Lo spreco, specie quando sono in gioco soldi pubblici, si abbina quasi sempre agli interessi di una lobby che trae i suoi vantaggi a scapito dell’intera comunità. Un caso di scuola è quello degli stabilimenti balneari: ogni anno, quando arriva l’estate, si scopre che i gestori pagano cifre ridicole per i canoni annuali di affitto e ogni governo in carica finge di ignorare le due condanne europee all’Italia per concessioni marittime balneari senza gare. In compenso, il gigantesco regalo è puntualmente prorogato: l’ultima volta fino al 2034. Poi finisce l’estate e tutto passa in cavalleria: delle concessioni balneari non se ne parla più fino al prossimo anno.
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CONCESSIONI BALNEARI
Le concessioni balneari sono in tutto 26.689, ma di queste ben 21.581 (circa il 70 per cento) ha un valore inferiore ai 2.500 euro all’anno, pari a 200 euro al mese. Tutto senza gara e in continua proroga. Con l’aggiunta di una segnalazione che arriva direttamente dall’Agenzia delle entrate: due gestori su tre non dichiarano al fisco il dovuto dei loro incassi. Per avere un’idea della sproporzione, basta dare uno sguardo ai ricavi del comune di Arzachena, dove ricade il territorio della Costa Smeralda, per le 59 concessioni assegnate: 19mila euro l’anno, 3222 euro al giorno. Meno di quanto si paga per avere un ombrellone e un lettino (400 euro al giorno) per una giornata sulla spiaggia in uno degli alberghi a cinque stelle sella zona.
CONCESSIONI DEMANIALI DELLE SPIAGGE
Sui numeri c’è poco da discutere. A fronte di un giro d’affari ufficiale (poi ci sono i ricavi in nero, esentasse…) di oltre 2 miliardi di euro, è questo il fatturato degli stabilimenti balneari made in Italy, lo Stato incassa canoni complessivi per poco più di 103 milioni di euro. E se andiamo a dividere questa cifra per le 52.619 concessioni elargite a “lor signori”, 30mila concessionari che tramandano l’attività di padre in figlio, si arriva alla conclusione che in Italia costa di più, in termini di affitto dello spazio, vendere la frutta con un carretto in mezzo alla strada che non gestire uno stabilimento balneare a cinque stelle.
CHI RICEVE LE CONCESSIONI BALNEARI?
E loro, il gruppo dei fortunati: che cosa dicono? Per (quasi) tutti ha parlato Flavio Briatore, con la sua nuda e cruda confessione. Per lo stabilimento balneare più costoso d’Italia, da 300 a 1.000 euro al giorno solo per fare il bagno comodi, il Twiga beach di Marina di Pietrasanta, nel cuore della Versilia dagli affari d’oro a mare, il brillante imprenditore del turismo del lusso, paga allo Stato la bellezza di un canone annuo di 17.169 euro. Nulla. Un vero regalo, e un gigantesco spreco di soldi pubblici. La spiaggia del Twiga, per capirci, offre ai suoi clienti, ricchi o molto benestanti, tre tipi di tende arabe, cabine esclusive e una piscina con acqua di mare: da qui i prezzi stellari, anche se il mare della Versilia non è certo il più bello d’Italia. Ma comunque parliamo di un’attività economica, che produce lavoro e indotto, guai a demonizzarla, e poi ognuno è libero, al mare come in montagna, di farsi spennare dove e come preferisce.
Però Briatore, forse mosso da un minimo di senso del pudore, ha confessato al Corriere della Sera che nel suo caso, un canone equo da versare, un prezzo giusto e senza sprechi di incassi pubblici che servirebbero tanto allo Stato (e quindi a tutti i cittadini), non dovrebbe andare sotto la soglia dei centomila euro. Dieci volte di più di quanto paga adesso. D’altra parte, lo scandalo delle spiagge regalate ai gestori balneari non è un’esclusiva di un singolo territorio, di una singola costa e di una specifica spiaggia. È uno scandalo generale, diffuso in tutto il Belpaese dei furbi e dei furbetti, più grave proprio dove circolano più soldi e più incassi. In Costa Smeralda, altro luogo del turismo a sette stelle, ripeto: un’industria importante per l’economia italiana, gli alberghi della zona hanno, in generale, una singolare abitudine. Le stanze di questi incantevoli paradisi sulla spiaggia, costano 2mila euro a notte per i clienti che possono permettersi queste spese, ma l’affitto in esclusiva della stessa spiaggia, pagato dai proprietari e dai gestori degli alberghi e incassato dallo Stato, si ferma anche a 500 euro l’anno. È il caso della spiaggia Liscia Ruja, per la quale i proprietari dell’albergo Cala di Volpe (categoria super lusso) pagano un canone di 520 euro l’anno. O degli appena 19mila euro l’anno incassati dal comune di Arzachena in cambio della firma di ben 59 concessioni.
LOBBY DEL MARE
A parte Briatore, i cui soci spaziano da Daniela Santanché ai gemelli Soldano e Dimitri Kunz Asburgo di Lorena, la lobby del mare è molto trasversale. Ci sono ex banchieri, guarda caso coinvolti in disastri bancari come la Carige di Genova e la Popolare di Lodi: Gabriele Volpi e Giampiero Fiorani. Sono entrati dalla porta principale, e sempre con contratti super scontati, nel business delle piagge della Riviera Ligure e anche in Costa Smeralda. Poi ci sono le vecchie, inossidabili e potenti famiglie: Gianluigi e Margherita Campodonico a Santa Margherita, Giuseppe Cinque a Positano, i fratelli Albanese a Capri, i fratelli Vellozzi a Gaeta, i Carbonelli a Sabaudia.
Finora la potente lobby del mare ha sempre vinto. E ci ritroviamo con concessioni di stabilimenti balneari (collocati su suoli demaniali) date a tariffe di maxi saldo, con un enorme spreco di denaro pubblico. Eppure affitti equi e di mercato, quel mercato di cui tanti parlano a sproposito, diventerebbero, da subito, un rubinetto per realizzare i vari obiettivi del governo, di un qualsiasi governo di turno. E non ci sarebbero più regali e privilegi anche per la parte opaca dell’industria della balneazione, quella dove hanno allungato le mani i clan della malavita. Il litorale di Ostia, con le sue orribili storie di cronaca nera, vi dice qualcosa?
PER APPROFONDIRE: In Italia non ci sarebbe alcun problema, se ci decidessimo a fare pagare le tasse a tutti. E invece, leggete questo libro e capite dove siamo finiti…
CHI CONCEDE LE CONCESSIONI SPIAGGE DEMANIALI
Le concessioni demaniali delle spiagge, gli affitti, rappresentano sulla carta un’entrata preziosa per le casse pubbliche, quelle dove i soldi sono sempre pochi. E sono pochi anche per buchi come questi, che poi comportano tasse più alte pagate da tutti i cittadini corretti. Le spiagge, per lo Stato e in generale per la pubblica amministrazione, dovrebbero valere come una miniera d’oro e invece fruttano l’equivalente di una mancia collettiva. Pensate: complessivamente, lo Stato, come dicevamo. incassa circa 103 milioni di euro l’anno per concessioni demaniali delle spiagge, pari a una cifra media di 6.106 euro a chilometro quadrato. Sì, chilometri e non metri, come dovrebbe avvenire secondo i calcoli di economisti indipendenti che vorrebbero introdurre un minimo di equità in questo settore.
A conti fatti, le concessioni demaniali marittime in Italia sono un gigantesco business. A favore di pochi e con l’esclusione dei tanti. Ci sono 52.619 contratti firmati e 25mila concessioni che valgono il possesso e la gestione di 19,2 milioni di metri quadrati di spiagge. Complessivamente nell’Italia circondata dal mare, il 60 per cento delle spiagge sono occupate da stabilimenti balneari, con alcune regioni dove questa percentuale sale fino al 90 per cento. Altro spreco, visto che si sottrae così spazio alla spiaggia libera, quella dove ognuno può fare il bagno senza pagare un euro. Come in America, non in un Madagascar.
La truffa ai danni dei cittadini, mi assumo la responsabilità del peso di questa parola, si riconosce anche da un altro dato. I canoni di concessione di tutte le spiagge italiane rappresentano appena il 2 per cento del fatturato di tutti gli stabilimenti balneari del Paese: Briatore sostiene, parlando dal punto di vista dei concessionari, che il canone dovrebbe essere pari, per ciascuno stabilimento, almeno al 4 per cento del suo fatturato. Quello vero, non taroccato al ribasso, cercando di evitare ricavi in nero esentasse. Praticamente queste spiagge le stiamo regalando a persone che, legittimamente, fanno la loro attività turistica, ricreativa e di ristorazione. Fanno soldi e affari, insomma, avendo conquistato una vera e propria posizione di rendita. Mentre lo Stato li spreca e li getta dalla finestra.
PER APPROFONDIRE: Fattura elettronica, ci piace purché metta ko gli evasori. Come è avvenuto in Portogallo. E purché si stanghi chi fa il furbo
REGOLE CONCESSIONI DELLE SPIAGGE
Se poi dai numeri ci trasferiamo nel mondo reale, alle storie con persone in carne ed ossa, lo scandalo è ancora più evidente. In tutte le regioni italiane, nessuna esclusa, anche se la forchetta dello spreco è molto ampia. A Stromboli, per esempio, per le spiagge tra le più belle del mondo i concessionari pagano la stratosferica cifra di 100 euro al mese. Il conto di un paio di persone al ristorante di uno di questi stabilimenti e\o chioschi. E la regione Sicilia, sempre generosa quando si tratta di sprecare soldi pubblici, porta a casa, complessivamente, dalle concessioni demaniali delle sue meravigliose spiagge, disseminate in tutta l’isola, la bellezza di 81mila euro l’anno, a fronte, giusto per restare nel Sud, dei 452mila euro incassati dalla Basilicata, dove certo le spiagge non sono inferiori né di numero né per la bellezza.
CONCESSIONI SPIAGGIA COSTI
Andiamo avanti? Concessioni a prezzi stracciati si registrano a Capri, Positano, Ischia (Campania), ma anche, come abbiamo visto, in Versilia (Toscana), nella riviera ligure (Liguria) e nelle spiagge super esclusive della Maremma e della Sardegna. Di fatto ovunque. Da un semplice calcolo, realizzato con i numeri certi e non con dati a vanvera, nella sola zona della Versilia, grazie agli affitti delle spiagge a prezzi stracciati e sprecati, lo Stato incassa appena 1 milione e 600mila euro. Ne potrebbe portare in cassa 15 di milioni. E avete presente quante cose si possono fare, per le scuole, per i servizi, per l’arredo urbano, in un’area così piccola come la Versilia, con 15 milioni di euro l’anno in più?
Di fronte al regalo-spreco concesso alla potente lobby (che controlla tanti voti sul territorio) dei gestori delle spiagge, il consumatore-cittadino è beffato due volte. La prima, in quanto con gli incassi che non arrivano, lo Stato è costretto o ad aumentare le tasse oppure a diminuire i servizi (scuole, ospedali, pensioni). La seconda volta, quando paga il conto della sua giornata sulla spiaggia, dove un semplice lettino non costa meno di 10-15 euro e può arrivare fino a 40-50 euro al giorno. In più c’è tutto il resto ad arrotondare il conto di una giornata in spiaggia, magari con famiglia al seguito.
Inutile dire che, un aggiustamento di tariffe di affitto così scandalose, non dovrebbe colpire alle spalle piccole e semplici gestioni familiari, in località non molto frequentate dal turismo, dove solo in sacrificio e il lavoro di genitori, figli e nipoti, consente di fare quadrare i conti di un mini-stabilimento balneare.
CONCESSIONI DEMANIALI DELLE SPIAGGE:
CONCESSIONI BALNEARI E CRITICHE DELLA RAGIONERIA
Mentre il governo, e l’intero Parlamento, continuano a non toccare le tariffe delle concessioni, preoccupati solo di non disturbare la lobby degli stabilimenti (ogni anno in Italia ci sono elezioni amministrative…), a tuonare contro questo spreco restano, con grida manzoniane, altri soggetti. Per esempio la Ragioneria dello Stato che parla, con toni inusualmente pesanti, di «non ottimale utilizzo di beni pubblici» e di «mancato rispetto dell’interesse generale». Aggiungendo il particolare che queste proroghe rappresentano una distorsione alla concorrenza, al mercato e alla libera attività imprenditoriale. Più o meno le stesse obiezioni arrivano dall’Unione europea, che considera l’Italia un caso unico in Europa, laddove in tutti gli altri paesi, a partire dalla Francia con la sua Costa Azzurra, le concessioni, con le relative tariffe, vengono aggiornate ogni anno. La proroga secca, senza alcuna differenziazione, tra l’altro generalizza le situazioni dei gestori che invece possono essere molto diverse, e quindi andrebbero distinte. Un conto è una piccola attività familiare, che si svolge sul filo di un modesto utile di bilancio, e altra cosa sono le società che monopolizzano il lusso in spiaggia con le tariffe di cui abbiamo parlato.
RIORDINO CONCESSIONI DEMANIALI DELLE SPIAGGE
Stranamente, in Parlamento più di un deputato e di un senatore, da anni, si sono accorti della vergognosa regalia ai “signori delle spiagge” e hanno avuto lo straordinario coraggio (magari sono eletti in qualche zona delle Dolomiti…) di chiedere una revisione dei prezzi, intanto fermi al lontano 1989. Ma per ora non è accaduto nulla di sostanziale. E siamo fermi alla canzone di Mina: Parole, parole, parole.
COSA POSSIAMO FARE NOI PER TUTELARE LE NOSTRE SPIAGGE:
- Sigarette in spiaggia, così Paola ogni giorno raccoglie migliaia di cicche. Imitiamola!
- Il pensionato Ulisse sulla spiaggia in Sardegna: blocca gli incivili e raccoglie i rifiuti (foto e video)
- La Grande Bugia sulla plastica: se ne produce sempre di più. A mare avremo più plastica che pesci. A terra ne ricicliamo solo il 20 per cento