Reato di tortura, gli italiani lo aspettano da trent’anni. Ma il Parlamento dorme… (foto)

Un atto di civiltà, non certo una punizione nei confronti delle forze dell’ordine, che ci viene chiesto innanzitutto dall’Onu. Dal 1988. Eppure questo reato lo abbiamo codificato noi, nel 1777, grazie a Pietro Verri.

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REATO TORTURA ITALIA –

Se fossimo in un Paese normale, saremmo stati i primi, nel mondo, ad approvare una legge che riconosce il reato di tortura. Il motivo? Semplice: lo abbiamo codificato noi italiani, nel lontano 1777, in un testo straordinario per sintesi e modernità, scritto dal grande giurista Pietro Verri e intitolato Osservazioni sulla tortura.

E invece da trent’anni anche qui siamo diventati ultimi, e i nostri onorevoli e senatori, inetti e teleguidati dai soliti partitini ad personam, cincischiano sull’approvazione di una legge di civiltà, attualmente approvata solo al Senato e in attesa di essere votata anche alla Camera (riusciranno i nostri eroi a fare qualcosa prima della fine della legislatura? Domanda da un milione di punti).

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LEGGE SUL REATO DI TORTURA IN ITALIA –

Il caso è paradigmatico dell’enorme spreco che oggi rappresenta la politica in Italia, un deficit di efficienza (e quindi di utilità, di missione) e uno scollamento completo dalla società, dalle persone in carne ed ossa, quelle che non hanno uno scanno a Palazzo Madama oppure a Montecitorio, ma si sono solo illusi di avere mandato in quelle aule degli autorevoli rappresentanti.

Chiariamolo subito: il riconoscimento del reato di tortura non è una legge che suona come un atto di sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine, formate, è nostro dovere ricordarlo, da servitori dello Stato che fanno questo duro e pericoloso lavoro per quattro soldi. Né è una via tortuosa per giustificare qualsiasi caos nelle piazze e nelle strade, compresa la violenza, da parte di qualche banda di facinorosi truccati da contestatori.

Ripeto: è solo un atto di civiltà. Per impedire, o comunque scoraggiare, il verificarsi di episodi che in Italia abbiamo visto in tragica sequenza, e non troppo isolati: dal caso Cucchi a quelli di Uva e Aldrovandi, passando per le torture fatte (e riconosciute con sentenze passate in giudicato) nelle caserme Nino Bixio e Diaz. La legge, tra l’altro, ci viene sollecitata dall’Onu dal lontano 1988, con tanto di accuse di inadempienza rispetto alla Convenzione sui diritti dell’uomo.

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LEGGE ITALIANA SUL REATO DI TORTURA –

Intanto, con questo ritmo da giocatori esperti nella melina, dopo trent’anni siamo arrivati almeno a un compromesso politico, all’esame del voto parlamentare. Un testo che non piace né ad alcune associazioni, come Amnesty International o Antigone, né ad alcuni sindacati delle forze dell’ordine: un doppio no incrociato, da versanti opposti, che dovrebbe spingere i partiti, tutti i partiti, a procedere in fretta all’approvazione definitiva della legge. Due no, in questi casi significano un sì, ovvero che almeno la strada è quella giusta. Almeno con queste norme sarà chiaro che l’incolumità fisica e psicologica delle persone è sempre garantita dallo Stato, e chi commette il reato di tortura rischierà una pena da 4 a 10 anni (possono arrivare fino a 30 in caso di morte del “torturato”). Forse, saremo così più vicini a quella civiltà giuridica, guarda caso, nata in Italia tre secoli fa.

(Credits immagine di copertina: Filippo Monteforte/Getty Images)

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