un altro sinonimo del senso dell’umorismo è l’ironia. Ma come si fa a essere ironici? Diciamo subito che, a parte le eccezioni alle quali accennavo all’inizio, non si nasce ironici. Ma facilmente si può diventare. È importante ridere, innanzitutto di se stessi, non stare sempre a criticare gli altri, avere uno sguardo positivo della vita e guardare più alle qualità delle persone che non ai loro difetti. Il senso dell’umorismo, molto contagioso, aiuta ad affrontare i momenti più difficili della vita, a sdrammatizzare le situazioni, ad apprezzare cose e situazioni divertenti, a cogliere gli aspetti buffi di qualsiasi contesto.
Un momento ideale per sviluppare il senso dell’umorismo e difendersi attraverso il suo uso, è proprio nei momenti più drammatici. La vita contiene tante tristezze, tante tragedie, e la morte ne è una componente integrante. Che fare? Come avere senso dell’umorismo anche in situazioni del genere? Prendete il caso della pandemia. Un momento, molto lungo, drammatico per tutti: l’umorismo ci consente di abbassare la concentrazione sul dolore, sulla paura, e di spostarla verso una parte creativa che magari era paralizzata dagli stress quotidiani, quelli che il senso dell’umorismo tendono a evaporare. Quest’uso così fecondo del senso dell’umorismo non è una novità. Lo scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio portò a termine il Decamerone, con cento racconti comici narrati da dieci amici, mentre in Europa imperversava la peste che uccise quasi un terzo della popolazione.
Se non si nasce con il senso dell’umorismo, qualcosa possiamo fare per avvicinarci alla sua dimensione fin da piccoli. Gli strumenti sono tre, partendo dal presupposto che i bambini tendono sempre a emulare i grandi. Se quindi siete musoni, chiusi, poco espansi, avari di battute, purtroppo avrete creato le premesse per avere figli simili, e forniti di scarsissimo senso dell’umorismo. Al contrario, per avere umorismo fin da piccoli conta lo sviluppo del vocabolario e l’uso di un’ampia proprietà di linguaggio. Poi l’immaginazione, la capacità di sorprende e sorprendersi: un ottimo viatico lungo la strada che porta allo sviluppo del senso dell’umorismo. E infine, sapersi mettere nei panni degli altri, capire « se sta facendo finta»: scherzi e battute aiutano. In conclusione: il senso dell’umorismo si può conquistare, serve solo allenarsi il prima possibile.
Le ricerche scientifiche che dimostrano i modo inequivocabile i benefici, in termini di salute, dell’umorismo, sono tantissime. E si sommano a quelle relative alle proprietà terapeutiche della risata, diventata uno strumento di cura in tanti ospedali dove sono ricoverati pazienti con casi gravi, innanzitutto bambini. La ricerca più completa e aggiornata sui benefici dell’umorismo è stata pubblicata nel 2010 sul Journal of aging research, con i risultati di una «terapia umoristica» somministrata a un gruppo di pazienti anziani per otto settimane consecutive. Un gruppo, sempre di anziani e con lo stesso numero di persone, non ha ricevuto la «terapia umoristica» e si è confrontato con gli altri. Alla fine dell’esperimento, le persone del primo gruppo dicevano, nel 42 per cento dei casi, di sentirsi più felici rispetto al momento nel quale avevano iniziato la «terapia umoristica». Ed erano per il 35 per cento più felici del secondo gruppo, avendo avvertito una diminuzione della sensazione di dolore e solitudine.
Se vi siete convinti che l’ironia semplifica e migliora la vostra qualità della vita, allora una volta che l’avete conquistata, coltivatela. Come una pianta. Anche qui: non state sempre a cercare il consenso degli altri, affrontate il dissenso con mente aperta, non pensate che la vita sia un contino regolamento di conti e abbassate la velocità dei vostri ritmi, non state sempre alla ricerca di uno spazio per essere il centro dell’attenzione. In questo caso, diventate fastidiosi, anche se le vostre battute sono efficaci. Non confondete l’ironia con il sarcasmo, che sconfina spesso nel cinismo, ed evitate di fare umorismo su cose rispetto alle quale non esistono scherzi o battute accettabili. Un esempio? La tragedia della Shoah per qualsiasi ebreo, ma non solo per loro, non potrà mai essere la fonte di una battuta umoristica.
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