Chi ama andare sulla neve e scendere lungo le piste (ormai più artificiali che reali anche per effetto della crisi climatica, che qualche burlone ancora vuole negare), può dare il suo benvenuto allo sci nel ristretto club degli sport per ricchi. La prossima tappa prevista è il sorpasso di sport nati e cresciuti per fortunate minoranze di privilegiati, come il golf e l’equitazione. Eppure lo sci ha una genesi ben diversa, anzi opposta a quella degli sport per ricchi: nasce come un’attività popolare, e per millenni (le prime testimonianze risalgono a 8 mila anni fa) è stato uno strumento di sopravvivenza, un mezzo di trasporto e lavoro, usato da contadini, cacciatori e soldati che vivevano in terre fredde. Anche quando si trasforma in uno sport incorporato con il turismo, più o meno a partire dalla seconda metà del Novecento, lo sci non perde la sua anima popolare, e diventa uno degli status symbol dei ceti medi, che scoprono, accanto ai piaceri del mare, quelli della montagna.
Chiusa la parentesi storica, vediamo come e per quali motivi lo sci oggi è diventato uno sport per ricchi, una deriva che possiamo considerare come un paradigma dello sviluppo insostenibile, o anche della sostenibilità con il trucco.
A ogni stagione, da qualche anno, i prezzi sulle montagne segnano nuovi record, e nessuno, tra quelli che incassano il dividendo maturato grazie alla passione degli sciatori per lo sport e per la montagna, si sottrae alla tentazione di alzare i listini, con scuse varie facilmente smontabili.
In prima fila ci sono i gestori degli impianti di risalita, i cugini stretti dei gestori degli stabilimenti balneari, con i loro privilegi e con le relative coperture politiche. Barricati nella loro lobby, “lor signori delle seggiovie”, negli ultimi anni si sono messi a fare impianti green, a emissioni zero (così dicono e dobbiamo fidarci), sostenibili, con l’energia prodotta da fonti rinnovabili, a basso impatto ambientale. Ma che bravi! Se fosse per loro, e per le amministrazioni regionali e locali che hanno finanziato a mani basse questo presunto cambio di paradigma, con incentivi e prestiti agevolati per gli impianti green, la crisi climatica sarebbe risolta in tutto il mondo, ma resterebbe in piedi la crisi sociale, esplosa anche su queste nevi tinte di verde.

Mentre si truccavano da ambientalisti della montagna, infatti, i gestori degli impianti stangavano gli sciatori: dal 2021 al 2025 i costi degli skipass sono aumentati del 40 per cento, un numero che non ha nulla di simmetrico all’inflazione. Colpa della bolletta energetica, hanno iniziato a urlare “lor signori delle seggiovie”, immediatamente smentiti dai dati presentati dalle associazioni dei consumatori, come Assoutenti.
Come ha spiegato Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti, in un’intervista all’inglese The Guardian ( chissà perché non a un giornale o a un telegiornale italiani, dove la Montagna, in tutte le sue declinazioni, è un unico spot o pagina pubblicitaria). «Le tariffe energetiche, che nel 2022 avevano aumentato i costi per i gestori delle stazioni sciistiche, sono tornate alla normalità. E quindi gli aumenti dei prezzi sono ingiustificati e inaccettabili. Pura speculazione…» ha spiegato Melluso, forte e chiaro.
Così il listino prezzi degli impianti di risalita in Italia è diventato veramente da industria del super lusso. Per gli abbonamenti stagionali (lo sciatore è uno sportivo seriale) la spesa varia dai 965 euro ad adulto di Livigno ai 1.788 euro della formula Valle d’Aosta -Zermat. Un giorno di skipass giornaliero sulle Dolomiti costa 86 euro. E a proposito di Dolomiti, a conferma di come si muovono “lor signori delle seggiovie” proprio su queste montagne la falsa sostenibilità si è manifestata al meglio, forse in onore di un paesaggio unico al mondo.
La Dolomiti Superski, la federazione che riunisce i dodici principali comprensori sciistici delle Dolomiti, da alcuni anni si presenta al popolo degli sciatori e degli amanti della montagna come la paladina dell’ambiente e della sostenibilità ad alta quota, con il claim cosmopolita We care about the Dolomites (in italiano: Noi ci teniamo alle Dolomiti). Ed è vero, talmente ci tengono che, per alzare i prezzi e rendere lo sci uno sport selettivo non sulla base delle prestazioni atletiche ma del gonfiore del portafoglio, i soci di Dolomiti Superski sono finiti nel mirino dell”Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che ha avviato un’istruttoria per presunta “intesa anticoncorrenziale“. In pratica: più che un’alleanza all’insegna della cura per le Dolomiti sostenibili, questo sembrerebbe un cartello per spennare gli sciatori, dal lunedì alla domenica, con lo skipass oligopolista, ovvero più che da emissioni zero da concorrenza zero.
Scendendo dalle piste, gli sciatori, prima e dopo devono fare i conti con la seconda voce della loro giornata sportiva: vitto e alloggio. Sempre negli ultimi quattro anni i prezzi di alberghi e ristoranti nelle località di neve sono cresciuti fino al 36 per cento. D’altra parte chiunque frequenta, o ha frequentato fino a quando poteva permetterselo, l’alta montagna, sa bene che in località dolomitiche, tipo Cortina, ormai i ristoranti presentano i menù stellati. I piatti sono sempre gli stessi, e spesso con una qualità bassa, ma i prezzi sono diventati da chef stellati o guru di Masterchef. Anche qui senza un solo motivo ragionevole, se non quello di strizzare i clienti sciatori.

Stessa musica per gli alberghi, che hanno sposato la religione del lusso: ristrutturazioni a tutta birra, all’insegna del benessere (sostenibile) e dell’accoglienza stellata, e listino prezzi completamente fuori controllo. E visto che “così fan tutti” anche l’acquisto e l’affitto di un qualsiasi pezzo dell’abbigliamento dello sciatore ha visto, anno per anno, incrementi sempre a due cifre. Tanto che molti sciatori, non ricchi, per resistere, preferiscono non acquistare nulla e conservare la vecchia attrezzatura o al massimo prendere qualcosa in prestito.
L’unica speranza in questa spirale per sciatori e amanti della montagna tartassati è che, prima o poi, la legge del contrappasso dantesca, più che le regole del mercato e dell’economia, che tutti continuano a invocare,a parole, e calpestare, nei fatti, possa fare il suo corso.
Al momento, è proprio Federalberghi a informarci che tra il 2023 e il 2025, in appena due anni , quasi quattro milioni di italiani hanno rinunciato alle vacanze sulla neve e innanzitutto allo sci. La stragrande maggioranza lo ha fatto per l’eccessivo costo di questo sport, diventato proibitivo, e il risultato è che nello stesso periodo il turismo montano ha segnato un calo di fatturato complessivo del 39 per cento.
La domanda è: fino a quando sarà sostenibile, sulla base dei conti nell’universo del turismo sciistico, la scelta, non casuale, di aver trasformato lo sci in uno sport per ricchi? Una curva che ha ridotto anche la montagna a un luogo incantato non solo e non più per la sua bellezza naturale ma anche per la violenza con la quale si lasciano le persone fuori dalla porta d’ingresso verso le cime innevate.
La falsa sostenibilità continua a fare danni ovunque, e in tutti i settori. I racconti in questo libro.
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