Il 2011 è stato un anno determinante nell’orientare quelle che saranno le scelte energetiche del futuro in Europa e nel mondo. In Italia, il referendum di giugno ha segnato il definitivo tramonto del ricorso all’energia da fonte nucleare. Ma anche Germania e Svizzera si sono espresse chiaramente a riguardo, con la decisione di chiudere le centrali, entro il 2022, la prima, e al 2034, la seconda. Il gas naturale è dunque tornato alla ribalta come la più “pulita” e promettente tra le fonti fossili, per garantire il bilanciamento del cosiddetto “mix energetico” nei piani nazionali, mentre, in parallelo, paesi come la Gran Bretagna hanno lanciato nuovi sistemi incentivanti per le rinnovabili, simili al “Conto Energia” italiano, che nel nostro paese ha portato all’installazione di più di 200mila impianti fotovoltaici.
Le previsioni di media e lunga distanza restano tuttavia complesse e gli scenari dipinti dagli Istituti di ricerca più accreditati talvolta contrastanti. Ne abbiamo comparati tre, chiedendone un’interpretazione a Stefano Pogutz, direttore del Master on Green Management, Energy and CSR della Bocconi e a Federico Pontoni, ricercatore dello IEFE, il centro studi sull’energia e l’ambiente dell’università milanese.
Il Rapporto del Wuppertal Institut, pubblicato in Italia a giugno, riconosce come, nonostante si parli molto di green economy, nel mondo della produzione materiale l’uso di energia e combustibili fossili continui, di fatto ad aumentare, ma lo ascrive a una sorta di “schizofrenia collettiva” e non ad un’insostituibile esigenza del sistema produttivo, che – se solo la politica volesse – potrebbe essere realmente diverso e alternativo. Del resto, ribadisce Hermann Scheer (“padre” degli incentivi alle fonti rinnovabili), nella sua opera postuma “Imperativo Energetico”, l’Europa, sarebbe tecnicamente pronta per arrivare, al 2050, al 100% di fornitura da fonti rinnovabili. Diversa la prospettiva del terzo scenario, di ExxonMobil, la major petrolifera che, negli “Scenari Energetici 2012”, prevede ancora una lunga vita al petrolio e alle fonti fossili, stimando una crescita della domanda di energia, al 2040, del 30% nei paesi industrializzati e del 60% in quelli in via di sviluppo – per fronteggiare la quale, riconosce tuttavia il rapporto, anche l’efficientamento energetico e le fonti alternative avranno un ruolo importante.
“Uno scenario economico ed energetico al 2050”, commenta Pontoni, “esce, in realtà, dal perimetro della scienza economica ed entra, a pieno titolo, in quello dei desideri. E sui desideri, l’economia può dire poche cose, ma alcune di sicuro interesse. Se, da un lato, è quantomeno ardimentoso prevedere il costo di produzione di energia elettrica e calore fino al 2050, certamente l’economia può aiutarci a riflettere su due concetti fondamentali: la path dependency e il technological breakthrough”.
“La path dependency – spiega Pontoni – implica che la scelta di una determinata traiettoria tecnologica rende più costoso il successivo passaggio a un’altra. Essa rappresenta certamente il fattore decisivo nel rallentare la penetrazione delle rinnovabili (almeno nei Paesi sviluppati): il funzionamento dei nostri sistemi energetici, basati ampiamente sullo sfruttamento degli idrocarburi, rende infatti più costosa la transizione a fonti alternative. Allo stesso tempo, da qui al 2050 potrebbe palesarsi una svolta tecnologica. Nel 2009, gli investimenti in ricerca e sviluppo per le energie rinnovabili hanno superato quelli per le fonti convenzionali. Questo trend sembra essere di lunga durata e rende statisticamente più probabile l’improvvisa epifania di una svolta tecnologica nel settore. Una svolta che, come è successo con internet e con la tecnologia digitale, potrebbe spazzare via, in brevissimo tempo, sistemi e metodi di produzione e consumo energetici oggi consolidati”. “Quali fra questi due fattori prevarrà – conclude Pontoni – è difficile a dirsi. Ed è qui che entra in gioco la Politica”.
Secondo Stefano Pogutz, direttore MaGER, nella comparazione di questi scenari si pone anche un problema di metodo. “Esistono numerosi studi che affrontano la questione energetica cercando di prevedere il futuro. Questi lavori di ricerca – tra i quali aggiungerei il World Energy Outlook dell’International Energy Agency – per quanto scientificamente seri, adottano tecniche e dati diversi, e pertanto giungono a risultati contrastanti. Esistono, tuttavia, alcune ragioni più profonde che spiegano le difformità. In primo luogo le differenti finalità di queste ricerche. In alcuni casi si tratta di roadmap, con le quali si definiscono gli obiettivi che si desiderano raggiungere e, a ritroso, vengono definiti i percorsi più credibili per raggiungere tali obiettivi. Dall’altra abbiamo invece lavori che si basano su modelli evoluzionistici o analisi di scenari, che usano proiezioni e tendenze storiche opportunamente rettificate”.
“Non dimentichiamoci poi – prosegue Pogutz – che c’è sempre un interesse in gioco da parte di chi propone lo studio. In molti casi le ricerche realizzate da organizzazioni ambientaliste o da centri che supportano le rinnovabili offrono scenari in cui un futuro verde è possibile. Diversamente, gli studi condotti dalle aziende del settore petrolifero – ExxonMobil, BP o Shell – prevedono un futuro totalmente dipendente dalle fonti fossili (petrolio, carbone e gas), in cui le rinnovabili crescono, ma restano comunque marginali”.
Ma spesso, avverte Pogutz, si fa anche confusione, nell’interpretazione di questi studi, tra energia in senso lato ed energia elettrica. “Un futuro energetico globale solo green è molto difficile da ipotizzare, anche perché la crescita delle economie emergenti è inevitabile e produrrà impatti significativi sulla domanda globale: 1,3 miliardi di persone non hanno oggi accesso all’energia elettrica, e nei prossimi anni è previsto il loro ingresso nel mercato energetico globale. Diverso è se parliamo della sola energia elettrica in Europa. In un contesto come quello europeo uno scenario verde è sicuramente credibile, anche già al 2030”.
Nei prossimi anni, dunque, le rinnovabili sembrano destinate a crescere velocemente, pur continuando a mantenere un ruolo marginale nella produzione globale di energia, con conseguenze evidenti a livello climatico. A meno che, precisa Pogutz, non sia proprio l’urgenza dei cambiamenti climatici a cambiare le carte in tavola. “Uno scenario come quello proposto da Exxon Mobil, in questo caso, potrebbe non essere più verosimile, in quanto a livello climatico si potrebbero generare effetti assolutamente imprevedibili, con conseguenze politiche, economiche e sociali tali da modificare in modo sostanziale la diffusione delle tecnologie nei prossimi anni, portando al repentino abbandono di alcune alternative poco sostenibili”. “Non dimentichiamoci che – conclude Pogutz – sicurezza energetica e questione ambientale sono entrambe parte della sfida energetica, mentre ai signori del petrolio questi aspetti sembrano non interessare, e non li considerano come possibili vincoli alla diffusione di tecnologie alternative alle fonti fossili”.