L’esperienza del coronavirus è stata anche una grande lezione sull’organizzazione dell’assistenza sanitaria in Italia, sugli sprechi che ancora abbiamo e con i quali dobbiamo fare i conti, sui ritardi della macchina sanitaria pubblica a domicilio e sul territorio. La straordinaria risposta della Germania (ne abbiamo palato in questo articolo) alla pandemia non è legata alla tradizionale disciplina dei tedeschi (a questo giro siamo stati persino più bravi di loro), ma appunto a un’organizzazione del Servizio pubblico che non è fatta solo di ospedali e cliniche convenzionate private.
SANITÀ A DOMICILIO
Ma ha il suo punto di forza nel decentramento. Nel portare il medico a casa del paziente, se e quando è necessario. O nel portare il paziente in un ambulatorio vicino casa, senza quella corsa all’ospedalizzazione che si traduce in uno spreco di risorse economiche e umane. Talvolta con risultati catastrofici dal punto di vista dell’efficacia della terapia. Quando sarà scritta la storia del percorso del virus che ha portato alla strage in Italia si scoprirà, e questa è una verità già venuta fuori, che tanti morti si potevano evitare se i contagiati fossero stati curati a casa, o sul territorio. E non infilati in modo irrazionale nelle corsie ospedaliere, diventate così focolai di contagi fuori controllo.
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SANITÀ SUL TERRITORIO
La Sanità a domicilio è scolpita nelle linee guida del nostro Servizio sanitario, e dunque non c’è nulla da inventare, ma semmai da organizzare e finanziare. Il SSN è persino obbligato a farsi carico, a domicilio, delle cure di malati non autosufficienti o con fragilità. E farsi carico significa assicurare visite mediche generali e specialistiche, servizi di riabilitazione, il lavoro e l’assistenza degli infermieri. Tutto ciò purtroppo è solo sulla carta.
Andate a parlare di Sanità a domicilio a qualche famiglia devastata dalle malattie neurodegenerative e scoprirete che i costi per un malato di Alzheimer o colpito dal Parkinson sono tutti sulle spalle delle famiglie. Completamente abbandonate al loro destino.
La conclusione è che 2 italiani su 5 non sanno neanche come gestire e prevenire le piaghe da decubito (indagine di Cittadinanza Attiva) e 1 italiano su 10 spende più di mille euro al mese per badante, fisioterapia, sanitari. E 2 su 5 lamentano la continua rotazione del personale a domicilio, segnale di un’assistenza discontinua e poco attenta alla persona, come recita la Costituzione. Con questi numeri e con queste premesse di fatto in Italia la Sanità a domicilio, pure prevista dal Servizio nazionale, non esiste.
FONDI PER LA SANITÀ
Come al solito, la legge sulla carta è buona, ma nella pratica diventa una scatola vuota. Una grande riforma del sistema sanitario è fallita in Italia proprio per questo abisso che separa i due livelli: parliamo della chiusura dei manicomi. Di quella legge, frutto di tante battaglie civili e del lavoro di tanti professionisti generosi, restano le norme, ma l’assistenza territoriale, e domiciliare, che doveva sostituire i manicomi non è mai stata portata a termine.
Dopo il coronaviurs, e anche utilizzando i tanti fondi messi a disposizione dall’Unione europea per migliorare i servizi sanitari, l’Italia ha la grande occasione di rilanciare l’assistenza a domicilio e quella territoriale, due facce di una stessa medaglia, ovvero l’alternativa all’ospedale, in un Paese dove abbiamo anche la pessima abitudine di correre al Pronto soccorso se abbiamo un brutto mal di pancia, come abbiamo raccontato in questo articolo.
L’assistenza a domicilio e quella sul territorio danno grande spazio e funzione a una figura centrale di questo meccanismo: il medico di base, il vecchio e indispensabile medico di famiglia. Colui che ci segue con continuità, conosce tutta la nostra storia clinica, aiuta il paziente a esprimere i suoi dubbi e non lo liquida come se fosse un numero per passare al prossimo caso. I malati si possono curare a casa, a qualsiasi livello, anche grazie alla tecnologia, altro settore nel quale sono necessari investimenti e scelte di fondo per garantire, lo prevede un punto specifico dello Sviluppo sostenibile disegnato dall’Onu, a tutti una buona sanità.
INVESTIMENTI SANITÀ
Un solo esempio rende l’idea. In Toscana, anche per effetto della quarantena, soltanto nel mese di giugno sono state fatte 5mila visite a domicilio. A distanza, grazie alla telemedicina, e con il vantaggio per i pazienti di ricevere un’assistenza totalmente gratuita, senza neanche il pagamento di un ticket. Parliamo di accertamenti cardiologici,ma anche di controlli per il diabete o per la pressione.
In sintesi: la sanità a domicilio moltiplica i vantaggi. Riduce costi per lo Stato e per il cittadino. Garantisce una buona qualità del rapporto tra medico e paziente. Assicura una continuità nel seguire una qualsiasi patologia. Allegerisce i reparti degli ospedali. Accorcia qualsiasi lista d’attesa. Ovviamente, una buona sanità a domicilico e sul territorio esiste già anche in Italia. E non a caso le regioni che possono contare su questo patrimonio organizzativo hanno reagito meglio anche all’uragano del Covid-19. Non è un caso se il Veneto, considerata una regione modello per le risposte al coronavirus, è la stessa regione che ha 109 piccoli centri di cura dell’Alzheimer (in Molise ne esiste soltanto 1 ), 309 centri diurni per l’autismo (il 40 per cento delle regioni italiane sono completamnte sprovviste di queste strutture, come se l’autismo non fosse una patologia da affrontare), 789 residenza per anziani (il doppio di quelle presenti in un’altra regione con una buona sanità pubblica, la Toscana).
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