Smog, sempre più oltre i limiti

Sara Gandolfi È arrivata e ha lavato la città. Almeno un poco. La pioggia che aveva evitato a Milano un autunno nero, a metà febbraio è tornata a ripulire le strade, i marciapiedi e l’aria grigia sotto la Madonnina, tentando di annacquare la sbornia di quei quaranta e passa giorni d’inquinamento da PM10 sempre oltre […]

Sara Gandolfi

È arrivata e ha lavato la città. Almeno un poco. La pioggia che aveva evitato a Milano un autunno nero, a metà febbraio è tornata a ripulire le strade, i marciapiedi e l’aria grigia sotto la Madonnina, tentando di annacquare la sbornia di quei quaranta e passa giorni d’inquinamento da PM10 sempre oltre i limiti che in quest’inizio d’anno ci ha fatto mancare il respiro. Un’illusione. Milano e i milanesi sono come quei pre-adolescenti allergici al sapone che s’avvolgono, incuranti e svogliati, in magliette intrise di polvere e sudore. Neri, come le statue del Duomo che, anno dopo anno, s’incrostano di black carbon, lo stesso che s’infila nei polmoni con il suo strascico di sostanze tossiche. Senza l’aiuto di mamma pioggia o papà vento, la metropoli non si lava. Basta che il tempo giri al bello, che lo strato di rimescolamento torni a premere l’aria verso il suolo, come di norma accade in Pianura Padana, e l’allarme ormai cronico si ripresenta. Basta poco e si torna al 1° febbraio, giornata di pallido sole e tanto smog, in cui siamo usciti di buon mattino con in spalla un rilevatore di particolato atmosferico (o PM, somma di polveri diverse derivanti dai processi di combustione di auto e riscaldamento oltre che dalle reazioni chimico- fisiche che avvengono in atmosfera).

Abbiamo scelto Milano perché è la sede del Corriere ma soprattutto perché sempre tra le prime nella hit parade dell’inquinamento europeo. Non a caso i campioni del suo particolato sono contesi dai laboratori internazionali: «Soprattutto al Nord Europa il nostro PM è considerato merce rara», spiega con un sorriso amaro la biologa cellulare Marina Camatini. Il Centro di ricerca Polaris (Polveri in ambiente e rischio per la salute) da lei guidato, al Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio all’Università Milano-Bicocca, studia da tempo gli effetti biologici su cellule umane del particolato lombardo e anche quest’anno ha messo a disposizione del Corriere strumenti, laboratori e know how per capire cosa respira un milanese qualunque in una qualunque giornata metropolitana.
SOTTO LA «CAPPA» PADANA
Il 1° febbraio le centraline dell’Arpa – che misurano la concentrazione media sulle 24 ore – segnavano +159 microgrammi per metro cubo (μg/m3) in via Senato, +130 al Verziere, +120 in Città Studi e condizioni atmosferiche «non favorevoli» alla dispersione d’inquinanti. Una realtà quasi quotidiana in città. Per legge il PM10 non dovrebbe sforare i 50 μg/m3 per più di 35 giorni l’anno: nel 2010 i giorni off-limits sono stati 87, quest’anno in meno di due mesi abbiamo superato i 40 (e difficilmente l’Italia eviterà una salata multa europea). Colpa del traffico, del riscaldamento invernale, ma anche di una posizione geografica e di condizioni meteo infelici su tutta la Pianura Padana: «La stagione autunnale-invernale, in particolare, è caratterizzata da un’altezza ridotta dello strato di rimescolamento – la porzione di atmosfera nella quale gli inquinanti vengono dispersi da moti di rimescolamento – quindi gli inquinanti rimangono concentrati in prossimità del suolo e nei primi metri dell’atmosfera. Il giorno della misurazione l’altezza media dello strato di rimescolamento era di appena 143 metri», spiega il professore Ezio Bolzacchini, che ha coordinato l’analisi chimica delle polveri raccolte. Polveri irritanti di per sé, che in più diventano un veicolo per il cocktail di veleni shakerati dal clima e dalla «cappa».
Il campionamento realizzato per questo servizio ha misurato anche l’andamento del black carbon, o carbonio grafitico, che è frutto dei processi di combustione (veicoli a motori, principalmente diesel, impianti di riscaldamento ecc.). Questi emettono particelle di dimensione inferiore a 2,5 μm (quarantesima parte di un capello) e particelle ultrafini sotto i 100 nm (millesima parte di un capello), quelle che più facilmente s’insinuano nell’organismo umano. Di per sé il black carbon non è tossico – «sarebbe come dire che se uno disegna con le matite gli viene il tumore» – però si associa a sostanze ben più pericolose come gli idrocarburi policiclici aromatici. «Sono una frazione molto piccola all’interno dei composti organici e a tutta la massa del particolato, appena lo 0,01%, ma presentano un’elevata tossicità». In particolare il benzapirene, i cui limiti l’Italia aveva già normato (un nanogrammo al metro cubo su base annua) ma che un decreto governativo a fine agosto ha eliminato, ufficialmente per assecondare le scadenze dell’Unione europea, che dà tempo fino al 2012.
DAL GRATTACIELO AL CASTELLO
La nostra ciclo-passeggiata, dentro e fuori la zona ecopass, a spasso tra luoghi simbolo e tubi di
scappamento, conferma l’allarme e, con i suoi dati puntuali, racconta qualcosa in più sull’aria che respiriamo ogni giorno. Fin dalla partenza, alle sei del mattino, in cima al nuovo grattacielo della Regione, i valori sono da capogiro – tra 55 e 70 μg/m3 –, poi in esterno si viaggia mediamente su valori tre volte superiori ai limiti di legge (anche se la soglia limite dei 50 è riferita a un arco temporale di 24 ore, quello registrato dalle centraline Arpa). Con picchi estremi di PM10 nella galleria di via Tonale, sotto la stazione Centrale – effetto del rimescolamento continuo della polvere al suolo e degli scarichi dei veicoli – e valori ben oltre i 200 in metrò, dove l’abrasione dei binari libera anche particelle metalliche. Ci sono forti differenze tra i valori al suolo (129 sul sagrato del Duomo) e a 60 metri d’altezza (92 sulle terrazze del Duomo), punte nelle zone a forte traffico come i Bastioni e piazza Lega Lombarda (rispettivamente 218 e 321, con picchi di PM 2,5, più sottile e infido, fino a 122), che scendono di poco nelle aree a traffico limitato (140 in Vittorio Emanuele, 124 al Castello Sforzesco) ma con PM di qualità più «grossolana». Due giorni prima Milano aveva celebrato la prima «domenica a piedi» di stagione, scelta quasi obbligata per il sindaco Moratti. Serve a poco, gli esperti lo sanno. E a poco di più serve l’ecopass – anche se la qualità del particolato, dentro la Cerchia, migliora – perché perfino le emissioni in tangenziale, prima o poi, arrivano sul sagrato del Duomo. Non basta il muro di cinta del Castello a fermarle, soprattutto quel 50% e oltre di particelle che si formano in atmosfera, aggregati di polveri volatili magari prodotte a chilometri di distanza e che poi sorvolano i tetti cittadini. Superiori all’esterno i livelli di PM10 nelle aule di un liceo del centro: si tratta di polveri grossolane, povere di black carbon, ma è comunque un campanello d’allarme confermato da recenti studi sull’inquinamento indoor nelle scuole, e ancor più nelle nostre case (vedi box qui sopra). Va sicuramente meglio negli uffici dell’assessore Terzi al Comune o nella redazione del Corriere dove i filtri dell’impianto di condizionamento abbattono il PM10 a quota 21 (61 in sala fumatori!).
TRA BLACK CARBON E METALLI
Conoscere la composizione chimica del particolato aiuta a identificare le fonti e i possibili effetti sulla salute umana. «A Milano circa l’11-15% della concentrazione totale di PM 2,5 è data dal black carbon e un 30-40% da composti organici. Un altro 35-40% è la somma di 3 ioni inorganici (solfato, nitrato e ammonio) che derivano da sorgenti secondarie, ovvero dagli inquinanti gassosi: anidride solforosa, emessa principalmente da sorgenti per produzione di energia e combustioni industriali e no, ossidi di azoto, emessi dal traffico autoveicolare, e ammoniaca, emessa da fonti naturali, vecchie marmitte catalitiche e attività di agricoltura/allevamento. Una frazione minore, il 4%, è rappresentata da elementi che derivano da risospensione della polvere del suolo e solo lo 0,4 % da altri elementi in traccia…». Tra questi ultimi ci sono i metalli, altamente tossici, come ferro o rame. Una ricerca condotta nella metropolitana parigina ha svelato che il PM raccolto sulle banchine e nei vagoni presenta un’elevata concentrazione di metalli che interagiscono, alterandole, con le strutture cellulari. Ma che effetto hanno, più in generale, le polveri che si respirano quotidianamente in città? Svariati studi hanno appurato che l’inquinamento da particolato atmosferico contribuisce in modo significativo all’insorgenza o riacutizzazione di malattie dell’apparato respiratorio, soprattutto in bambini e anziani. Il meccanismo biologico lo spiega la professoressa Camatini: «Le particelle con diametro inferiore a 10 μm (o PM10, circa la decima parte dello spessore di un capello) vengono catturate dai “macrofagi” alveolari: cellule-sentinella poste a difesa dei polmoni che scatenano risposte infiammatorie, molto evidenti nel periodo estivo, come dimostrato sia su modelli di laboratorio sia mediante osservazioni su individui esposti e mediante dati epidemiologici dalla nostra ricerca Tosca, finanziata da Fondazione Cariplo. La composizione di PM nella stagione invernale, con una presenza molto più elevata di idrocarburi policiclici aromatici, provo ca invece un aumento di bronchiti». Gli effetti dipendono dai livelli di esposizione e sono i PM invernali, con le loro elevate concentrazioni e l’abbondanza di particelle molto fini, ricche di residui della combustione derivante da traffico e riscaldamento, a provocare i danni maggiori.
DENTRO, FINO AL DNA
Ancor più preoccupante è la silenziosa intrusione nell’organismo umano del particolato ultrafine, che non viene neutralizzato dai macrofagi e arriva così a interferire con le strutture cellulari, superando la barriera alveolare e passando attraverso la circolazione sanguigna in altri organi. I dati sulle patologie cardiovascolari, soprattutto in inverno, lo confermano e alcune autopsie hanno rinvenuto particolato ultrafine perfino a livello encefalico. «Stiamo studiando questi meccanismi su un modello con cellule in coltura», spiega Marina Camatini. «Si tratta di particelle talmente piccole da pesare pochissimo ma il cui numero elevato pone problemi diffusi e, in modelli biologici in vitro, provoca modificazioni alle strutture cellulari». Sperimentazioni ancora lontane dal provare se e come l’inquinamento atmosferico causa alterazioni genetiche nell’uomo. Quel che è certo è l’effetto vasocostrittore del particolato atmosferico. «Interagendo con le cellule dei vasi sanguigni, le particelle ultrafini potrebbero avere lo stesso effetto del fumo di sigaretta che altera le proprietà delle arterie aumentando il rischio cardiovascolare», spiega Maurizio Gualtieri del Centro Polaris. Le statistiche cliniche confermano. «Ma la complessità dei PM, costituiti da più elementi chimici, deve avere approcci sperimentali su modelli di laboratorio, per comprendere quali componenti e a quale concentrazione determinano gli effetti evidenziati dai dati clinici». Ancor più difficile è stabilire una correlazione diretta con l’incremento di tumori anche se negli Stati Uniti, dove i dati storici sono più numerosi, alcune ricerche indicano che il particolato atmosferico costituisce un sicuro fattore di rischio. «Il tumore dove c’è una più chiara correlazione è quello ai polmoni ma il rischio relativo è di poco superiore a una persona non esposta a PM (1,33 contro 1). In un fumatore, invece, il rischio relativo sale a 10-15. Abbiamo dimostrato, per esempio, che una Bmw emette in due ore meno Pm 10 e 2,5 di una sigaretta», spiega il direttore scientifico dell’Istituto dei Tumori di Milano, Marco Pierotti, mettendo subito in chiaro quali sono le priorità delle sue ricerche cliniche. Sono indiscusse, comunque, alcune prove scientifiche del potenziale effetto cancerogeno dello smog. «Le particelle fini producono un’infiammazione cronica a livello endobronchiale che, attraverso la produzione di citochine, crea un ambiente favorevole allo sviluppo di neoplasie, sia a livello locale che sistemico. Un gruppo di lavoro italo-americano ha inoltre confermato che l’inquinamento da PM10 può influenzare il processo di metilazione del Dna (alterando, cioè, il corretto funzionamento dei geni)». Abbastanza, insomma, per lanciare una utile proposta controcorrente. «Perché non applicare al commercio delle sigarette una tassa d’uso? I ricavi potrebbero venir destinati per finanziare sia i centri anti-fumo, che oggi sono pochissimi, sia quegli interventi strutturali utili a ridurre le concentrazioni eccessive di particolato atmosferico, per esempio per installare l’aria condizionata nelle stazioni del metro («ci vorrebbero 32 milioni di euro e noi non li abbiamo», avverte l’Azienda dei trasporti milanese). Così aiuto i fumatori e anche la collettività». Pierotti mette in guardia anche contro i pericoli di un altro tipo di particolato: le nanoparticelle prodotte dalle nuove nanotecnologie e impiegate, tra l’altro, nei prodotti di bellezza, negli schermi degli occhiali da sole, nelle racchette da tennis… «L’effetto biologico è uguale alle nanopolveri da inquinamento. Giappone e Stati Uniti introdurranno presto una certificazione del nanorischio per i prodotti che indossiamo o consumiamo. L’Europa non se ne preoccupa». Ma questa è un’altra storia…
 

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