Vaccinare i poveri: non costerebbe molto

Cinquanta miliardi di dollari per mettere in sicurezza il 70 per cento della popolazione mondiale. E stare più tranquilli anche noi, che viviamo nei paesi avanzati

vaccini per tutti
Noi dobbiamo fermare le varianti, e andiamo avanti con la terza e con la quarta dose. Loro devono ancora iniziare a vaccinarsi. Ecco il mondo diseguale e ingiusto, che non può reggere, di fronte all’avanzata del coronavirus. I dati parlano chiaro: nei paesi avanzati la popolazione vaccinata è sopra il 60 per cento, nei paesi a medio reddito è al 30 per cento, nei paesi poveri non arriva al 5 per cento. Risultato: il vento della globalizzazione porta le varianti del Covid-19, come Omicron, da dove si diffondono più facilmente, per esempio in Africa, a quei paesi che pure dovrebbero essere immunizzati, come l’Italia.

VACCINARE I POVERI

A questo punto Vaccinare i poveri diventa una necessità, oltre che un elementare atto di giustizia. E non costerebbe molto, se ci fosse un minimo di volontà politica, in America come in Europa. Il Fondo Mondiale Internazionale ha calcolato che vaccinare il 70 per cento della popolazione mondiale in pochi mesi, costerebbe 50 miliardi di dollari. È una somma che possiamo permetterci, e molto meno dei 4.500 miliardi di dollari di perdite nelle economia mondiali se non si riuscisse a fermare l’onda lunga del coronavirus. E non molto di più dei vaccini che stiamo intanto sprecando: l’Unione europea, per esempio, aveva promesso 350 milioni di dosi a Covax, ma nei fatti ne ha consegnate meno di 60 milioni di dosi.

VACCINAZIONE IN AFRICA

La vaccinazione in Africa è quasi a zero. Al 24 novembre 2021 la popolazione africana completamente vaccinata è pari soltanto al 7,5 per  cento del totale (in Europa siamo al 58 per cento e avremmo una cifra ben più alta senza i no vax). L’Organizzazione Mondiale della Sanità si era data, come obiettivo, la vaccinazione del 10 per cento della popolazione africana entro il mese di settembre del 2021. Target irraggiungibile, senza una scossa tellurica che porti in Africa milioni di dosi, liberalizzi per un certo periodo i vaccini e ne consenta la produzione in loco. Intanto la variante Delta è ormai dominante in 21 dei 55 paesi africani, e da qui parte in qualsiasi direzione.

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COVID IN AFRICA

A parte la bassissima percentuale di vaccinati, che con questo ritmo porterà a una copertura decente dei paesi africani non prima della fine del 2023, il virus, nelle diverse varianti, dilaga anche per altri due fattori che si combinano tra di loro. Il lockdown ha ulteriormente impoverito le popolazioni africane, e chiedere nuovi sacrifici economici e sociali è una cosa che nessun regime di questi paesi intende fare. Il malumore cova sotto la cenere e la paura è sempre quella di improvvise e violente rivolte, sulle quali possono soffiare anche i gruppi del terrorismo islamico. In secondo fattore è la moltiplicazione delle varianti: è come se il virus avesse scelto l’Africa come luogo ideale per riprodursi sempre in modo diverso e più forte per resistere alla forza del vaccino. Ed è proprio dal vaccino, dalla vaccinazione di massa in Africa, che bisogna partire se vogliamo evitare che i guai di questo Continente rimbalzino fino alle nostre case.

PERCHÉ VACCINARE L’AFRICA

Nessuno meglio di uno scienziato di valore come il professore Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas di Milano, ha sintetizzato i tre motivi per i quali è indispensabile vaccinare gli africani. E perché se non si raggiunge questo traguardo, la situazione può solo peggiorare, anche dalle nostre parti. Il primo motivo, quasi ovvio, è la solidarietà umana. Il secondo motivo è di natura etica: alla realizzazione dei vaccini contro il Covid-19, già nella fase iniziale, hanno contribuito anche africani, asiatici e latino-americani. E adesso vorremmo escluderli solo perché non hanno i soldi per pagare il costo di una vaccinazione (12 dollari)? Il terzo motivo è il seguente: più il virus corre nei paesi poveri, meno possono stare tranquilli i paesi ricchi. E questo per una ragione scientifica. Quelle che chiamiamo varianti alfa, beta, gamma e delta, sono nate in Africa, in Amazzonia, In India, in Sudafrica. In quelle parti del mondo dove la quota di popolazione vaccinata è molto bassa.

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LIBERALIZZAZIONE DEI VACCINI

Solidarietà. Quante volte abbiamo sprecato questa parola a proposito di relazioni internazionali tra Nord e Sud del mondo, e quante volte l’abbiamo affogata nel lago della retorica senza poi muovere un dito per raddrizzare la globalizzazione ingiusta. Dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Adesso abbiamo un’altra occasione storia, con vantaggi per tutti, per applicare la solidarietà agli equilibri geopolitici e in questo caso alla salute dell’intera popolazione del Pianeta: la liberalizzazione dei brevetti dei vaccini. La proposta chiara e forte non è arrivata da qualche leader vetero marxista del Sud America, ma dal presidente americano Joe Biden. Vaccini per tutti, ha detto il presidente degli Stati Uniti, ricordando che ci sono troppe nazioni del mondo dove i piani di copertura della popolazione non sono ancora iniziati. E non inizieranno mai se non ci sarà una forma concreta di condivisione dei piani di protezione di massa.

VIA I BREVETTI

Lo squilibrio Nord-Sud del mondo di fronte a questa nuova fase della pandemia è evidente. Nel Nord America un abitante su due ormai è completamente vaccinato, in Asia siamo a un abitante su dodici e in diversi paesi dell’Africa (dall’Uguanda al Burundi) siamo a zero. Mentre in questa parte del mondo dove ci troviamo, il Pianeta dei ricchi, si va verso le riaperture e il ritorno a una vita quasi normale, in altre zone del mondo, il Pianeta dei poveri, si precipita in una nuova fase di contagi di massa. Accade in Brasile, per esempio, ma anche in Nigeria e in Sud Africa. Per non parlare dell’India, dove si contano 4mila morti al giorno. Ci sono condizioni ambientali che spiegano questa differenza così abissale. Il quadro demografico, un sistema di assistenza sanitaria molto fragile, la promiscuità dei cittadini, il sovraffollamento dei centri urbani, i comportamenti dei singoli. E innanzitutto la mancanza di risorse per introdurre un vero piano di protezione della popolazione.

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VACCINI PER TUTTI

Ogni giorno che passa la pandemia diventa meno uguale. E senza uno scatto di altruismo sarà difficile riuscire a debellare il Covid-19 su scala mondiale, con problemi che prima o poi torneranno a bussare anche nelle nostre case. Tornando alla proposta di Biden, l’Europa, come al solito, non è stata capace di rispondere con una sola voce. La Francia, e ha parlato il presidente Emmanuele Macron, ha detto di condividere integralmente la proposta di Biden, e questo è già un passo avanti. Anche l’Italia è favorevole, sebbene Mario Draghi, con molta lucidità, abbia abbinato alla liberalizzazione dei brevetti anche la fine del blocco delle esportazioni, che penalizza proprio i paesi più poveri. Contro la proposta di Biden, però si è alzato il muro del no di Angela Merkel. È evidente che la cancelliera stia difendendo gli interessi di grandi gruppi tedeschi, sistemici, come BionTech e CureVac, che potrebbero perdere qualche quota di mercato o margini di profitti su specifici prodotti se i vaccini anti Covid fossero liberalizzati. Ma la Merkel ha mani e piedi legati anche da un altro fattore, squisitamente politico: le prossime elezioni politiche previste per il mese di settembre del 2021. Non può permettersi, con il suo partito in caduta libera e con la sua uscita di scena, una posizione sui vaccini che non sia in linea con scelte politiche ispirate al principio Germania first, una parola d’ordine molto gradita agli elettori. Altro che solidarietà e altruismo: senza la Germania, l’Europa non potrà fare un passo avanti verso il traguardo “Vaccino a tutti” e continuerà a essere scavalcata dalle posizioni americane, che però non basteranno a colmare il divario con i paesi poveri.

LIBERALIZZAZIONE DEI BREVETTI DEI VACCINI

Una classe dirigente più lucida, prima di rinunciare a un approccio più condiviso nella campagna vaccinale, ne prenderebbe in considerazione alcuni aspetti che possono fare la differenza. E sono almeno tre. In primo luogo, nei paesi dove il Covid-19 sta rialzando la testa, in assenza di piani vaccinali efficaci, si stanno moltiplicando le mutazioni del virus. Sono le famose varianti. Alcune sono già arrivate in Europa e sappiamo quali guai hanno portato, altre sono pronte a sbarcare se non si riuscirà a fermare il virus dove sta rinascendo con nuove spoglie. Nuove varianti significa adattare i vaccini, e la loro produzione su larga scala. Altri soldi, anche per le società farmaceutiche, e nuovi rischi per comunità che stanno appena uscendo dal lungo tunnel della pandemia e del lockdowm.

Seconda considerazione: liberalizzare i brevetti dei vaccini non significa, in automatico, fare un danno alle aziende farmaceutiche. Anzi. Ne potrebbero sorgere altre fonti di ricavi, con ottime prospettive sui margini di guadagni. Facciamo l’esempio dell’India, primo produttore al mondo di farmaci generici: il paese avrebbe tutte le carte in regola per cogliere le opportunità legate a una temporanea liberalizzazione dei brevetti, ma a loro volta le grandi società del farmaco potrebbero trovare proprio nei vaccini anti Covid la chiave d’ingresso in questo ricco mercato.

Infine, bisognerà pure tenere presente che la corsa al vaccino è stata straordinaria per tempestività e risultati grazie anche a generosissimi finanziamenti pubblici che ci sono stati in tutti i paesi del mondo. E specie in quelli che hanno brevettato i farmaci di copertura più efficaci. Non ci sarebbe nulla di scandaloso se le multinazionali del vaccino restituissero qualcosa di questi vantaggi accettando e cavalcando la liberalizzazione dei vaccini. Sarebbe un passo importante per un mondo più sostenibileun traguardo utile e conveniente per tutti.

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VACCINI SENZA BREVETTO

L’idea di sospendere per un certo periodo di tempo la proprietà intellettuale dei vaccini contro il Covid-19, partita da India e Sud Africa, e poi sostenuta dall’amministrazione americana, per non essere una pura declamazione velleitaria ha bisogno di una traduzione. Che tenga conto anche di interessi e conflitti sottostanti a una decisione di questo genere. In un interessante articolo del professore Vincenzo De Nicolò, pubblicato su lavoce.info, si prospettano due soluzioni. Una molto caldeggiata dalla sinistra del partito democratico americano e anche dai premî Nobel Joseph Stiglitz e Michael Kremer prevede semplicemente uno spostamento dei ricavi delle aziende farmaceutiche in seguito all’introduzione di un nuovo vaccino. Non più brevetti, ma premi in denaro. Seconda soluzione: il perno del sistema di ricerca dei nuovi vaccini (comunque finanziato dallo Stato) viene concentrato in mani pubbliche, e non più nelle aziende private che poi, in alcuni casi, collaborano con le istituzioni statali. Università, istituti di ricerca, enti: tutto passa da qui, e quel punto la liberalizzazione del brevetto diventa quasi automatica. Entrambe le soluzioni non sono semplici, e non prevedono tempi brevi. Il mondo, invece, di fronte alle ricorrenti ondate di coronavirus ha fretta, e l’Africa non può essere lasciata sola, anche per il nostro interesse di popoli benestanti e vaccinati, ma non per questo sicuri di cavarsela.

CHI HA GUADAGNATO CON I VACCINI 

Il mondo diseguale, che non potrà liberarsi della pandemia, è fotografato da questi numeri, la cui fonte è l’Organizzazione mondiale della Sanità: i paesi occidentali, dove i livelli dei redditi sono medi e alti, hanno ricevuto l’80 per cento delle dosi distribuite dalle case farmaceutiche (4 miliardi); il resto del mondo, che vale il 50 per cento della popolazione del Pianeta, ha ricevuto solo il 20 per cento delle dosi.
In alcuni paesi africani, come la Nigeria e l’Etiopia, non si superano le due cose ricevute ogni 100 abitanti (in Italia siano a 122 ogni 100 abitanti). E chi ha guadagnato finora con i vaccini? Anche in questo caso parlano i numeri con alcuni esempi significati. Pfizer ha registrato un aumento dei ricavi del 68 per cento rispetto al 2020, e solo con il vaccino anti Covid-19 il gruppo conta di fatturare 33,5 miliardi di dollari in un anno. I profitti di Moderna nel primo semestre del 2021, soltanto grazie alla vendita dei vaccini che in Africa non arrivano, sono pari a 4 miliardi di dollari. La tedesca Biontech, che finora era una piccola società di biotecnologia, a giugno si è ritrovata con una cassa di 1 miliardi di euro, grazie a 3,9 miliardi di euro di profitti nel primo semestre del 2021. E siamo ancora agli inizi.

IL FALLIMENTO DEL COVAX

I primi a essere consapevoli che se non ci vacciniamo tutti, a partire dai popoli dell’Africa, non guarirà definitivamente nessuno, sono proprio le autorità sanitarie mondiali. Per questo motivo nell’aprile del 2020 è stato lanciato Covax, programma globale supportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), da Gavi Allianz e dalla Coalition Epidemic Preparedness Innovations (GEPI) per “garantire a tutti un accesso equo ai vaccini“. Il Covax aveva un obiettivo chiaro  e misurato: distribuire due miliardi di dosi entro la fine del 2021 raccogliendo donazioni finanziarie e vaccini dai paesi più ricchi per poi distribuirli ai più poveri. Dopo oltre un anno, e ormai vicini alla scadenza fissata per raggiungere l’obiettivo, il bilancio del Covax è fallimentare. Soltanto il 3,8 per cento delle dosi somministrate il tutto il mondo arriva da Covax, e con l’aumento delle varianti i paesi ricchi chiudono i cordoni sia delle donazioni finanziarie sia dei vaccini messi a disposizione per i paesi poveri. Nel terzo trimestre del 2021 i responsabili di Covax non sono riusciti neanche a spendere i soldi che avevano in cassa (uno spreco enorme di risorse): tutti i vaccini erano stati prenotati, e al 16 agosto del 2021 cinquanta nazioni del Nord del mondo avevano già disponibile la terza dose di vaccino per le loro popolazioni. Intanto nei paesi più poveri, dove si concentra il 20 per cento della popolazione, i numeri dei vaccini erano da brividi. Lo 0,1 per cento della popolazione in Congo, lo 0,3 ad Haiti e nel Ciad, lo 0,5 in Burkina Faso e nel Sud Sudan, lo 0,7 in Madagascar e l’1,1 nello Yemen. Il direttore generale di Covax, Seth Berkley, di fronte a questa situazione, ha lanciato un appello ai governi dei paesi ricchi: <Se vogliamo riprendere i commerci e tornare a spostarci regolarmente, se vogliamo riconquistare la nostra normalità, la sicurezza sanitaria deve essere globale, e non può essere circoscritta ai paesi più ricchi>.

COME PRODURRE I VACCINI IN AFRICA

Per capire il buco nero nel quale si trovano i paesi africani se non si sblocca, a livello internazionale, la vaccinazione delle loro popolazioni, bisogna partire da un calcolo pubblicato sulla rivista Lancet. In sintesi: per ogni dollaro di vaccino ne occorrono altri tre affinchè venga inoculato. Ogni vaccinazione costa così 12 dollari, una cifra che nessun paese africano potrebbe sopportare da solo, considerando che, in media, i sistemi sanitari africani hanno a disposizione in tutto 25 dollari all’anno per ciascun abitante. Al momento, solo il 2 per cento dei 3 miliardi di dosi somministrate sono arrivate in Africa, che importa il 99 per cento dei suoi vaccini. Una situazione insostenibile. La Banca europea per gli investimenti ha fatto un primo passo per realizzare un impianto di produzione di vaccini presso l’Istituto Pasteur di Dakar per produrre fino a 25 milioni di dosi di un vaccino Covid-19 entro la fine del 2022. Ma intanto?

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