L’Indonesia è il primo paese che si sfila dai fragilissimi e ipocriti accordi presi al G20 a Roma durante il vertice di fine ottobre 2021. Ricordate? Oltre cento nazioni, attraverso l’impegno dei loro leader, hanno preso l’impegno, non vincolante e dunque scritto sulla sabbia, di mettere fine alla deforestazione entro il 2030. Aggiungendo, allo stesso tempo, un parolaio e vuoto impegno a «favorire nelle stesse aree lo sviluppo sostenibile e una trasformazione rurale inclusiva». Una frase che vale come l’aria fritta, parole sprecate.
PAESI CHE DISTRUGGONO PIÚ FORESTE AL MONDO
Neanche il tempo di salutarsi e i vertici del governo indonesiano hanno già comunicato a tutto il mondo che per loro l’accordo per fermare la deforestazione, stipulato a Roma, è solo carta straccia. Con un semplice messaggino via twitter, la ministra dell’Ambiente indonesiana, Siti Nurbaya Bakar, ha commentato che l’impegno con il G20 «non può andare a scapito dello sviluppo economico dell’Indonesia». Che cosa significa questa presa di posizione? Semplice: che il governo di Jakarta, pronto a firmare un’intesa a Roma per la fine della deforestazione entro il 2030, è lo stesso che invece ha approvato un piano economico nel quale è previsto l’abbattimento di 55 milioni di ettari di foresta entro il 2040. Le foreste devono venire giù per la costruzione di strade, per la produzione di prodotti alimentari, e innanzitutto per fare spazio alle piantagioni di olio di palma.
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DEFORESTAZIONE IN INDONESIA
La marcia indietro dell’Indonesia non è un episodio marginale nel mare magnum degli impegni mai mantenuti sulla sostenibilità e per affrontare l’emergenza climatica. Il paese, infatti, ha due record che contano molto in questa partita. Innanzitutto ha la più grande porzione di foresta tropicale al mondo, dopo il Brasile e la Repubblica democratica del Congo: parlare di deforestazione senza che sia una prassi concreta in questi territori, non ha molto senso. È come prendere un accordo per pulire i mari dalla plastica senza comprendere i paesi che affacciano sul Mediterraneo. In secondo luogo l’Indonesia compare nell’orribile classifica delle prime quattro nazioni al mondo dove negli ultimi anni la deforestazione è stata più intensa. La tv inglese BBC ha pubblicato l’elenco di questi paesi che coincidono con i luoghi al mondo dove ci sono più foreste, e quindi più polmoni di verde. Nell’ordine: Brasile, Indonesia, Congo e Bolivia. In vent’anni, tra il 2001 e il 2020 in Brasile sono spariti 26,2 milioni di ettari di foresta; in Indonesia 9,7 milioni di ettari; in Congo 5,3 milioni di ettari e in Bolivia 3 milioni di ettari. Nell’ultimo anno la deforestazione ha avuto una spaventosa accelerazione, con un incremento del 22 per cento, concentrato in buona parte in queste zone. Dove la povertà così diffusa rende facili i giochini dei governanti che chiedono di non essere disturbanti nei loro piani di sviluppo economico con improbabili obiettivi di bloccare il taglio degli alberi.
FORESTA PLUVIALE IN INDONESIA
La Foresta pluviale in Indonesia, entrata anche nel patrimonio dell’umanità sotto protezione dell’Unesco, rappresenta un universo naturale unico al mondo sia per la superficie sia per il rapporto tra la popolazione e le specie vegetali e animali che vi si trovano. La Foresta, nel suo complesso ha una popolazione che vale meno dell’1 per cento di quella del Pianeta, e si contano 7.468 villaggi sparsi al confine delle aree forestali. All’interno del territorio però ci sono il 10 per cento delle specie vegetali conosciute, il 12 per cento dei mammiferi e il 17 per cento degli uccelli. Non esiste al mondo una concentrazione così alta, rispetto al territorio e alla popolazione umana, di piante e animali, alcuni anche molto rari, come il canguro arboricolo che si nutre di foglie e passa gran parte del suo tempo sugli alberi.
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BANCHE CONTRO LE FORESTE
Mentre i grandi del mondo scrivono i loro impegni fasulli per fermare la deforestazione, e nei fatti i paesi con più alberi aumentano la distruzione di questo patrimonio ambientale, le leve del potere finanziario sono attivissime nel sostenere una sola cosa in questo settore: le attività delle società in prima linea nella distruzione degli alberi per fini commerciali. Il Financial Times , pubblicando i risultati di una ricerca realizzata dall’organizzazione umanitaria Global witness ha sottolineato che negli ultimi cinque anni, dopo l’accordo di Parigi sul clima (2015) cinque banche internazionali e alcuni fondi di gestione patrimoniale hanno aumentato di 120 miliardi di dollari il loro impegno finanziario a favore di venti gruppi globali del settore agroalimentare, tra i quali compare, per esempio, il gruppo brasiliano della carne Jbs, uno dei più criticati in Brasile proprio per la sua intensa attività a favore della deforestazione. Le banche danno soldi, con estrema generosità, a chi taglia alberi, e aumentano questi investimenti coprono i più importanti mercati del mondo. Si tratta, infatti, di Bank of America, Hsbc, J. P. Morgan Chase, Bnp Paribas e Industrial and Commercial Bank of China. Anche in Svizzera, dai vertici della ong Forest Trust si alza spesso la voce per denunciare banche svizzere di concedere prestiti a grandi aziende impegnate nelle attività di disboscamento e di nascondere, nei loro depositi, i tesoretti di politici corrotti dei paesi dove si sono tagliati più alberi in questi ultimi vent’anni. Soldi accumulati proprio grazie al torbido via libera ai disboscamenti.
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L’IMPORTANZA DEGLI ALBERI: