Vitamina verde

Di citta’ ci si puo’ ammalare, e morire: e’ vero. Per l’inquinamento dell’aria, per gli incidenti che coinvolgono sempre piu’ pedoni e ciclisti, per le strade senza marciapiedi che impediscono di camminare, per la discarica sotto casa. Ci si ammala non solo per la chimica e l’asfalto, ma anche per il brutto, la fretta, la […]

Di citta’ ci si puo’ ammalare, e morire: e’ vero. Per l’inquinamento dell’aria, per gli incidenti che coinvolgono sempre piu’ pedoni e ciclisti, per le strade senza marciapiedi che impediscono di camminare, per la discarica sotto casa. Ci si ammala non solo per la chimica e l’asfalto, ma anche per il brutto, la fretta, la rabbia che ti prende a vivere in una citta’ inospitale. Eppure di citta’ si puo’ vivere e prosperare, rifiorire addirittura. Se il quartiere in cui si vive e’ ricco di parchi e aree gioco, se marciapiedi e piste ciclabili ben separati dalle strade consentono di muoversi quotidianamente con le proprie gambe, e se le case si alternano a negozi, spazi pubblici, cinema e uffici in quartieri gradevoli, e vivi a tutte le ore.

Esiste insomma una nuova medicina, benefica e potente, che si chiama architettura e urbanistica. la nuova scienza della citta’ sostenibile che si sta facendo strada fra i pianificatori spagnoli, tedeschi e olandesi. Una ‘medicina’, nata dalla sintesi di interventi di sanita’ pubblica e recupero urbano, che dovra’ riportare al centro alberi e biciclette, e avere la forza di moderare o addirittura fermare il traffico privato ai confini delle metropoli, attraverso un piano Marshall di investimenti dedicati al potenziamento del trasporto pubblico. Un gruppo di sociologi e urbanisti olandesi ha proposto di chiamare questo nuovo ricostituente urbano ‘Vitamina V’, dove V sta per verde. E indica un insieme di servizi pubblici di cui, per la prima volta nella storia, si studiano in modo quantitativo i possibili effetti sulla salute fisica e psichica degli abitanti.

Gli ambienti poveri di spazi verdi, ma anche di centri di aggregazione come piazze e negozi di quartiere, incoraggiano abitudini di vita poco salubri: obesita’, fumo e sedentarieta’. “Il degrado delle periferie urbane si tramuta in condizioni di salute piu’ critiche dei residenti e accentua gli effetti delle differenze sociali”, spiega Patricia Hynes del Department of Environmental Health dell’Universita’ di Boston. ” la cosiddetta sindrome delle finestre rotte: la qualita’ carente delle abitazioni e degli spazi, la scarsa pulizia e manutenzione genera abbandono e un senso di insicurezza che inibisce la vita all’aria aperta di bambini e anziani, con immaginabili conseguenze di salute”.

Una dotazione adeguata di parchi, filari alberati, orti e giardini, connessi da vie pedonali e ciclabili, possono contribuire a colmare questo divario fra centro e periferia. Lo dice uno studio dell’Universita’ di Glasgow pubblicato sul ‘Lancet’, secondo cui la presenza di aree verdi accessibili e di qualita’ allungano le aspettative di vita delle classi meno abbienti e abbassano il tasso di mortalita’ per alcune malattie, in particolare quelle cardiovascolari. La ricerca e’ stata effettuata in Gran Bretagna su piu’ di 360 mila persone. I ricercatori, Richard Mitchell e Frank Popham, non hanno dubbi: il verde riduce le differenze tra lo stato di salute dei diversi ceti sociali. “Gli ambienti che promuovono la salute possono essere cruciali nella riduzione delle disuguaglianze sanitarie”, commentano: “Le aree verdi sono un mezzo a disposizione dei governi per ridurre il divario di salute tra ricchi e poveri”.

Sono diversi gli studi che mostrano come le aree verdi, ripulendo l’aria, incentivando l’attivita’ fisica e riducendo i livelli di stress, hanno effetti benefici sulla salute respiratoria, cardiaca e psichica della popolazione. “Foreste urbane di dimensioni adeguate svolgono un’eccellente azione di filtro acustico e sugli inquinanti dell’aria, oltre ad abbassare di qualche grado la temperatura nelle isole di calore urbane”, spiega Barbara Maher del Lancaster Environment Centre.

Anche disturbi respiratori come l’asma sembrano essere direttamente influenzati dalla presenza di verde. Negli Stati Uniti, tra il 1980 e il 2000, l’asma infantile ha colpito in media un bambino su due, raggiungendo i tassi piu’ elevati nelle aree piu’ inquinate. Come controllare questa epidemia? Anche con parchi e giardini. Secondo una ricerca della Columbia University di New York, per ogni 350 nuovi alberi piantati per chilometro quadrato gli attacchi d’asma si riducono di un quarto.

Alla preziosa funzione di spazzino dell’aria, il verde urbano associa benefici anche di natura psicosociale. “L’uso regolare del verde urbano e degli spazi aperti caratterizzati da buona qualita’ estetica e’ in grado di ridurre ansia, stress e aggressivita’, attraverso un meccanismo di rassicurazione”, spiega Peter Groenewegen, dell’Istituto di ricerche sanitarie di Utrecht, in Olanda, che sta conducendo una ricerca sugli effetti salutari della ‘vitamina V’. “La presenza di spazi verdi diffusi nei quartieri funge da attrattore di relazioni sociali positive e da stimolo per l’attivita’ fisica. Forme particolari di verde pubblico come gli orti urbani, oltre a fungere da centro di socializzazione soprattutto per gli anziani, conferiscono un vantaggio di salute che e’ stato misurato sia in termini di abbassamento dei livelli di colesterolo, sia di pressione arteriosa”.

E se coltivare l’insalata e’ meglio che impasticcarsi di pillole per abbassare il colesterolo, altrettanto interessante e’ notare gli effetti dei quartieri di una citta’ come New York sui tassi di obesita’. Andrew Rundle, della Columbia University, si e’ inventato uno studio che correla la frequenza di obesi in diverse parti della Grande Mela con il numero di fast food, pasticcerie e bodegas nel circondario. La ricerca ha coinvolto 13 mila newyorkesi di diverse etnie ed estrazioni sociali dei quali sono noti stili di vita e indice di massa corporea: una platea rappresentativa dell’americano medio, di cui il 28 per cento e’ obeso e il 34 sovrappeso. Quindi ha censito i negozi alimentari dei quartieri di provenienza del campione di persone studiate, e li ha stimati come buoni o cattivi dal punto di vista nutrizionale in base alle calorie dei cibi venduti. “Sebbene i negozi che vendono alimenti sani siano dieci volte meno degli altri, nelle zone dove sono piu’ frequenti la popolazione residente risulta piu’ magra e in salute”, spiega Rundle. Ma piu’ importante di questo risultato e’ la conferma che sovrappeso, diabete e disturbi cardiocirolatori sono meno diffusi dove la citta’ e’ piu’ connessa da percorsi pedonali e ciclabili e con maggiori accessi a parchi e giardini. Meglio ancora vanno le cose nei quartieri che non hanno un’unica funzione (tutto uffici o tutto residenze), ma sono diversificati, frequentati da impiegati che vivono fuori citta’ (i ‘city users’) e da residenti. Questa biodiversita’ urbana, fatta di natura e cultura, negozi e supermarket, uffici, casette e condomini, con spazi pubblici, aree gioco, alberi, marciapiedi accessibili e interconnessi, semafori intelligenti per pedoni e ciclisti, e’ l’ingrediente del rinascimento urbanistico che mette al primo posto non i portafogli degli immobiliaristi ma la salute dei cittadini. Non c’e’ niente di peggio invece del sogno americano della villetta fuori porta o, per restare in Italia, delle citta’ satellite costruite nello sconfinato hinterland delle metropoli, senza storia e povere di varieta’ di usi e funzioni. ‘Citta’ diffuse’, sono chiamate, spesso squallide, legate alla cultura dell’inseparabile automobile. qui, nel cosiddetto sprawl urbano, che le statistiche sanitarie Usa registrano tassi piu’ alti di sedentarismo, obesita’, fumo, infarti e depressione.

“E pensare che a inizio Novecento negli Stati Uniti ridurre la densita’ urbana e’ stata una scelta precisa di sanita’ pubblica, per controllare il rischio di diffusione della tubercolosi e di altre malattie infettive che proliferavano in ambienti affollati e malsani”, spiega Richard Jackson, direttore del Graham Institute e autore del libro ‘Urban Sprawl and Public Health’: “L’esodo della popolazione nei sobborghi ha dato il via a uno straordinario consumo di suolo e natura, cementificazione selvaggia, inquinamento da traffico e pendolarismo. Dal 1970 a oggi la popolazione statunitense e’ aumentata del 37 per cento, ma le distanze coperte in auto del 143. Dagli anni Ottanta a oggi le ore che ciascuno perde nel traffico sono passate da 16 a 82 all’anno. Nelle Citta’ diffuse delle periferie urbane non e’ previsto camminare o andare in bicicletta. A loro volta le citta’ storiche, svuotate di abitanti, hanno abbandonato al degrado intere porzioni urbane, con sacche di sottosviluppo e criminalita’ a pochi chilometri dal centro. Dobbiamo tornare a far dialogare architettura, urbanistica e medicina, per mettere capo a nuove citta’ giardino”.

La ricetta potrebbe essere quella voluta in Germania da Angela Merkel nel 2002, quando era ministro dell’Ambiente: una legge che si pone l’obiettivo di ridurre da 130 a 30 ettari al giorno il consumo di suolo entro il 2020, recuperando alla natura tanta superficie quanto quella oggetto di nuovi progetti di urbanizzazione e infrastrutture. “In questo senso ha fatto scuola a partire dagli anni Ottanta il recupero del bacino minerario della Ruhr, un’area industriale dove vivono oltre 5 milioni di abitanti trasformata in un decennio in un territorio di qualita’ ecologica”, spiega Balducci. Dove e’ stato completamente rinaturalizzato un fiume dato per morto, l’Emscher. E dove tutta la comunita’ si identifica nel grande parco che innerva l’area. Una terapia a base di urbanistica, sanita’ pubblica e ingegneria ambientale che, per ora, non ha eguali in altre zone d’Europa.

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