Mancanza di generosità: il vizio dei nostri politici

Senza questa dote, la politica diventa solo una carriera personale. Perde efficienza, e si presenta anche come un’attività molto noiosa. In Italia non è andata sempre così

generosità e politica

C’è qualcosa che manca del tutto al nostro ceto politico e ne spiega, in gran parte, la sua inconsistenza: la generosità. Nulla più della politica, tra le attività dell’uomo, mescola il bene e il male. Grandi slanci per cambiare il mondo e piccole miserie per esclusivi interessi personali. L’ambizione di lasciare un segno nella storia e il galleggiare alla ricerca di uno status. Una vera passione civile e il sottinteso obiettivo di poter cambiare vita senza grandi sforzi.

MANCANZA DI GENEROSITÀ

La politica è anche quella combinazione così ben sintetizzata nell’espressione <sangue e merda> che mette insieme la fatica, gli sforzi fisici e mentali con la necessità di maneggiare anche la parte torbida di questo mestiere. Eppure, per quanto l’obiettivo del potere, con i suoi vantaggi e con la sua simbologia, sia una sorta di effige della politica, senza la generosità, il mestiere del politico perde senso, fine e mezzi si confondono, e la sua azione è condannata alla sterilità. Farà anche una buona carriera, ma nessuno lo ricorderà, né durante né dopo il suo percorso.

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COME RICONOSCERE LA GENEROSITÀ?

Da dove si riconosce la generosità di un personaggio politico? Dalla sua azione, dai suoi gesti, dalla sua capacità di essere al servizio delle proprie ambizioni ma prima ancora di una comunità. Gli elettori, il partito, la nazione. Se mancano questi elementi la politica si riduce a una competizione per potere fine a sé stesso, in un contrapporsi di personalismi. Tanti Io che messi in insieme non formano un Noi.

CRISI SISTEMA POLITICO

Proviamo a tradurre questa deriva tornando alla fotografia dell’Italia dopo il crack della Prima Repubblica. Da allora, e bisogna riconoscerlo senza inutili nostalgie, il sistema politico non ha più avuto un baricentro e un punto di equilibrio. Non solo. I partiti sono di fatto scomparsi o al massimo si sono trasformati in comitati elettorali, e le classi dirigenti sono fatte da sbandati, personaggi che non sanno da dove vengono e dove vanno. Nel centrodestra, il titanismo di Silvio Berlusconi, combinato con un macroscopico conflitto di interessi, si è tradotto in una totale mancanza di generosità. E per questo in circa trent’anni di vita, un secolo con i tempi della politica, Forza Italia non è mai diventata un partito vero, con le regole della democrazia interna alle forze politiche. E con gruppi dirigenti che pure si sono avvicendati, ma sempre e solo con alcuni connotati di fondo: fedeli al Capo ed ai suoi ordini. Quando qualcuno ha provato ad aprire nuovi spazi, accennando appena a un conflitto con Berlusconi sulla base dio una diversa proposta politica, il suo destino è stato tracciato. Espulso. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, con due percorsi diversi, e con alle spalle due genesi diverse (ciò che resta di Alleanza nazionale post Msi, la Meloni; ciò che resta della Lega, sindacato di territorio fondata da Umberto Bossi, nel caso di Salvini), sono andati nella stessa direzione: partiti ad personam, con un controllo ferreo dei gruppi dirigenti, e un linguaggio politico impastato dal presentismo di tweet e comparsate televisive. Nel centrosinistra è andata ancora peggio. I dirigenti del Pd, avarissimi nei loro comportamenti, si sono caratterizzati come cannibali e fattucchieri. Cannibali in quanto non hanno fatto altro che eliminare, con lotte di potere fratricide, gli stessi leader (abbiamo perso il conto dei segretari del Pd che hanno lasciato il partito), fattucchieri per la straordinaria capacità di muovere le leve del potere, afferrarlo e conservarlo per anni, senza mai passare per il giudizio degli elettori. Al centro, lo spazio che tutti dicono di volere occupare per dare stabilità al sistema politico italiano, in un paio di decenni, come in un carosello, gli italiani hanno visto all’opera personaggi come Pierferdinando Casini, Angiolino Alfano, Mario Monti, Bruno Tabacci (e ne dimentichiamo diversi altri). Pronti a costruire piccole trincee per difendere le proprie posizioni, ma incapaci di uno slancio di generosità e di coraggio, che in politica è come il sale nella vita, per creare dare qualcosa di nuovo sul piano dell’offerta politica.

IL VALORE DELLA GENEROSITÀ IN POLITICA

Per avere un’idea del valore della generosità in politica, bisogna fare qualche passo indietro nelle pagine di storia. Senza andare troppo lontano. La Democrazia cristiana è stata per mezzo secolo il baricentro del sistema politico, e dopo Alcide De Gasperi è maturato lo scontro, di idee e di potere, tra i due grandi cavalli di razza, Aldo Moro e Amintore Fanfani, che citiamo come esempi di questa virtù della politica. Erano capaci di scontri pesantissimi, ma si rispettavano e sapevano anche fare un passo indietro, anche nel loro interesse, al momento opportuno. Grazie a questa qualità dietro di loro, e nel solco tracciato dalle loro idee, sono cresciute intere generazioni di dirigenti della Dc. E questo spiega come il partito sia stato così inossidabile, al punto da venire travolto dalla sua stessa capacità di resistenza. Nel partito comunista, dopo la lunga egemonia sotto il segno del carisma di Palmiro Togliatti e la transizione di Luigi Longo alla guida del partito, si aprì la vera partita per la successione, tra Giorgio Amendola e Pietro Ingrao. Con gli attuali criteri narcisistici, egoisti e presentisti della politica, questo scontro avrebbe portato alla scissione del partito comunista, considerando la distanza che separava i due personaggi. E invece la loro generosità consentì di trovare un fecondo compromesso nella leadership di Enrico Berlinguer, che segnò anche un definitivo passaggio generazione rispetto ai comunisti del primo dopoguerra e della clandestinità antifascista. In questo modo si salvò non solo un partito, ma un’intera comunità.

I POLITICI AVARI

I politici avari non vanno lontano. Non durano, sono effimeri e transitori, anche se riescono ad acciuffare qualche poltrona per decenni. Non lasciano il segno, e non passano alla storia, con e senza maiuscola. La generosità è essenziale per ascoltare, e poi interpretare, i bisogni e le domande che arrivano dalla società, e non restare inchiodati alle sue pulsioni. Anche qui un dato di fatto: di fronte a tanta incompetenza e scarsa affidabilità, il divorzio all’italiana tra politica e società non si è mai sanato. Ognuno continua ad andare per la sua strada, e la società riesce a reagire molto meglio del ceto politico a tutte le crisi sistemiche, dall’epidemia di coronavirus alla recessione economica. Senza la generosità la politica diventa sterile, infeconda, non fa crescere una comunità, ma solo posizioni personali. E in quanto tale, oltre a diventare inefficace e inefficiente, si trasforma anche in un’attività parassitaria e noiosa.

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