Lunghe attese, disagi, diagnosi errate: gli ospedali italiani visti dai lettori

PAZIENTI in fila per ore al pronto soccorso, degenti ammassati nei corridoi negli ospedali, medicine mancanti, strumenti che non funzionano, locali sporchi, medici frettolosi o impreparati, infermieri superficiali o maldisposti. Sono circa 250 le storie raccontate dai lettori nello spazio aperto da Repubblica.it sul caos degli ospedali italiani. Il dolore per familiari, parenti e amici […]

PAZIENTI in fila per ore al pronto soccorso, degenti ammassati nei corridoi negli ospedali, medicine mancanti, strumenti che non funzionano, locali sporchi, medici frettolosi o impreparati, infermieri superficiali o maldisposti. Sono circa 250 le storie raccontate dai lettori nello spazio aperto da Repubblica.it sul caos degli ospedali italiani.

Il dolore per familiari, parenti e amici morti per cure sbagliate o perché dimessi troppo presto si accosta alla rabbia di chi è costretto a urlare e minacciare per ottenere solo una sedia su cui soffrire in pace. Come accade anche in altri campi, l’Italia è unita nei disagi, nei problemi e nei guai dell’assistenza sanitaria che, da Torino a Palermo, tormentano i cittadini e mortificano la professionalità di medici e infermieri.

Esperienze negative.
Dal fiume di racconti emerge un quadro drammatico. Al pronto soccorso dell’ospedale di Chieri (Torino), per esempio, "i pazienti in barella sono posti l’uno accanto all’altro senza il minimo spazio vitale, e quando mancano le barelle si usano le sedie a rotelle", tra degenti che urlano per il dolore e ragazzini spaventati dal caos generale.

Al blasonato Istituto Tumori di Milano, il pronto soccorso non esiste. Al Careggi di Firenze ci sono malati gravi abbandonati in barella per 5-6 ore di fila. Una paziente di 80 anni con diagnosi di tumore al cervello è rimasta abbandonata a se stessa, senza parlare con nessuno, con i parenti tenuti a distanza e "un personale scortese e attivo solo nello sbrigare le pratiche per l’accettazione". Esistono però anche reparti che vanno bene e salvano vite.

La presenza di malati sulle sedie o addirittura "in piedi nel corridoio e con l’ampolla della flebo in mano" viene denunciata dai lettori al Policlinico Umberto I di Roma, negli ultimi giorni finito sotto la lente d’ingradimento della cronaca insieme ad altre strutture della capitale. Al San Filippo Neri, una ragazza di 16 anni è entrata in coma dopo un intervento all’ipofisi e del caso si sta occupando la magistratura.

Chi ricovera un disabile deve ricoverarsi anche lui, perché le strutture non sono in grado di garantire l’assistenza 24 ore su 24 e richiedono la presenza di un familiare. Il quale però non può usufruire del pasto e quando va bene può portarsi una sedia a sdraio per la notte, costretto ad accudire il malato senza un briciolo di privacy. Inoltre, mancano le attrezzature per accompagnare i disabili a letto.

Al Cardarelli di Napoli si può perdere un padre per accertato errore del medico "senza che la giustizia renda giustizia". Il reparto di Medicina Interna dell’ospedale di Castrovillari (Cosenza) ha in teoria circa 24 posti letto, ma al momento solo 16-17 sono effettivi perché gli altri si trovano in stanze chiuse per infiltrazione di acqua. All’ospedale civico di Palermo, per un’ecografia mammaria bisogna aspettare il febbraio del 2014.

Isole felici. Non mancano le voci positive, con annesse dichiarazioni entusiastiche. Le storie che abbiamo raccolto raccontano anche questo. Giovanna da Cuneo dice che "abbiamo forse la migliore sanità del mondo e dovremmo andarne orgogliosi e proteggerla". Nella sua città ci sono due ospedali e un pronto soccorso dove tutto funziona. Il personale è educato e gentile, i tempi di attesa mediamente brevi, in certi casi brevissimi, e le cure sempre attente.

C’è chi si congratula col pronto soccorso di Parma: entrato alle 13 di una domenica, nel giro di un’ora sono state sbrigate le pratiche di accettazione, la visita, la diagnosi e il paziente è stato mandato dallo specialista. Qualche pollice alzato persino per l’Umberto I, dove un uomo colto da forti dolori al torace con sospetto infarto ha ricevuto senza problemi il trattamento dovuto: soccorso, assistenza, diagnosi, ricovero e cura presso il Dea.

Dalla Sicilia, infine, ci arriva la storia di una spondilite anchilosante (malattia reumatica autoimmune gravemente invalidante) da sette anni curata con "straordinaria abnegazione" da un’équipe medica purtroppo costretta a operare in condizioni "al limite dell’impossibile".

Dall’altra parte del camice. Nel nostro spazio sono intervenuti anche numerosi medici, infermieri, assistenti, specialisti. E anche qui i pareri sono discordi. Qualcuno giudica i servizi di buona qualità, anche se non sempre pubblicizzati a dovere e a volte perfino "abusati" dai cittadini, un po’ per ignoranza, un po’ per comodità. Esempio, il 118: i problemi di sovraffollamento ai pronto soccorso sono in parte provocati dall’abitudine diffusa di chiamare l’ambulanza anche in casi in cui non sarebbe necessario.

C’è chi non ha a disposizione mascherine o visiere per assistere ai parti, che invece sarebbero obbligatorie per la sicurezza dell’operatore. Gli straordinari (necessari perché nuove assunzioni sono impossibili) non vengono pagati. Il personale che si prende cura dei malati è sempre ridotto al minimo sindacale e sottopagato, mentre risulta eccedente quello amministrativo, che beneficia della paga straordinaria anche  per sola mezz’ora in più.

Gli accorpamenti dei reparti, la diminuizione drastica dei posti letto e del personale obbliga a scelte infelici. Gli operatori sanitari vengono spostati da un reparto all’altro come birilli e cercano con buona volontà di "mettere le pezze" a un sistema al collasso perché "a dirigere gli ospedali ci sono persone incompetenti con unico obiettivo: il bilancio".

Di chi la colpa? Secondo i medici più anziani e d’esperienza, i tagli effettuati al comparto negli anni, la mancanza di investimenti in risorse e il blocco del turn-over hanno prodotto i risultati che tutti conosciamo. Oggi, nell’ottica aziendale, le ragioni di cassa vengono prima delle ragioni mediche. I medici di una certa età vengono mandati a casa perché costano troppo e al loro posto si assumono giovani, che costano meno ma hanno anche meno esperienza.

Le conseguenze drammatiche fanno quasi assolvere i vecchi baroni della medicina, che in molti casi con il loro strapotere riuscivano, nonostante tutto, a creare vere scuderie di ottimi primari. Adesso i ‘padroni’ della sanità sono i politici, si legge nelle voci raccolte, che attraverso i direttori generali, stabiliscono il predominio sulle strutture e la scelta si fa sulle appartenenze politiche, a prescindere dalle competenze mediche.

Alcuni lettori rivelano l’esistenza di reparti gestiti da medici che hanno fatto carriera per vie diverse da quelle regolamentari. Dottori che, prima di raggiungere i vertici, non hanno mai visto un malato. Pronto soccorso gestiti da ragazzi con tanta buona volontà, ma altrettanta inesperienza.

Le liste d’attesa sono lunghe perché è meglio visitare negli studi privati dove si prendono tanti soldi senza fattura e dove spesso si dice al malato tutto e il contrario di tutto. Le apparecchiature sono accatastate negli scantinati, perché si devono usare quelle delle strutture private a pagamento. E capita anche che i posti letto negli ospedali pubblici siano riservati a chi passa dagli studi privati.

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