La logica del denaro e l’esistenza di Dio

Con questo testo di Massimo Cacciari si inaugura domani a Bologna nell’ Aula Magna di Santa Lucia l’ ottava edizione della manifestazione “I Classici”, dedicata quest’ anno al tema del denaro col titolo “Regina pecunia” Regina pecunia… ma di quale “pecunia” parliamo? Di quella nel cui stesso nome risuona la relazione alla sostanzialita’ della cosa, […]

Con questo testo di Massimo Cacciari si inaugura domani a Bologna nell’ Aula Magna di Santa Lucia l’ ottava edizione della manifestazione “I Classici”, dedicata quest’ anno al tema del denaro col titolo “Regina pecunia” Regina pecunia… ma di quale “pecunia” parliamo? Di quella nel cui stesso nome risuona la relazione alla sostanzialita’ della cosa, al possesso del ” pecus “, del capo di bestiame, dell’ animale domestico, che il “pastore” custodisce gelosamente? Questa “pecunia” e’ stata detronizzata da tempo. Tutte le proprieta’ della cosa in quanto valore di scambio si presentano nel denaro scisse dalla loro forma naturale. Il denaro rende ora omogeneo in quanto merce tutto cio’ che per natura e’ differente. “La comune bagascia del genere umano” rende-uno il cuore di Antonio e i cani, gli asini, gli schiavi e i palazzi dei suoi zelanti amici. Shakespeare docet, Marx discit. Ma il denaro si distingue radicalmente dall’ antica pecunia non solo perche’ de-sostanzializza il mondo, ma anche perche’ esclude ogni avarizia. Se lo tieni fermo “evapora”. L’ avaro vorrebbe che il suo denaro non si “solidificasse” mai, lo vorrebbe “liquido” sempre, e che proprio in tale forma potesse moltiplicarsi. Ma cio’ e’ impossibile. Il denaro, per riprodursi, ha bisogno di “sparire” di nuovo nel valore d’ uso, trasformandosi in merce. Il denaro deve “morire” per “rinascere”. La “mistica” di questo denaro e’ stata spiegata da Marx una volta per sempre. Ma cio’ che forse non e’ stato bene appreso dalla lezione marxiana e’ l’ immanente e insuperabile contraddizione di tale dialettica. Se il denaro deve “gettare” sempre nuove merci fuori di se’ “come combustibile nel fuoco” (Marx), e dunque crearee ri-creare bisogni, nulla assicura che tali merci possano di nuovo traformarsi in valori.

Il soggetto che consumando la merce fa “rinascere” il denaro non e’ lo stesso che lo “arrischia” nella produzione. Da qui la tendenza o la “tentazione” insuperabile a non “solidificarlo”, a tentare di moltiplicarlo senza farlo uscire dalla sua “astrazione”. Ma non esiste alcuna “miniera” dove il denaro possa custodirsi senza annullarsi. Cosi’ come non vi e’ alcun “mercato” che garantisca il suo ritorno “a casa”, piu’ fortee piu’ pronto a nuove avventure. Il denaro e’ segno di crisi. Anche per l’ individuo. Gli enti-merce di cui e’ l’ universale equivalente sono tutti perituri. Lui solo appare come l’ indistruttibile. E dunque il desiderio per lui non puo’ placarsi nel possesso. Il denaro produce un illimitato desiderio, che nessuno dei prodotti in cui si incarna potra’ mai soddisfare. Il pastore poteva “restar-contento” del suo pecus. Mai lo potra’ chi possiede denaro ed e’ costretto a “gettarlo” nella circolazione, a “perderlo ” per cercare di ritrovarlo, ne’ lo potra’ chi, grazie alla infinita potenza del denaro, non acquista che la “miseria” di queste effimere merci. Tuttavia e’ necessario parlare dell’ essenza metafisica del denaro senza alcun moralismoe lontani da ogni reazionario disprezzo. vero che il processo di circolazione che il denaro genera produce la perenne insoddisfazione del consumo, ma e’ vero anche che in cio’ si rappresenta la mia autonomia, la “liberta’” della persona rispetto a ogni misura o legge universali di felicita’ o benessere. Soltanto io posso sapere quanto esso mi sia costato e soltanto io posso sapere quale grado di benessere mi dia l’ acquisto e il consumo che esso consente. Non esistono misure obiettive di felicita’, ne’ esiste la possibilita’ di determinare in assoluto dove corra il discrimine tra bisogni necessari e superflui. Certo, nulla di essenziale puo’ esprimersi nel desiderio individuale, e percio’ nulla di essenziale puo’ essere perseguito attraverso la potenza universale del denaro. Ma lungi dal portare alla conclusione vetero-moralista: “il denaro non conta”, “non puo’ renderci felici”, etc., cio’ non rappresenta che quella “legge individuale”, che Georg Simmel ha illustrato nel suo magnum opus La filosofia del denaro, pubblicato nel 1900, pietra miliare del contemporaneo: nulla puo’ imporci la “misura” del nostro essere felici. Il denaro e’ universale proprio nel suo esprimere l’ impossibilita’ di una tale “misura”e l’ inessenzialita’ del nostro desiderio, “liberandoci” cosi’ dalla “superbia” di ergerlo in qualche modo a norma o modello. Sullo specchio del denaro si rivela soltanto l’ infinita’ del desiderio. E questo soltanto cie’ comune.

Ma come il denaro, per divenire, deve “morire” nella individualita’ determinata della merce, cosi’ l’ infinita’ del desiderio per vivere deve incarnarsi nella inessenzialita’ del mio essere felice o in-felice. Questa paradossale onnipotenza del denaro mai risolvibile in atto, sempre incompiuta, puo’ essere intesa come “mondanizzazione” del dio giudaico-cristiano? Ancora Simmel lo riteneva certo. Dovremmo oggi essere diventati tutti piu’ cauti nell’ applicare ovunque come passe-partout l’ idea di secolarizzazione. L’ onnipotenza infinita dell’ immagine del denaroe’ quella di un poter tutto comprare. Ma questo e’ appunto actu irrealizzabile. E tutto cio’ che e’ comprabile e’ inessenziale. L’ onnipotenza divina, invece, si “svuota” di se’ per poter tutto quie-ora amare. Anche l’ amare none’ mai alla meta, mai “contento”, ma non perche’ trapassi da consumo a consumo; all’ opposto: perche’ il suo “amato” e’ oltre ogni logica del possesso e del consumo. Il suo scambio e’ puro dono, mentre il denaro “funziona” soltanto in quella relazione dove nulla di “gratuito” intervenga. “Cio’ e’ qualcosa di gratuito”, cosi’ parla il denaro – e intende: “cio’ e’ qualcosa di insensato, di illogico, di inutile”. Tuttavia la sua potenza deve alla fine riconoscere quella “legge individuale” che afferma l’ inessenzialita’ del desiderio e del consumo che essa consente. E cosi’, paradossalmente, per negativo, il denaro stesso fa cenno a quell’ “inutile” della gratuita’ del dono dove si custodisce l’ inconsumabile e indistruttibile, che continuiamo malgrado tutto ad avvertire in noi, “al cuore” stesso della nostra perenne ricerca e del suo continuo fallire.

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